Introduzione alla Sacra Scrittura Ottava lezione Il Cànone delle Scritture
Cos’è il Canone? Criteri adoperati per fissare il Canone. La Septuaginta. Il prologo del Siracide. Il canone palestinese e quello alessandrino. San Girolamo. Lutero. Il Concilio di Trento.
CCCC 20. Che cos'è il cànone delle Scritture? Il cànone delle Scritture è l'elenco completo degli scritti sacri, che la Tradizione Apostolica ha fatto discernere alla Chiesa. Tale cànone comprende 46 scritti dell' Antico Testamento e 27 del Nuovo.
Quali criteri ha usato la Chiesa per distinguere i libri, per decidere quali erano sacre e canonici e quali no? In primo luogo, si deve menzionare l’ispirazione: si accetta un libro come canonico quando si giudica che è stato ispirato da Dio e che quindi è parola di Dio.
Ma l’ispirazione non si può scoprire con metodi meccanici. Qualcuno può dire che l’ispirazione è invisibile. È vero, ma lascia alcune tracce, che sono appunto i criteri usati dalla Chiesa.
Gli studiosi della formazione del canone contano come criteri usati nella Chiesa antica per discerne la canonicità le seguenti caratteristiche del contenuto dei libri: • apostolicità • antichità • ortodossia • concordanza con altri libri già accettati • comprensibilità, • carattere edificante • utilità aldilà delle circostanze concrete di un momento (non occasionalità)
A questi criteri, si aggiungono altri, provenienti non dai libri stessi, ma dal loro uso ecclesiale. Bisognava vedere se un libro: • viene letto in altre chiese, specialmente in quelle di origine apostolica • viene usato nella liturgia • è citato come Scrittura • le autorità ecclesiastiche l’hanno riconosciuto.
Se si vuole sintetizzare in una parola l’insieme di questi criteri, si deve parlare della tradizione della Chiesa. Dei Verbum afferma con semplicità, ma con profondità, che è la Tradizione “che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri” (DV 8). Cioè, la Chiesa non decide il canone per una illuminazione speciale di Dio, ma lo scopre guardando se stessa, vedendo ciò che crede e determinando così quali libri corrispondono alla tradizione ricevuta dagli apostoli. E in questo compito la Chiesa non può sbagliare, perché è assistita dallo Spirito Santo
Fra tutti i criteri sopra menzionati, alcuni sono senz’altro più importanti di altri. E possiamo dire di più: il criterio decisivo, che include tutti gli altri, consiste nell’apostolicità: tutti gli autori antichi mostrano la equivalenza fra credere nell’origine apostolica di un libro e credere nella sua ispirazione e canonicità. Infatti, non è casuale che quasi tutti gli scritti apocrifi prendano il nome di un apostolo, per cercare di guadagnare autorità: il vangelo di Tommaso, l’Apocalisse di Pietro, ecc. La Chiesa ha saputo discernere la loro non-apostolicità soprattutto perché il loro contenuto non corrispondeva alla regola della fede.
Sia per nuove scoperte, sia per motivi teologici, alcuni autori propongono di cambiare il canone, cioè, togliere alcuni libri o aggiungere altri. Altri più moderati ritengono che si devono ammorbidire le differenze fra libri canonici e non canonici, perché pensano che la determinazione del canone biblico ubbidisce a ragioni più o meno arbitrarie o almeno contingenti. Il testo delle diapositive che seguono sono opera del prof. Carlos Jodar della Pontificia Università della Santa Croce.
Il dibattito è specialmente vivo fra gli autori di confessione o di origini protestanti, ma interessa anche a noi cattolici. Infatti, per i protestanti, la Bibbia è l’unica norma di fede e dunque mettere in dubbio i suoi confini tocca nel cuore la loro fede. Come vedremo, non si tratta soltanto di sapere quali sono i libri biblici, ma anche di approfondire nelle ragioni che hanno portato alla distinzione fra libri canonici e non canonici.
Nell’AT, Lutero incluse alcuni libri in un appendice sotto il titolo di “apocrifi”, perché secondo lui non sono ispirati, ma servono per l’edificazione. Sono sette libri interi: Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc (con la lettera di Geremia), più le parti greche di Daniele e di Ester.
Sono quelli che Lutero accetta nella versione ebraica, più breve di quella greca. Tutte le comunità protestanti hanno seguito Lutero in questa scelta, sia lasciando questi libri in appendice, sia escludendoli totalmente dalle loro Bibbie.
Perché Lutero e gli altri riformatori hanno negato la canonicità e l’ispirazione di quei libri e di quelle parti dell’AT? Senza entrare a distinguere le motivazioni di ogni riformatore, quei libri e quei frammenti hanno in comune che non fanno parte della Bibbia ebraica. L’argomento quindi dei protestanti, presente già in San Girolamo, si può sintetizzare così: visto che la Chiesa ha ricevuto le Scritture dell’AT da Israele, non è logico che si adatti al canone vigente fra i giudei?
Per capire il successo della posizione di Lutero sui libri dell’AT e la risposta del concilio di Trento, bisogna fare un salto indietro di undici secoli, per conoscere la particolare opinione di San Girolamo riguardo al canone… anzi, prima ancora, un salto di diciotto secoli: Egitto, secolo III a.C…
Nel secolo III a.C. in Egitto, si fece, per la prima volta, una traduzione della Torah (Legge) dall’ebraico al greco probabilmente per aiutare i giudei che ormai non capivano l’ebraico: La versione dei Settanta (Septuaginta, LXX).
Dunque, la versione dei Settanta non ci Il fatto che nella versione dei Settanta un libro venisse tradotto dall’ebraico al greco e messo accanto agli altri, non implica automaticamente la sua considerazione come sacro (ispirato). Dunque, la versione dei Settanta non ci aiuta a conoscere con sicurezza quali libri si consideravano sacri prima di Cristo.
Prologo del Siracide La fine del prologo permette di saperne la data di stesura: “l'anno trentottesimo del re Evergete” corrisponde al 132 a.C. Per tre volte menziona gli scritti di Israele, divisi in tre gruppi: la legge (la Torah), i profeti e gli altri scritti successivi, il che fa pensare che quest’ultimo gruppo non si tratta di una collezione chiusa, perché lì dovrebbe entrare lo stesso libro del Siracide. E poi il testo non dice niente sul contenuto concreto di questi tre gruppi.
Gesù si è riferito diverse volte alle “Scritture” in genere, e anche a passi concreti, presi dalla Torah, dei profeti e dei salmi. Per esempio <<Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi>> (Lc 24,44) si vede che Gesù conosceva la divisione tripartita testimoniata dal prologo del Siracide.
Ma, mettendo insieme tutte le citazioni si capisce che il NT non permette di ricostruire l’elenco di libri che i suoi autori ritenevano sacri. Si citano diverse scritture, ma in maniera occasionale, senza intenzione di fornire un catalogo completo.
San Girolamo (342-419) fece una traduzione della Bibbia al latino, che per la sua diffusione universale nell’occidente latino ricevette più tardi il nome di Volgata. Uno dei tratti più salienti di quest’opera è la scelta di tradurre l’AT direttamente dai testi originali in ebraico e aramaico, e non dalla versione greca dei Settanta, come avevano fatti i precedenti traduttori della Bibbia al latino.
Ma insieme a questa scelta, assai meritoria, Girolamo ha fatto un’altra, molto più discutibile e –lo possiamo dire alla luce della storia posteriore– chiaramente sbagliata: per Girolamo sono canonici solo i libri dell’AT che i giudei accettavano, mentre non lo erano quelli che questi non includevano nella loro Bibbia. Il canone ebraico definitivo (o canone palestinese), fu fissato nel I secolo d.C. ed è più ristretto del canone alessandrino, derivato dalla versione dei Settanta della Bibbia.
Nel canone alessandrino troviamo anche dei libri non presenti nel canone ebraico definito nel I secolo d.C. Sono sette libri interi di cui abbiamo parlato prima: Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc (con la lettera di Geremia), più le parti greche di Daniele e di Ester. Lutero inserì questi sette libri nell’Antico Testamento col nome di Apocrifi (perché secondo lui non sono ispirati, ma servono per l’edificazione).
Nonostante la sua opinione sul canone, Girolamo non è un luterano ante litteram, perché si sottomette all’autorità della Chiesa. Nel prologo al libro di Tobia, che ha tradotto perché glielo hanno chiesto, anche se per lui non è canonico, dice che preferisce dispiacere ai farisei e obbedire ai vescovi. La sua attenzione al testo e al canone ebraico vanno insieme con una interpretazione sempre cristiana ed ecclesiale di tutte le Scritture. Conviene tener conto pure del fatto che la Chiesa non aveva ancora definito il canone.
Per finire, bisogna segnalare che, paradossalmente, la Volgata include i sette libri che Girolamo riteneva apocrifi. Nonostante alcune resistenze iniziali, la versione gerominiana fu ricevuta con grande stima. Ma la sua lista di libri non ha avuto un successo parallelo, come si vede dall’inclusione dei libri che Girolamo non accettava. Eppure, l’opinione di Girolamo sul canone, contrastata già in vita sua da Sant’Agostino, continuò a influire fra alcuni intellettuali cristiani, pochi ma importanti, fino al concilio di Trento
In genere, Lutero respinge tutte le mediazioni umane. Egli afferma che nessun uomo può arrogarsi il diritto d’interpretare la rivelazione, come se fosse al di sopra della parola di Dio. Con energia, Lutero rifiuta quanto si frapponga tra il credente e Gesù Cristo, l’unico che può salvare (solus Christus). Ma Cristo non lo vediamo…
Cristo non lo vediamo. La sua presenza oggi si trova nella parola di Dio, contenuta nella Bibbia. Ogni fedele può accedere direttamente a Cristo tramite la lettura individuale della Scrittura. Dal principio della sola gratia si segue quello della sola Scriptura —comune a Lutero, Calvino e Zwinglio—, che scarta ogni autorità che non sia quella del testo stesso.
Per Lutero, la Scrittura non è l’autorità suprema, ma l’unica; il criterio esclusivo della fede. Non c’è spazio né per la tradizione né per il magistero. Con una frase celebre, Lutero dice che la Scrittura non ha bisogno di interpreti, perché essa è chiarissima e interprete di se stessa.
Ma questo principio della sola Scriptura esige per forza che si trovi nella stessa Scrittura un nucleo dottrinale che consenta di giudicare il resto della Bibbia, e adempia così il ruolo dell’autorità esterna rifiutata. Lutero lo individua in Gesù Cristo, in quanto salva per la fede. Esiste un centro della Scrittura: Gesù crocifisso e risorto. Egli è la norma, il canone.
Nella prefazione alle epistole di Giacomo e Giuda, per la sua celebre traduzione al tedesco della Bibbia (1534), Lutero si esprime con molta chiarezza: La lettera di Giacomo no può essere apostolica, sostiene, perché non mostra Cristo: il criterio di canonicità non dipende dall’autorità della Chiesa, né dal uso liturgico, né dalla tradizione, ma dal contenuto del testo, giudicato dal interprete secondo il principio della giustificazione in Cristo per la sola fede.
Per ciò, la vera sostanza e midollo di tutti i libri biblici si trova nel vangelo di Giovanni e nella sua prima epistola, nelle lettere paoline, specialmente Romani, Galati ed Efesini, e nella prima lettera di Pietro. Questa gerarchizzazione dei libri biblici ha delle conseguenze sul canone biblico. Quando si separa la Scrittura dalla tradizione della Chiesa, si finisce, dopo un processo più o meno lungo e complicato, ma inevitabile, per distruggere l’unità della Scrittura stessa.
Bisogna distinguere fra l’autore umano, che può essere un apostolo o un uomo apostolico, come di solito si chiama a Marco e Luca, e la apostolicità come carattere originario, come vincolo con gli apostoli, primi testimoni della rivelazione. Così si evitano molti problemi: infatti, non è necessario credere che San Paolo ha scritto Ebrei, il che non toglie niente all’apostolicità di questa lettera.
Atti degli Apostoli (Luca) 63 75? Atti di Giovanni (s.II); 100-200 Atti di Andrea (s. II); Atti di Paolo (s.II); Atti di Pietro (s.II-III); 150-250 Atti di Tommaso (s.III) 200-300 Atti di Filippo ? Atti di Bartolomeo Atti di Barnaba. Atti di Matteo (gnostici) Atti e la Passio Bartholomæi (nestorianesimo) Atti di S. Pietro e Paolo Atti di Simone Giuda Atti di Paolo e Tecla La Storia sulle missioni e la morte di Giacomo Maggiore, Il martirio di Giacomo Minore, Atti di Xantippe e Polissena. Atti di Tito Acts di Timoteo Atti di Luca Atti di Marco Gesta Matthiæ Passio Sancti Matthæi, Insegnamento di Addai (Taddeo) Atti di Pilato e Discesa agli inferi (s.IV); 300-400
Prima lettera ai Tessalonicesi (Paolo) 51-52 Seconda lettera ai Tessalonicesi (Paolo) Lettera di Giacomo 50-60 Lettera ai Galati (Paolo) 54 Prima lettera ai Corinzi (Paolo) 57 Seconda lettera ai Corinzi (Paolo) Lettera ai Romani (Paolo) 57-58 Lettera ai Filippesi (Paolo) 62? 54-57 Lettera ai Colossesi (Paolo) 62 Lettera a Filemone (Paolo) Lettera agli Efesini (Paolo) Prima lettera di Pietro 64 Seconda lettera di Pietro 64 80? Prima lettera a Timotero (Paolo) 65 Lettera a Tito (Paolo) Lettera agli Ebrei (Paolo) 65? 80? Seconda lettera a Timoteo (Paolo) 66 Lettera di Giuda 70 L'epistola dello pseudo-Barnaba 70? 170? Prima lettera di Giovanni 95-100 Seconda lettera di Giovanni Terza lettera di Giovanni Epistola degli Apostoli, o Dialogo del Signore con i Discepoli dopo la Resurrezione (s.II-III); 150-250 Lettera di Gesù ad Abgar (s.II-III); Lettera di Paolo ai Corinti e viceversa; ? Lettere di Maria: al martire Ignazio (con risposta di Ignazio) Lettere di Maria: ai Messinesi Lettere di Maria: ai Fiorentini Lettera di Pietro a Giacomo il Minore Lettere di Paolo ai Corinzi Lettera di Giacomo a Quadrato Lettere di Paolo a Seneca (otto lettere di Seneca e sei di Paolo) Lettere di Paolo ai Laodicesi Lettera di Publio Lentulo al Senato e al Popolo Romano Lettera di Paolo ai Laodicesi (s.IV); 300-400 Corrispondenza di Seneca e Paolo (s.IV).
Nella quarta sessione del concilio di Trento, l’8 aprile 1546, i padri conciliari approvarono due decreti sulla Bibbia. Trento non vuole innovare, non pretende definire il canone ex novo, ma confermarlo per evitare dubbi. Per questo motivo, la lista è volutamente identica a quella del concilio di Firenze (1438-1445), che a sua volta si basa su dichiarazioni previe del Magistero.
L’intenzione dei padri era dare l’elenco dei libri, NON definire chi sono gli autori umani. I riferimenti a Mosè o Davide servono per identificare di quali libri si sta parlando. Lo stesso riguarda l’inclusione della lettera agli Ebrei fra gli scritti di San Paolo, e gli altri nomi di autori che compaiono.
Non si fanno distinzioni fra i libri, oltre a quella generale fra Antico e Nuovo Testamento. Si tratta di una omissione deliberata e quindi significativa. Dagli atti del Concilio, infatti, risulta che alcuni padri conciliari avevano proposto di distinguere fra diversi classi di libri, perché consideravano che non avevano tutti identica autorità. I padri conciliari non solo non accettarono questa proposta –e altre simili–, ma aggiunsero, all’inizio del decreto, che il Concilio riceve e venera tutti i libri pari pietatis affectu ac reverentia.
Dopo aver dato l’elenco dei libri, il decreto tridentino aggiunge: Si quis autem libros ipsos integros cum omnibus suis partibus, prout in ecclesia catholica legi consueverunt et in veteri Vulgata Latina editione habentur, pro sacris et canonicis non susceperit, et traditiones prædictas sciens et prudens contempserit: anathema sit. Con questi termini, il canone diventa oggetto di una definizione dogmatica: per essere in comunione con la Chiesa, bisogna accettare tutti i libri elencati come sacri e canonici.
Conviene chiarire che la dichiarazione di Trento non vale a priori per tutti i passi su cui esistono dei dubbi, come Gv 5,4 (l’angelo che discendeva per agitare le acque della piscina di Betzatà) o come il prologo del Siracide (fa parte del libro?, è ispirato?). In linea di principio, Trento difende l’integrità della Bibbia, ma poi bisogna vedere caso per caso, propio per sapere se un determinato testo fa veramente parte della Bibbia.
La determinazione del canone nella Chiesa non seguiva due strade parallele per ogni testamento, ma si applicava a tutte le Scritture come un insieme. Se adesso vediamo separatamente la conformazione del canone di ogni testamento, lo facciamo così per motivi didattici. Per noi, cattolici del ventunesimo secolo, tutte le Sacre Scritture sono ugualmente Parola di Dio. Ma bisogna stare attenti a non proiettare questa concezione indietro nel tempo, ma limitarsi a vedere cosa dicono le testimonianze antiche.
Conclusione: Non c’è ancora unanimità fra gli studiosi. La tendenza maggioritaria consiste nel affermare che la formazione del canone dell’AT è durata molto tempo e che al tempo di Gesù non esisteva un canone definito e comune per tutti i giudei.
“Oggi sembra più probabile che al tempo della nascita del cristianesimo, le raccolte chiuse dei libri della Legge e dei profeti esistessero in una forma testuale sostanzialmente identica a quella del nostro Antico Testamento attuale. La raccolta degli « Scritti », invece, non era così ben definita, in Palestina e nella diaspora ebraica, sia nel numero dei libri che nella forma del loro testo” (PCB, Il popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana, n. 16.)
Secondo le testimonianze che abbiamo, i primi testi del NT ad imporsi come sacri e a chiudersi come collezione sono stati i Vangeli, il che è logico, visto che raccolgono le parole ed i fatti di Gesù, l’autorità suprema per i cristiani. Le lettere di Paolo si trovano diffuse e citate come Scrittura già nel s.II. Il caso di Marcione illustra la conoscenza a metà del secolo di almeno 10 lettere, che, bisogna anche dirlo, non verranno mai messe in dubbio, né mancano negli elenchi.
La polemica attuale, se includere o meno altri testi come il vangelo di Tommaso, è completamente artificiale: la Chiesa non si è mai posto questo problema, perché il contenuto di questo vangelo e di altri simili è chiaramente eterodosso, non concorda con la regola di fede. Più oscuro resta il caso di alcuni scritti minori, di dottrina ortodossa e molto antichi, dei quali alcuni sono dentro il canone, come Giuda o 3Gv, e altri fuori, come 1Clem o Il Pastore di Erma.