TERENZIO AFRO « Homo sum: humani nihil a me alienum puto »

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TERENZIO AFRO « Homo sum: humani nihil a me alienum puto » « Sono un uomo: niente di ciò che è umano considero estraneo a me » (Terenzio, Heautontimorumenos, v. 77)

BIOGRAFIA Pupillo degli Scipioni. Sulla vita di T. abbiamo una biografia risalente a Svetonio: a questa attinse Donato, che la premise al suo commento delle commedie del nostro autore. La sua vita si inserisce praticamente nel periodo di tempo compreso tra la fine della II guerra punica (201 a.C.) e l'inizio della III (149 a.C.) e si lega strettamente con la vicenda politica e culturale romana di quegli anni. T. giunse a Roma come schiavo del senatore T. Lucano, dal quale fu affrancato "ob ingenium et formam" ("per ingegno e bellezza"); divenne intimo di Scipione Emiliano e di Gaio Lelio, entrando quindi a far parte dell’entourage scipionico, del cui ideale di "humanitas" egli si fa portavoce. Maldicenze sulla vera paternità delle commedie. Questa sua posizione di prestigio suscitò però l’invidia dei suoi contemporanei, soprattutto degli altri letterati. Sul conto di T., sorsero così calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di plagio e di essere addirittura un prestanome dei suoi importanti protettori, i veri effettivi autori delle sue commedie (era, infatti, considerato disdicevole per un "civis Romanus", impegnato politicamente, dedicare il proprio tempo alla composizione di commedie; le uniche attività che erano lui concesse coltivare erano l’oratoria o la storiografia) [per la questione sull'autenticità, vd. oltre]. Da questa accusa, come vedremo, T. si difende nel prologo della sua ultima commedia, l’"Adelphoe". Amarezza per l'insuccesso, viaggio in Grecia, morte. Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione ma anche evidentemente per diletto e soprattutto per studiare in loco istituzioni e costumi greci da ritrarre nelle sue opere, T. lasciò Roma nel 160 a.C. e volle fare un viaggio in Grecia e in Asia Minore, da cui però non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali menandrei reperiti in Grecia.

OPERE E TITOLI Di T. ci sono pervenute, integralmente, 6 commedie palliate (cioè d'ambientazione greca), composte e rappresentate a Roma, di cui si conoscono, tramite le "didascalie", l'anno e l'occasione del primo allestimento. T. esordì nel 166 a.C. con una commedia, l’ "Andria" ("La ragazza dell’isola di Andro"). Nel 165, fece rappresentare una seconda commedia, l’ "Hecyra" ("La suocera"): il pubblico, dopo le prime scene, abbandonò il teatro, preferendo assistere ad una contemporanea manifestazione di pugili e funamboli; fu un fiasco clamoroso. Nel 163, fece rappresentare l’ "Heautontimorumenos" ("Il punitore di se stesso"). Nel 169 furono, invece, rappresentate ben 2 commedie: l’ "Eunuchus" ("L'eunuco") e il "Phormio" ("Formione"). L’ "Eunucus" fu il più grande successo di T., perché è la sua commedia più simile alla comicità plautina. Nel 160, infine, durante i giochi funebri per celebrare la morte di Lucio Emilio Paolo, padre di Scipione Emiliano, T. fece rappresentare la sua ultima commedia, l’ "Adelphoe" ("I fratelli"); nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’ "Hecyra", ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro, preferendo i gladiatori. Una terza rappresentazione avvenne durante i "Ludi Romani" dello stesso anno e, finalmente, durò dall’inizio alla fine: il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, attore molto celebre di quel tempo.

STRUTTURA E TEMI DELLE COMMEDIE Autore troppo "moderno"? Come visto, T. scrisse 6 commedie "palliate": ma operò una vera e propria "riforma" nell'ambito di questo genere, ristrutturandolo - come vedremo - dal punto di vista tecnico e introducendo in esso nuovi contenuti ideologici, in linea con le tendenze finelleniche del circolo cui apparteneva. La sua carriera drammaturgica non fu certo facile come per Plauto, non ebbe lo stesso successo, perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano, non ancora pronto a tal "salto di qualità": quella di T. era, infatti, una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino, che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Ma forse, a ben vedere, le stesse testimonianze relativi ai "flop" della sua produzione potrebbero contenere un nascosto fine programmatico come se T. ci volesse dire che il proprio pubblico ideale è decisamente un pubblico colto (che coincideva, in pratica, con lo stesso "circolo"), o sicuramente più raffinato di quello sboccato e "plebeo" che applaudiva ancora le opere di Plauto. Un pubblico, in breve, elitario, il cui ideale artistico è un'opera che riproduca nel migliore dei modi le preziosità dell'originale greco. Temi fondamentali trattati nelle commedie sono: Educazione dei giovani Rapporti di coppia Conflitto generazionale Ruolo della donna e riflessioni sulla famiglia.

La contaminatio Il rapporto coi modelli (la "contaminatio") e le differenze con Plauto: tecniche, stile, linguaggio. Quattro delle 6 commedie terenziane si rifanno ad originali menandrei (a riprova di ciò, anche se in senso dispregiativo, Cesare definì T. "dimidiatus Menander", ossia un "Menandro dimezzato"): solo l’"Hecyra" ed il "Phormio" riprendono invece commedie di un altro autore, Apollodoro di Caristo, un commediografo greco di cui però nulla conosciamo. Rispetto a Plauto, le commedie di T. presentano maggiore fedeltà ai modelli greci, ma si tratta sempre di una fedeltà relativa: anche T. ricorreva infatti alla "contaminatio". Tuttavia, tale tecnica non consiste per il nostro autore, <<come pure è parso a molti, in un'ibrida mescolanza di più commedie, ma nell'inserimento di scene desunte da altri drammi, all'interno di una commedia greca usata come modello>> [Monaco - De Bernardis]. Ancora rispetto a Plauto, poi, T. mantiene un’ambientazione rigorosamente greca, senza surreali intrusioni di usi e costumi romani;

DIFFERENZE CON PLAUTO elimina quasi completamente i "cantica", facendo invece uso abbondante di dialoghi e dei versi lunghi. Altra notevole differenza con Plauto è quella relativa allo stile e al linguaggio: in T., coerentemente all'esigenza di equilibrio e di raffinatezza ch'egli mutuava dal sofisticato circolo scipionico, non troviamo l’esuberanza, le acrobazie verbali, i giochi di parole e le parodie dello stile tragico: egli evita rigorosamente espressioni popolari e volgari; segue, stilizzandolo, il linguaggio della conversazione ordinaria. Quello di T. è insomma uno stile e un linguaggio sobrio, naturale, all’insegna della compostezza, della semplicità e decisamente "mimetico" rispetto alla realtà che lo circonda. Anche in T., inoltre, al centro della vicenda comica, troviamo inoltre amori ostacolati che, alla fine si realizzano felicemente. I personaggi sono quelli della commedia "nea", giovani innamorati, ragazze oneste ecc.; della "nea", troviamo anche i soliti stereotipi: equivoci, inganni ecc. Il topos del riconoscimento conclude 5 commedie su 6, mancando solo negli "Adelphoe". Sempre 5 su 6 si concludono con uno o più matrimoni: solo nell’ "Hecyra" troviamo il ristabilimento di una unione matrimoniale che era entrata in crisi a causa di equivoci e sospetti infondati. T. tende poi, a suo modo, a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia, accanto alla coppia principale, una seconda coppia. Gli "adulescentes" spesso sono quindi due e sono due i "senes". Rispetto a Plauto, T. costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità, caratteristiche queste mancanti nell’altro, che puntava sull’efficacia comica della singola scena.

La nuova funzione del prologo La nuova funzione dei prologhi. Altra differenza importante rispetto a Plauto e a Menandro è l’abolizione del prologo informativo: questi autori si servivano del prologo appunto per informare il pubblico dell’antefatto, anticipando spesso la conclusione; ciò metteva il pubblico nella condizione di seguire meglio la vicenda (il cui intreccio era spesso complesso) e lo rendeva superiore agli stessi personaggi della commedia. T. trasforma, invece, il prologo informativo in un prologo a carattere "critico" e letterario: nel prologo parla di sé, del suo modo di poetare e si difende dalle accuse che i suoi avversari gli rivolgono. A recitare il prologo, poi, non è neanche più un personaggio della commedia, ma un attore scelto apposta (la cosiddetta "persona [= maschera] protatica"), che indossa un costume particolare. Così, ad es., dall'accusa di aver sfruttato il procedimento della "contaminatio", comminatagli soprattutto da un "malevolus poeta" (Luscio Lanuvino), l'autore si difende già nel prologo dell' "Andria": se è vero che ha usato questa tecnica (non diversamente, del resto, dai suoi illustri predecessori, cui nessuno ha recriminato invece alcunché), egli lo ha fatto solo nei termini che abbiamo sopra descritto. Dall'accusa di plagio, invece, T si difende nel prologo dell' "Eunuchus", <<sostenendo di aver attinto direttamente al modello greco (cosa certamente consentita) senza conoscere i rifacimenti latini della stessa opera e aggiungendo che, essendo ormai tutto detto nel teatro, dev'esser permesso rifare ciò che è stato fatto>> [Monaco - De Bernardis]. Infine, dall'accusa di essere il mero "prestanome" di autori politicamente impegnati, T. si difende nel prologo dell’ "Adelphoe", dove afferma che ciò che gli altri ritengono una colpa e di cui lo accusano, è per lui motivo di vanto e di orgoglio: ritiene un merito essere aiutato dagli uomini più importanti di Roma, delle cui imprese tutto il popolo si serviva. La difesa di T. risulta, però, (volutamente) debole, forse perché non voleva urtare la suscettibilità dei protettori, a cui quelle calunnie e quelle dicerie evidentemente non dispiacevano affatto.

Teatro naturalistico Teatro "naturalistico". Tuttavia, T. elimina il prologo informativo anche perché punta su effetti di suspense: vuole cioè che lo spettatore si immedesimi nel personaggio, che il pubblico sia coinvolto emotivamente nelle vicende, provi le stesse emozioni dei personaggi. T., inoltre, vuole mascherare l’aspetto fittizio dell’evento teatrale, vuole che non venga mai interrotta l’illusione scenica: elimina, a tal riguardo, tutti i procedimenti "metateatrali" a cui spesso ricorreva Plauto. Tutto ciò ha uno scopo preciso: mentre il Plauto non perseguiva nessun fine morale o politico, ma tendeva solo a divertire, T., con le sue commedie, intende trasmettere un messaggio morale. <<T. intende mantenere a tutti i costi la verosimiglianza: il suo pubblico, per tutta la durata del dramma, non deve pensare di essere a teatro, deve credere piuttosto di vedere una "tranche de vie" […]. Il suo dunque è un teatro "naturalistico">> [Monaco - De Bernardis].

Commedia "stataria" e psicologia dei personaggi. secondo alcuni, esso significherebbe che la sua non è commedia d'azione, ma esclusivamente psicologica, "di carattere": ciò è vero, però, fino ad un certo punto, dato che - anche se certamente in tono minore rispetto a Plauto - le sue opere non rinunciano completamente al movimento scenico. E' vero, comunque, che T. attenua decisamente i tratti caricaturali dei personaggi della "nea" e ne fa delle figure delicate, tenere, sensibili (ma più "tipi" che individui). Protagonista del suo teatro non è più il "servus callidus", ma padri e figli. Egli non ridicolizza i sentimenti d’amore dei giovani, ma li segue con partecipazione e simpatia. Anche i padri terenziani sono differenti da quelli plautini: sono disponibili al dialogo coi figli e si preoccupano sinceramente della loro felicità più che del loro patrimonio o del veder affermata la propria autorità. Nel teatro di T., del resto, non esistono personaggi del tutto negativi: anche i servi sono spesso vicini ai padroni e partecipano ai problemi familiari; non tutte le cortigiane pensano ai propri interessi (vedi il caso di Bacchide nell' "Hecyra").

UMANITA’ DEI PERSONAGGI Il messaggio: l' "humanitas". Teatro "pedagogico". Come abbiamo più volte detto, attraverso l'opera di T. il circolo scipionico "divulgava" la propria, rivoluzionaria ideologia: anche (se non soprattutto) grazie all'incontro-scontro diretto con la civiltà greca, gl'intellettuali scipionici elaborarono e approfondirono un ideale di "humanitas", ch'era una grossa novità nella cultura e nella stessa mentalità, tradizionali, dei Romani. Questo ideale fu inteso non soltanto come semplice traduzione del termine greco "filantropia" (interesse per l'uomo), ma piuttosto soprattutto come apertura dell'uomo verso i propri simili, al di là di ogni barriera sociale, nella coscienza della comune natura umana, seppur nella consapevolezza delle sue innumerevoli sfaccettature: il singolo non è <<più soltanto "civis", ma soprattutto "homo humanus">> [Monaco - De Bernardis]. E', dunque, lo stesso messaggio che vuole trasmettere anche T.: aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui: essere, in una parola, tolleranti e solidali. Chi si apre agli altri vive veramente da uomo fra gli uomini. E' questo il senso del famoso ed emblematico "homo sum humani nihil a me alienum puto" ("sono uomo e niente di ciò che è umano considero a me estraneo"), contenuto nell' "Heautontimorumenos“.

TEATRO DELL’HUMANITAS Ecco che così i personaggi del nostro autore sono veramente lontanissimi da quelli pacchiani, spregiudicati, egoisti e truffaldini di Plauto: i giovani di T., accanto ad un comportamento anche qui sovente scapestrato, presentano comunque tratti di maggiore consapevolezza e di disponibilità all'accettazione delle regole sociali; i vecchi non sono libidinosi ed invidiosi, ma tengono sinceramente al bene ed alla felicità dei figli; i servi non sono scaltri promotori di truffe, oppure quando lo sono, agiscono in buona fede, per il bene dei giovani ed anziani padroni, con cui dividono guai, tristezze e felicità, quasi in un nucleo familiare "allargato". Infine, gli stessi "milites" e le stesse cortigiane non sono lenoni lussuriosi vanagloriosi e approfittatori, o semplici donne di piacere avide di denaro, ma acquistano uno spessore di comprensione e di buona fede che li rendono uomini e donne come gli altri, casomai solo un po' più "cocciuti" o sfortunati. <<L'amore domina, nel suo teatro: ma un amore fatto di comprensione, di sacrificio, di rinnegamento di sé: un amore che pone la soddisfazione più alta nel donare la felicità alla creatura amata>> [I. Lana]. E appare conseguente, e ciò detto tirando le conclusioni da quanto analizzato fin qui, come la stessa comicità di T dovesse proporsi come altrettanto rivoluzionaria, in accordo col suo "messaggio": una comicità nuova, che non consiste più nella battutaccia o nell'intrigo, ma che invece risiede più nel sorriso, talvolta compassionevole, sempre venato di riflessione e di meditazione (a tal riguardo, taluni critici hanno definito, quello del nostro autore, un "teatro pedagogico").

LA LINGUA Rifiuto dell’oscenità verbale Ricerca del verisimile e negazione del surreale e del paradossale Uso del sermo cotidianus Linguaggio raffinato e depurato da volgarismi e oscenità espressive.

Confronto tra Plauto e Terenzio Commedia motoria intreccio Terenzio Commedia stataria Caratteri Plauto Molte parti musicali sermo vulgaris Terenzio Meno musica più dialoghi Sermo cotidianus

Fortuna di terenzio Il più antico commentatore dell'opera terenziana è Elio Donato. Tuttavia la fortuna di Terenzio si protrasse per tutto il Medioevo e il Rinascimento, come attestano le decine di manoscritti che contengono integralmente o almeno in parte le sue commedie. Questo successo fu dovuto in particolare alla loro costante inclusione nei programmi scolastici del tempo, in virtù del loro carattere edificante e dello stile, semplice ma allo stesso tempo corretto e non banale.