Identità e memoria: il tema dell’amnesia in Pirandello

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Transcript della presentazione:

Identità e memoria: il tema dell’amnesia in Pirandello Riccardo Castellana (Università di Siena) castellana@unisi.it

Jean Giraudoux, Siegfried, 1928 L. Pirandello, Come tu mi vuoi, 1930 Jean Anouilh, Le voyageur sans bagage, 1937

il tema dell’amnesia in Pirandello; la storia del tema dell’amnesia nel Novecento e la distinzione tra amnesia e oblio l’attualità di Pirandello e dell’immaginario modernista

L. Pirandello, Come tu mi vuoi, Atto II L’IGNOTA - Guardami! Qua negli occhi - dentro! - Non hanno più veduto per me, questi occhi; non sono stati più miei, neppure per vedere me stessa! Sono stati così - così - nei tuoi - sempre - perché nascesse in loro, da questi tuoi, l’aspetto mio stesso, come tu mi vedevi! L’aspetto di tutte le cose, di tutta la vita, come tu la vedevi! - Sono venuta qua; mi sono data tutta a te, tutta; t’ho detto: «Sono qua, sono tua; in me non c’è nulla, più nulla di mio: fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi! – M’hai aspettata per dieci anni? Fai conto che non sia stato nulla! Eccomi di nuovo a te; ma non per me più, non per tutto ciò che quella può aver passato nella sua vita; no, no; nessun ricordo più, dei suoi, nessuno: dammi tu i tuoi, i tuoi, tutti quelli che tu hai serbati di lei come fu allora per te! Ora ridiventeranno vivi in me, vivi di tutta quella tua vita, di quel tuo amore, di tutte le prime gioje che ti diede! ». E quante volte non t’ho domandato: - «così?... così?» - beandomi della gioja che in te rinasceva dal mio corpo che la sentiva come te! BRUNO (com’ebbro) Cia! Cia! L’IGNOTA (impedendo l’abbraccio, com’ebbra anche lei, ma dell’orgoglio d’aver saputo crearsi così) Sì - io, Cia! - io, sono Cia! - io sola! - io! io! - non quella (indica il ritratto) che fu, e - come - forse non lo seppe nemmeno lei stessa, allora - oggi così, domani come i casi della vita la facevano... Essere? essere è niente! essere è farsi! E io mi sono fatta quella! - Non ne hai compreso nulla, tu!

L. Pirandello, Una giornata, 1936 Strappato dal sonno, forse per sbaglio, e buttato fuori dal treno in una stazione di passaggio. Di notte; senza nulla con me. Non riesco a riavermi dallo sbalordimento. Ma ciò che più mi impressiona è che non mi trovo addosso alcun segno della violenza patita; non solo, ma che non ne ho neppure un’immagine, neppur l’ombra confusa d’un ricordo. Mi trovo a terra, solo, nella tenebra d’una stazione deserta; e non so a chi rivolgermi per sapere che m’è accaduto, dove sono. Ho solo intravisto un lanternino cieco, accorso per richiudere lo sportello del treno da cui sono stato espulso. Il treno è subito ripartito. È subito scomparso nell’interno della stazione quel lanternino, col riverbero vagellante del suo lume vano. Nello stordimento, non m’è nemmeno passato per il capo di corrergli dietro per domandare spiegazioni e far reclamo. Ma reclamo di che? Con infinito sgomento m’accorgo di non aver più idea d’essermi messo in viaggio su un treno. Non ricordo più affatto di dove sia partito, dove diretto; e se veramente, partendo, avessi con me qualche cosa. Mi pare nulla.

L. Pirandello, Una giornata, 1936 È davvero una vecchia bustina di cuojo, gialla scolorita slavata, quasi caduta nell’acqua di un ruscello o d’un pozzo e ripescata. La apro, o, piuttosto, ne stacco la parte appiccicata, e vi guardo dentro. Tra poche carte ripiegate, illeggibili per le macchie che l’acqua v’ha fatte diluendo l’inchiostro, trovo una piccola immagine sacra […] e, attaccata d essa quasi dello stesso formato e anch’essa sbiadita, una fotografia. La spiccico, la osservo. Oh,. È la fotografia di una bellissima giovine, in costume da bagno […]. È mai possibile che una donna così bella mi sia potuta sparire dalla memoria […]? Certo, in questa bustina di cuojo caduta un tempo nell’acqua, quest’immagine, accanto all’immagine sacra, ha il posto che si dà a una fidanzata.

L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1926 L'ospizio sorge in campagna, in un luogo amenissimo. Io esco ogni mattina, all'alba, perché ora voglio serbare lo spirito cosí, fresco d'alba, con tutte le cose come appena si scoprono che sanno ancora del crudo della notte, prima che il sole ne secchi il respiro umido e le abbagli. Quelle nubi d'acqua là pese plumbee ammassate sui monti lividi, che fanno parere piú larga e chiara nella grana d'ombra ancora notturna, quella verde piaga di cielo. E qua questi fili d'erba, teneri d'acqua anch’essi, freschezza viva delle prode. E quell'asinello rimasto al sereno tutta la notte, che ora guarda con occhi appannati e sbruffa in questo silenzio che gli è tanto vicino e a mano a mano pare gli s’allontani cominciando, ma senza stupore a schiarirglisi attorno, con la luce che dilaga appena sulle campagne deserte e attonite. E queste carraie qua, tra siepi nere e muricce screpolate, che su lo strazio dei loro solchi ancora stanno e non vanno. E l'aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com'è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere piú nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Cosí soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero sí metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. La città è lontana. Me ne giunge, a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non piú dentro di me, ma fuori, per sé sonare, che forse ne fremono di gioja nella loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridío delle rondini o nel vento nuvoloso, pesanti e cosí alte sui campanili aerei. Pensa alla morte, a pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l'ho piú questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non piú in me, ma in ogni cosa fuori.