Una fenomenologia del museo scientifico può riguardare:

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Transcript della presentazione:

Una fenomenologia del museo scientifico può riguardare: la forma museo, cioè i vari modi in cui si è estrinsecato il progetto espositivo di un museo; I “linguaggi” del museo, cioè i vari modi con cui l’apparato espositivo di un museo si rapporta con il pubblico (aspetto che è in relazione e che lega il precedente punto con il seguente); Il pubblico del museo e il suo comportamento

Classificatorio Il progetto espositivo di un museo scientifico può rispondere a diversi modelli progettuali: Classificatorio Gli oggetti sono semplicemente ‘incasellati’ all’interno di una classificazione, ad es. quella della sistematica biologica) Ambientale Gli oggetti sono esposti entro una fedele ricostruzione dell’ambiente da cui sono stati tratti) Regionale (non trattato) Storico (non trattato) Interpretativo o tematico Scelto un tema ben preciso, si interpretano i significati che hanno gli oggetti in relazione al tema prescelto; questo si può fare: - utilizzando un linguaggio di tipo narrativo-didascalico - ricorrendo ad un rapporto di tipo interattivo col visitatore (cioè il visitatore è chiamato a farsi parte attiva nel trovare un significato in quello che viene esposto)

Quando l’ordinamento è classificatorio, il linguaggio può essere molto essenziale: si dà un nome agli oggetti, li si classifica e li si espone. Stop.

Nell’ordinamento classificatorio infatti non occorrono lunghi testi a corredo degli oggetti: non si vuole ‘interpretarli’, ma semplicemente esporli secondo un ordine il più possibile oggettivo. (È quello che si fa anche nelle pinacoteche, in cui i quadri sono esposti per epoche e per scuole). Il problema comunque è quello di una certa monotonia e caduta di attenzione da parte del pubblico…

Per questi motivi il ‘linguaggio’ espositivo si è arricchito con l’introduzione di campiture di colore e, ove possibile, col ricorso al tutto campo, ovvero la rinuncia alle classiche ‘scaffalature’

In altri casi, sempre in percorsi espositivi di tipo classificatorio, si è ricorsi all’inserimento di testi, schemi, disegni e fotografie. Questo però avviene, in genere, quando si è voluta permettere qualche lettura in chiave interpretativa degli oggetti esposti, aprendo per così dire delle finestre tematiche nella vetrina. È una soluzione a metà strada tra i due modelli: classificatorio e tematico o interpretativo.

Talvolta si preferisce suggerire qualche significato anziché esplicitarlo, addirittura eliminando le didascalie. Il visitatore in questo modo è portato a farsi delle domande, ne si stimola l’intuizione, e il suo interesse viene tenuto desto: sono tutti modi per combattere il calo di attenzione e la ‘noia da museo’.

È tipico, ad esempio, il voler suggerire il concetto di biodiversità esponendo semplicemente una grande quantità e varietà di specie viventi senza l’ausilio di alcun testo o didascalia. Attenzione, però: in questi casi l’ordinamento non è più solo classificatorio: è già un concetto, quello di biodiversità, quello che si vuole esporre, e non un ordine gerarchico di categorie (classi, ordini ecc.) o, in altre parole, delle tassonomie.

Inutile dire che negli allestimenti che puntano sulla ricostruzione ambientale il ‘linguaggio’ è completamente diverso da quello dell’allestimento classificatorio: non si vuole stabilire un ordine ideale o concettuale ma restituire nel modo più illusionistico possibile l’ordine (o l’apparente disordine?) naturale da cui gli ‘oggetti’sono stati prelevati. Anche qui, e a maggior ragione, non servono testi, e nemmeno campiture di colore, schemi, disegni o altro: tutto ciò turberebbe l’illusione ricercata e voluta.

È indubbio però che il ‘linguaggio’ di questo tipo di allestimento è straordinariamente efficace: forse non a spiegare qualcosa ma ad avvincere. Qui infatti si fa leva sul fattore stupefazione…

Del tutto diverso è il caso dell’ordinamento di tipo interpretativo o tematico. Qui gli oggetti esposti sono utilizzati come elementi di un discorso, centrato su un ben preciso tema o concetto: di essi interessano i valori di ‘segno’ utili a illustrare quel tema o concetto, e non altro. La ‘stupefazione’ per qualcosa che non interessa ai fini di quel discorso può anche essere un elemento di ‘disturbo’.

Quando si vogliono rendere espliciti dei ben precisi significati di ‘segno’ degli oggetti esposti, bisogna di necessità spiegarsi. Ed è quasi impossibile farlo senza ricorrere a testi, diagrammi, schemi…

La vetrina del museo diventa, in questo caso, come la pagina di un libro illustrato. Il progetto grafico è fondamentale: si deve tenere conto di pieni e vuoti, distribuzione e accostamento dei colori, quali oggetti scegliere e dove collocarli.

Se lo scopo è quello di spiegare dei concetti, si può anche arrivare a fabbricare appositamente gli oggetti da esporre (ad esempio il modello in scala di un satellite geostazionario) e di progettare delle simulazioni. Si potrà anche ricorrere all’interattività per spiegarsi meglio tenendo desta l’attenzione dei visitatori

Spiegare, spiegare, spiegare… Come si può intuire, il problema più grosso degli allestimenti di tipo interpretativo o tematico è come si possa spiegare al visitatore una quantità di concetti senza diventare pedanti e, in fin dei conti, senza annoiarlo (ancora una volta la ‘noia da museo’!). L’errore più grave (e più comune) è quello di riempire di troppi testi (troppo lunghi e con caratteri troppo piccoli) le vetrine del museo. Visitare un museo deve essere un’esperienza diversa dalla lettura di un libro illustrato: deve essere più coinvolgente, più avvincente. In altre parole, l’efficacia del modello interpretativo o tematico è stata spesso compromessa dalla sottovalutazione di altri tipi di ‘linguaggi’…

La riscoperta della stupefazione Lo stupore, la meraviglia per qualcosa di straordinario o di inatteso, possono essere fini a sé stessi in un contesto di puro intrattenimento (ad es. in un parco di divertimenti), ma sono elementi di indubbia fascinazione, che avvincono e incuriosiscono, e che pertanto risultano molto utili (se non fondamentali!) nella strategia comunicativa di un museo. Perché allora far leva sul fattore stupefazione solo nelle ricostruzioni d’ambiente? Non può entrare in gioco anche in altri tipi di allestimenti?

In realtà l’elemento stupefazione ha sempre giocato nel rendere avvincenti i musei scientifici a prescindere dal loro tipo di ordinamento espositivo. È sempre stato, ad esempio, l’elemento su cui si sono costruiti il prestigio e l’autorevolezza, agli occhi del pubblico, dei grandi musei, a cominciare dalla hall o salone di ingresso…

La riscoperta della stupefazione È interessante notare che il fattore stupefazione non è affatto una novità nel linguaggio dei musei. Al contrario, proprio dalla stupefazione per ciò che esisteva di curioso, di eccentrico, di mirabolante, avevano avuto origine quelli che furono gli antenati dei musei scientifici: le raccolte di mirabilia o le cosiddette Wunderkammer

Di fatto, però, nel museo scientifico moderno, si può conseguire un effetto di stupefazione solo se si possiedono ‘oggetti’ per qualche aspetto eccezionali. È indubbio che giocano soprattutto le dimensioni…

… e quello che è possibile ad un grande museo non è detto sia realizzabile in tutti i musei…

Dunque sarebbe importante poter ottenere un effetto simile alla stupefazione anche con ‘oggetti’ meno eccezionali. Per prima cosa si dovrà tornare a dar valore all’oggetto in sé. Ad esempio, siamo sicuri che in un allestimento di tipo tematico la stupefazione per qualcosa che non interessa ai fini di quel discorso sia davvero un elemento di ‘disturbo’?

La strategia più efficace, in definitiva, dovrebbe essere quella di utilizzare diversi tipi di linguaggio all’interno di uno stesso percorso espositivo, indipendentemente dal fatto che sia prevalentemente classificatorio o tematico o ambientale o interattivo…