L’EREDITÀ NASCOSTA: L’ESSERE-PER-LA-VITA Massimiliano stramaglia UNA MADRE IN PIÙ. LA NONNA MATERNA, L’EDUCAZIONE E LA CURA DEI NIPOTI, FRANCO ANGELI, MILANO, 2013
EREDITARE UN SENSO “I nonni svolgono con la loro presenza, se la mantengono viva, un ruolo psicologico estremamente importante. Affermano che il padre e la madre dei loro nipoti sono stati bambini. Dicono che l’essere umano è un erede. Questa è una scoperta fondamentale per un bambino” (Martinie, 2005), perché è su “questa esperienza” affettiva che “si costruisce l’accettazione di sé, poi il desiderio di imitare le persone da cui si ha origine e procedere ancora meglio di loro” (ibidem). Se è vero che con l’avanzare dell’età la persona si approssima “ai valori ‘superiori’, che sono caratterizzati dalla ‘gratuità’ e dallo svincolo da ogni condizionamento contingente” (Caporale, 2001), la nonna materna testimonia qualcosa in più rispetto agli altri nonni, perché è colei che ha dato vita alla madre, è l’origine delle origini.
In questa accezione, infatti, ella consente l’oltrepassamento dell’essere-per-la-morte preconizzato da Heidegger nel 1924, e si avvicina alla concezione di Hannah Arendt che, nel 1958, prelude alla verità dell’essere-per-la-vita, ossia alla primarietà esistenziale della nascita sulla morte. E ciò al di là di qualsiasi “implicito metafisico”: non si tratta, nel caso di Arendt, di nostalgia dell’essere, ma dell’essere stesso, il quale s’invera, piuttosto che nella morte, alla luce del cominciamento. L’essere-per-la-vita si tramanda attraverso l’eredità di affetti, che viene pian piano a coincidere con l’essere – con ciò che non si afferra (il foulard in satin) e che pure si trascina, con sé, a “coprire le spalle”. È questa l’eredità autentica, ma latente, che denota, al di là del tempo e della presenza cosciente (al di là della morte), il rapporto fra nonna e nipote.
IL CONTENIMENTO EDUCANTE La madre contenitiva – con il suo grembo, con il viso che funge da specchio, con le sue calde braccia custodenti – è l’esserci a partire dal quale s’invera l’essenziale. Il foulard in satin che copre le spalle passa di madre in madre a proteggere il figlio, ma non lo si può “afferrare”: il rischio è di sgualcirlo. L’essere si può soltanto carezzare, così come una madre accarezza il figlio, ma non per questo lo possiede. È in siffatto frangente che il contenimento si fa educante: la madre accudisce il neonato, pure sapendo che un giorno lo perderà. Ma tale perdita non sarà una sconfitta: al contrario, è un evento naturale che attesta la riuscita dell’intento educativo. Anche il figlio perderà la madre a cagione della sua morte, ma l’essere è per-la-vita: ciò che della madre non si afferra più, lo si trascina con sé, e a tale protrarsi nel tempo può darsi il nome di eredità nascosta (eredità di affetti).
Il contenimento educante funziona come una sorta di “contenitore interno” delle ansie, delle angosce, delle paure legate alla vita quotidiana. In questa accezione, esso modella la struttura di personalità sin dalle origini, come una madre dalla quale ci si è liberati e della quale si conservano nel tempo le qualità di protezione, dedizione, sollecitudine e amorevolezza che si tramandano nella persona, traducendosi sostanzialmente nel volersi bene. L’amore di madre è metafora di un’affettività piena e totale, e la nonna materna, nel suo essere una seconda madre, può testimoniare il valore di un amore che non passa solo per il corpo (pure esso sacro), ma che si trasmette, quasi per osmosi, d’interiorità in interiorità (alla stregua di ogni dinamica transgenerazionale o immateriale).
Nelle prime fasi di vita, il piccolo non è mai del tutto “integrato”, gli “elementi sensoriali-motori”, in altre parole, non co-esistono naturalmente, ma con-sistono per il tramite del contenimento fisico e “simbolico” da parte della madre (Winnicott, 2004). La madre, a sua volta, ha bisogno di essere contenuta, “accolta”, non soltanto dal “marito” (Castellani, 2007), ma anche dalla famiglia d’origine: suo padre e sua madre. In specie, da sua madre: ecco perché la nonna materna ha una funzione specifica per i nuovi nati. Essa integra, contenendo la madre, la nascita psico-affettiva del nipote. La compagnia della nonna e del nonno, a partire da anni zero, integra il contenimento “materno”, e lo prolunga nel tempo senza incorrere nel rischio di incentivare comportamenti regressivi.
IL PRINCIPIO DI «INTEGRAZIONE» L’integrazione fra sé e il mondo esterno è sempre a rischio di smacchi e di perdite: per questa ragione può definirsi una crescita educativa, ossia un progredire che abbisogna di autoeducazione affinché possa, di volta in volta, inverarsi, e che, nel suo andare-oltre, educa a sempre nuove modalità integrative. La persona, in altri termini, è obbligata a integrarsi ogniqualvolta la sua esistenza è esposta a una svolta, a un cambiamento (dilemma assolutizzazione/relativizzazione). I nonni integrano a maggior ragione l’essere-per-la-vita dei figli e dei nipoti con la loro morte.
Il lutto per la perdita dei nonni compone un momento doloroso di crescita. Ma persino il nonno e la nonna più rassegnati, in fondo, desiderano vivere. Ed è questo desiderio di vita l’eredità di maggior pregio, nonché gradita a tutte le età, da lasciare ai nipoti. Il tenero ricordo della nonna materna, sia per i ragazzi che per i “giovani” e gli “adulti” in difficoltà, pare rappresentare una sorta di nido/culla/grembo ove ritrovare un “pieno di calore, affetto, rassicurazione”, oltre che di “energia fisica, intellettiva ed emotiva” (Lo Sapio, 2007): in una sola parola, un “tutto” dove poter sostare e trovare rifugio, una “totalità” che si esprime in un sentimento di pienezza affettiva a fronte del senso di vuoto, paura e solitudine esperito in talune circostanze esistenziali che mettono a dura prova la capacità di resistenza al disagio.
EDUCARSI ALLA TENEREZZA Il contraltare effettivo della tenerezza, il rancore, è parte stessa del sentire materno nei riguardi del bebè. Il problema di relazione fra la madre e il lattante sorge laddove il carattere ambivalente del sentire abbia il sopravvento su quello più segnatamente razionale. È il caso della depressione, che impedisce alla madre, di fatto, di decentrarsi e di concentrarsi sui bisogni del piccolo, con esiti noti alle cronache. La tenerezza di madre, d’altronde, non è innata, ma si apprende culturalmente. Per essere teneri, è bene educarsi alla tenerezza, e ciò esige impegno e fatica alla stregua di qualunque sentire educativamente orientato.
La nonna che assiste alla nascita del nipotino si lega immediatamente a lui per almeno due ordini di ragioni: in primo luogo, perché nella figlia rivede se stessa, e, in secondo luogo, perché la nascita del bebè attesta che il codice materno si è trasmesso di madre in figlia secondo modalità “vincenti”; è per questi “motivi” che “spesso le nonne dicono di sentirsi molto più legate ai bambini della figlia che non a quelli del figlio” (Kitzinger, 1998), ed è sempre per questi motivi che i nipoti ricordano con più facilità, nel tempo, i gesti e le parole della nonna materna rispetto a quelli degli altri nonni.
L’amore materno che si dispiega di madre in madre educa le generazioni alla tenerezza: è questa la cifra del legame nonna-nipote (cfr. Vegetti Finzi, 2010; Spini, 2002), la possibilità di ritrovarsi fra le braccia della “madre” senza, per questo, avere paura di regredire (cfr. Fonzi, 1988). Il valore “aggiunto”, in più, dei nonni rispetto ai genitori, è la possibilità di fruire, da parte del nipote, del “tempo fermato gratificante” (Barletta, 1984): presso i nonni, si respira un’aria diversa da quella consueta, tutto è fermo e stanziale, e si può provare il piacere di dedicarsi ad altro (al gioco, allo svago, come alla merenda) senza sentirsi in colpa per la “messa fra parentesi” della quotidianità.
Il tempo fermo e appagante è tempo della sospensione, della pausa, della calma, dell’interiorità: è il tempo della madre, della coccola e del vezzeggiamento, del perdere tempo e del girare intorno, della carezza e della risata. In questo senso, tutti i nonni sono “materni”, perché l’azione dei nonni è essenzialmente maternage. Con la nascita del nipote, difatti, la nonna e la madre ritornano a prendersi cura di loro stesse, perché accudiscono una “parte propria”, un generato che incarna l’interiorità, e i nonni, non più soltanto padri, si lasciano andare a quel maternage che un tempo, forse, non era loro concesso.
PRATICHE DI CURA DEL SENTIRE MATERNO Una prima pratica consiste, per il nipote, nel trascinare con sé una ricetta della nonna o del nonno – che si può “raccontare” agli anelli deboli della catena generazionale quasi fosse una storia. Una seconda pratica di cura, questa volta per i genitori e per i nonni, si dà in un essere-con dialogale e narrante. Scorrendo la letteratura per l’infanzia, sostiene Maria Letizia Meacci, l’immagine che risalta dai libri è quella di una nonna estremamente “amabile e accattivante”, la cui “presenza offre l’occasione per osservare ciò che accade intorno, per festeggiare o per fare nuove esperienze” (Meacci, 2000). Ancora, i fumetti per bambini sono zeppi di nonne fantasticate che tengono “sulle ginocchia” i nipotini e raccontano loro “una fiaba più bella dell’altra” (Lamourère, 2008).
Una terza pratica, di facilissima attuazione, riguarda l’intera famiglia, e consiste nello sfogliare assieme, ogni volta si dia occasione, gli album fotografici. D’altronde, sono le donne “le archiviste e le storiche delle vicende familiari” (Kitzinger, 1998). Una quarta e ultima pratica di cura del sentire materno da parte dei nonni può darsi nel raccogliere “per i bambini, e più tardi per gli adolescenti, tutto ciò che può interessarli” (Martinie, 2005): dalle conchiglie ai sassolini, dai ritagli di giornale alle sorprese delle merende, i nipoti amano sapere che qualcuno “custodisce” le loro passioni. Ma ciò che si raccoglie deve essere realmente “pensato” per l’erede: una rosa per la fanciulla dal pollice verde, una fotografia dell’artista preferito per l’adolescente, o… un abitino per la bambola della nipotina vezzosa.