Il sessismo linguistico La lingua italiana è maschilista? Dott.ssa Irene Biemmi (irene.biemmi@unifi.it) Corso “Donne, politica, istituzioni” Ferrara, 1 ottobre 2009
IL PROBLEMA DELLA “DONNA NELLA LINGUA” Sessismo intrinseco alla lingua “cosa il sistema linguistico mette a disposizione per riferirsi alle donne” Sessismo nell’uso della lingua “come si parla delle donne” Sessismo linguistico: l’immagine delle donne che emerge dalla pratica linguistica e il contrasto sempre più evidente tra l’ascesa sociale delle donne e la rigidità di una lingua costruita da e per i maschi Ipotesi: la lingua che parliamo e le pratiche sessiste che essa incorpora sono indicatori, se non responsabili, degli stereotipi di genere presenti nella società. Il sesso come variabile sociolinguistica: gli studi sulla “lingua delle donne” sono volti a far studiare le peculiarità del comportamento linguistico femminile (e maschile). L’ipotesi, molto controversa, da cui partono è che il linguaggio femminile sia distinto e differenze da quello maschile e che tale diversità sia dovuta a fattori innati (visione essenzialista delle differenze). Alcune peculiarità del linguaggio femminile sarebbero: la chiacchera, l’incertezza, l’alta ricorrenza di elementi fatici, l’adeguamento elevato allo standard, la maggiore emotività. In sostanza si crea una dicotomia tra un linguaggio maschile più referenziale contrapposto ad un linguaggio femminile più emotivo. Rimane irrisolto il quesito se questa differenza sia “naturale” oppure acquisita nei processi di socializzazione.
I lavori di Alma Sabatini 1986: Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Roma, Presidenza del consiglio dei ministri. 1987: Il sessismo nella lingua italiana, Roma, Presidenza del consiglio dei ministri.
strumento di comunicazione Ipotesi Sapir-Whorf la lingua è “un binario su cui viaggia il pensiero” rapporto lingua/realtà/pensiero parlare non è mai neutro Il linguaggio non è un semplice strumento di comunicazione ma è soprattutto uno strumento di percezione e di classificazione della realtà che condiziona il pensiero stesso dei parlanti L'Ipotesi di Sapir-Whorf, altresì conosciuta come ipotesi della relatività linguistica, fu proposta dal linguista e antropologo Edward Sapir e del suo collega e allievo Benjamin Whorf. In base a tale ipotesi, che è un vero assioma linguistico, la lingua non è un contenitore o un veicolo neutro di un determinato contenuto identico per tutta l’umanità, ma costituisce anche il contenuto stesso, cioè il modo in cui viene percepita e organizzata la realtà: il modo di esprimersi influenza il modo di pensare. È noto l’esempio riportato da Whorf sulla lingua degli eschimesi, che prevede varie decine di parole per designare il concetto di “neve”, a seconda che essa sia bagnata o ghiacciata o stia cadendo e così via. La stessa lingua eschimese dispone di circa dieci parole per indicare altrettante tonalità del colore bianco; questa maggiore ricchezza, rispetto a lingue come l'italiano, permette di individuare meglio il colore reale di un oggetto che noi italiani designeremmo con l'aggettivo "bianco". Ciò significa che la segmentazione di significati e la rappresentazione della realtà è strettamente vincolata alla lingua. “Per i parlanti il cui background linguistico fa sì che ne diano una formulazione diversa, i fatti sono diversi” (B.L. Whorf, Linguaggio, pensiero e realtà, Torino, Boringhieri, 1970). In altre parole: se ho 10 termini differenti per riferirmi al colore bianco affinerò anche la mia percezione di tale colore, suddividendolo in varie gradazione e potrò fare questo solo perché ho a disposizione altrettante parole. NELLA LINGUA SONO SEDIMENTATE E SI FORMANO LE NOSTRE OPINIONI: discorsi diversi costruiscono diversamente il mondo. Ad esempio: se nel raccontare un atto di violenza sessuale ci riferiamo agli uomini come “persone mosse da un istinto naturale” e alle donne dicendo che “hanno agito provocatoriamente”, creeremo empatia con gli uomini.
Condizionamento di genere insito nella lingua “L’impostazione «androcentrica» della lingua [...] riflettendo una situazione sociale storicamente situabile, induce fatalmente giudizi che sminuiscono, ridimensionano e, in definitiva, penalizzano, le posizioni che la donna è venuta oggi ad occupare.” (Sabatini, 1987: 15)
Duplice disparità linguistica tra uomo e donna Dissimmetrie grammaticali Dissimmetrie semantiche
Le dissimmetrie grammaticali d.g. relative all’uso del maschile non marcato, cioè alla funzione bivalente del genere maschile, che si riferisce sia al sesso maschile sia ad entrambi i generi; 2. d.g. relative agli agentivi (aspetto particolare del maschile non marcato): nomi che indicano professione, mestiere, titolo, carica, ecc; 3. d.g. relative all’uso di nomi, cognomi, titoli, appellativi.
Il maschile non marcato Def. “Uomo”: I: Ogni essere appartenente alla specie vivente più evoluta del nostro pianeta II: Individuo di sesso maschile, appartenente alla specie umana Def. “Donna”: Femmina fisicamente adulta della specie umana Cosa si intende in linguistica con i termini: “marcato” e “non marcato”? La “marcatezza” può essere relativa sia al significato che al significante di un termine. Noi ci riferiamo alla “marcatezza semantica” (cioè relativa al significato). Definizione: un termine è semanticamente non marcato se ha una distribuzione più ampia o è più frequente rispetto ad un altro termine col quale è in opposizione. In italiano, per esempio, se dobbiamo affermare qualcosa sui gatti in generale usiamo il termine maschile (il gatto è un felino) e non quello femminile (la gatta è un felino). Il maschile ha una distribuzione più ampia del femminile e viene usato, nelle affermazioni generali, non per riferirsi a un singolo concreto referente ma all’intera classe denotata dal nome. Il maschile ha quindi un significato non marcato e può essere utilizzato per indicare referenti ambosessi; il femminile invece si usa quasi esclusivamente con significato marcato (cioè per indicare il sesso femminile). ______________________________________________________________________________________________________Problema: Spesso il maschile non marcato è un “falso-generico” (false generic in inglese) o “pseudogenerico” perché si riferisce solo al maschile. Ne sono una dimostrazione frasi come le seguenti: “tra i passeggeri coinvolti si trovavano pendolari, donne e bambini”; oppure “i manager e le loro mogli” e ancora “il marito del signor ministro“, che dimostrano in maniera inequivocabile che nel maschile generico non erano comprese le donne. Il fatto che il maschile-non marcato spesso non si riferisca ad ambedue i sessi ma soltanto al sesso maschile è dimostrato dalla frase “L’uomo è un mammifero perché allatta i suoi piccoli” che viene percepita come inappropriata. In tutti questi casi il maschile è falsamente neutro perché in realtà si riferisce esclusivamente a referenti maschi. IL MASCHILE NON MARCATO è AMBIGUO, IN UN DUPLICE SENSO: può occultare la presenza delle donne così come può occultarne l’assenza: 1° caso: uomo di Neanderthal (poteva essere una donna, ma noi abbiamo un’immagine maschile); 2° caso: nel 1913 fu introdotto in Italia il suffragio “universale”. Maschile in realtà, perché le donne erano escluse dal diritto al voto (si occulta l’assenza femminile). Bisognerà aspettare il 1946 perché quell’«universale» fosse veramente tale, nelle prime elezioni democratiche dopo il ventennio fascista e le devastazioni della Seconda guerra mondiale. Sabatini parla di una falsa “neutralità” del maschile che spaccia per universale ciò che è solo dell’uomo
Dissimmetrie grammaticali derivanti dall’uso del maschile non marcato a) L’uso di sostantivi quali: fratelli, fratellanza, fraternità, padri, paternità, ecc. con valore non marcato. Ad esempio: la fratellanza dei popoli, la paternità di questo lavoro è da attribuire a Maria X, ecc. b) La concordanza al maschile di aggettivi, participi passati, ecc. con serie di nomi femminili e maschili (+ umano), determinata dalla sola presenza di un nome maschile. c) La precedenza del maschile nelle coppie oppositive uomo-donna. Ad esempio: i ragazzi e le ragazze, fratelli e sorelle, bambini e bambine ecc. d) La designazione delle donne come categoria a parte, quando se ne vuole esplicitare la presenza in gruppi misti. Ad esempio: vecchi, pensionati, disoccupati e donne. e) Le limitazioni semantiche del femminile, conseguenti al fatto che è sempre marcato, mentre il maschile ha doppia valenza.
Il problema degli agentivi Alcune possibili soluzioni: Uso del titolo al maschile con concordanze al maschile di aggettivi, participi passati (es. il senatore Susanna Agnelli; l’amministratore unico Marisa Bellisario; la dottoressa Rusa Fusco, direttore amministrativo; Luciana Castellina, parlamentare europeo; il segretario nazionale della FNSI Miriam Mafai) Uso del modificatore donna anteposto o posposto al nome base (titolo al maschile). Esempi: donna sindaco, donna ministro, donna questore, ecc. oppure sindaco donna, ministro donna, questore donna, ecc. Aggiunta del suffisso -essa (es. “vigilessa”, “presidentessa”, “avvocatessa”) Problema specifico: ABBANDONARE/DISAMBIGUARE L’USO DEL MASCHILE GENERICO NEGLI ANNUNCI DI LAVORO. Riferimenti normativi: LEGGE 903/1977 sulla “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”. All’art. 1 si legge: E' vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale. La discriminazione di cui al comma precedente è vietata anche se attuata: 1) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza; 2) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. LEGGE 125/1991 "AZIONI POSITIVE PER LA REALIZZAZIONE DELLA PARITA' UOMO-DONNA NEL LAVORO" , all’art.4 comma 2 e 3 si legge: 2. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente alla adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell`uno dell`altro sesso e riguardano requisiti non essenziali allo svolgimento dell`attività lavorativa. 3. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate da imprese private e pubbliche la prestazione richiesta deve essere accompagnata dalle parole "dell`uno o dell`altro sesso", fatta eccezione per casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione. NELLA MAGGIORANZA DEI CASI QUESTO NON ACCADE: la maggior parte delle offerte di lavoro sono formulate con l’utilizzo del maschile non marcato e non disambiguato (neppure attraverso lo splitting: es. infermiere/infermiera); si crea una dicotomia tra annunci di lavoro “per uomini” e , più raramente, “per donne” e quelli femminili sono generalmente di basso profilo (es. impiegata, cucitrice, commessa, cassiera).
Uso dissimmetrico di nomi, cognomi, titoli, appellativi L’uomo, se noto, viene designato col solo cognome (Cossiga, Moravia, ecc.) più raramente con nome e cognome (Francesco Cossiga, Alberto Moravia, ecc.). La donna invece si sigla con il primo nome (“Nancy, first lady” per riferirsi a Nancy Reagan), con il solo cognome preceduto dall’articolo la (la Jotti, la Morante ecc.) o indicando nome e cognome (Nilde Jotti, Elsa Morante, ecc.). Uso dissimmetrico di signora/signore e di “signorina” (assente “signorino”)
Dissimmetrie semantiche: derivanti dalle “regole d’uso” della lingua d.s. relative all’uso di aggettivi, sostantivi, forme alterate (diminutivi, vezzeggiativi, ecc.); d.s. relative all’uso dell’immagine (metafore, metonimie, eufemismi, stilemi stereotipati) e al tono del discorso; d.s. relative all’uso di forme di identificazione della donna attraverso l’uomo, l’età, la professione, il ruolo.
Le “Raccomandazioni”: A. il maschile neutro Evitare l’uso delle parole “uomo” e “uomini” in senso universale. Esse potranno essere sostituite da: persona/e; essere/i umano/i; popolo; popolazione ecc. (es. anziché “i diritti dell’uomo” i “diritti umani”); Evitare di dare sempre la precedenza al maschile nelle coppie oppositive uomo/donna (es. non dire sempre “fratelli e sorelle, bambini e bambine, uomini e donne” ma alternare “sorelle e fratelli con fratelli e sorelle, bambine e bambini con bambini e bambine” ecc.); Evitare le parole: fraternità, fratellanza, paternità quando si riferiscono a donne e uomini (es. invece de “la fratellanza tra le nazioni” usare “la solidarietà tra le nazioni”); Evitare di accordare il participio passato al maschile, quando i nomi sono in prevalenza femminili. Si suggerisce in tal caso di accordare con il genere largamente maggioritario oppure, qualora ci fossero difficoltà nello stabilire il genere maggioritario, con il genere dell’ultimo sostantivo della serie. (es. “Carla, Maria, Francesca, Giacomo e Sandra sono arrivati stamattina” andrà sostituito con “Carla, Maria, Francesca, Giacomo e Sandra sono arrivate stamattina”).
B. Uso dissimmetrico di nomi, cognomi e titoli Evitare di riferirsi alla donna con il primo nome e all’uomo con il solo cognome o con nome e cognome; Abolire l’uso del titolo “signorina”, dissimmetrico rispetto al “signorino” per uomo, ormai scomparso e che non è mai stato usato con lo stesso valore (indicare lo stato civile); Evitare il titolo “signora” quando può essere sostituito dal titolo professionale (soprattutto quando i nomi maschili copresenti sono accompagnati dal titolo). Ad es. “…ai lavori coordinati dalla Signora Roubet partecipa anche il Professor Ceccaldi…” sarà sostituito con “…ai lavori coordinati dalla Professoressa Roubet partecipa anche il Professor Ceccaldi…”.
C. Gli agentivi I termini -o, -aio/-ario, -iere mutano in -a, -aia/-aria, -iera (es. appuntata, architetta, avvocata, capitana, chirurga, colonnella, critica, marescialla, ministra, prefetta, primaria, rabbina, notaia, segretaria, infermiera, pioniera, portiera); I termini in -sore mutano in -sora (es. assessora, difensora, evasora, oppressora, ecc.). I femminili in -essa corrispondenti a maschili in -sore devono essere sostituiti da nuove forme in -sora (es. dottora, professora, ecc.) I termini in -tore mutano in -trice (es. ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, redattrice, senatrice, accompagnatrice). Nei seguenti casi non si ha adeguamento morfofonetico al femminile, ma solo l’anteposizione dell’articolo femminile: Termini in -e o in -a (es. caporale, generale, maggiore, parlamentare, preside, ufficiale, vigile, custode, interprete, sacerdote, presidente); Forme italianizzate di participi presenti latini (es. agente, inserviente, cantante, comandante, tenente); Composti con capo- (es. capofamiglia, caposervizio, capo ufficio stampa). Alcuni studiosi hanno messo in luce i limiti dell’approccio della Sabatini al problema dell’uso sessista dei titoli professionali. Secondo Sabatini il problema si risolve semplicemente attraverso la femminilizzazione dei titoli (significante). Per altri bisognerebbe invece verificare come il nuovo titolo al femminile viene connotato (significato connotativo): ad esempio il termine segretaria ha una connotazione ben diversa dall’equivalente maschile segretario. Nel dizionario De Mauro alla voce “segretario” si legge: 1 OB funzionario e, talvolta, consigliere fidato di un sovrano, di un principe e sim., che svolgeva incarichi di alta responsabilità, spesso riservati 2a AU presso società, aziende, uffici o presso studi professionali, impiegato che svolge mansioni di fiducia di vario tipo alle dipendenze di un superiore 2b AU in enti pubblici di vario genere, chi sovrintende alle funzioni amministrative redigendo i verbali, sbrigando la corrispondenza, conservando i registri, ecc. | nel corso di riunioni, assemblee e sim., chi redige il verbale della seduta notificando le delibere 2c AU presso gli istituti scolastici, impiegato che ha l’incarico di svolgere mansioni amministrative e burocratiche 2d AU unito a una specificazione di mansione, indica chi esercita funzioni che sono più frequentemente svolte da donne: s. di produzione, di redazione, di scena Nello stesso dizionario alla voce “segretaria” si legge: AU in enti pubblici, aziende o presso studi professionali, impiegata che svolge funzioni di segreteria
Le critiche alle raccomandazioni: È possibile, e lecito, programmare di modificare una lingua “a tavolino”? Secondo Alma Sabatini, sì: “…la gente ormai si vergogna al solo pensiero di essere tacciata di «classista» o «razzista». Quando ci si vergognerà altrettanto di essere considerati «sessisti» molti cambiamenti qui auspicati diverranno realtà «normale».” (Sabatini, 1987: 102). Ma molti sono di opinione contraria…
I cambiamenti linguistici non possono essere programmati Giulio Lepschy I cambiamenti linguistici non possono essere programmati né tantomeno imposti: essi sono una naturale conseguenza di cambiamenti socio-culturali. “Una volta che una donna può essere dottore, ministro, Presidente della Repubblica, o papa, è del tutto indifferente che sia chiamata ‘medica’ / ‘ministra’ / ‘Presidentessa’/ ‘papessa’, o ‘medico’ / ‘ministro’/ ‘Presidente’ / ‘papa’ [...].” (Lepschy, 1988: 13). LEPSCHY Giulio (1988), Lingua e sessismo, in “L’Italia dialettale”, n.7, pp. 7-37.
“In situazioni di comunicazione comune la lingua può oscillare” Cecilia Robustelli Distinzione tra la lingua come sistema virtuale e la sua realizzazione testuale (discorsi reali): “In contesti comunicativi rigidi quali quelli istituzionali, rispecchiati nei testi legislativi e nell’insieme della lingua giuridica, difficilmente ci si distaccherà dalla codificazione tradizionale, e quindi dal predominio del genere grammaticale maschile” “In situazioni di comunicazione comune la lingua può oscillare”
Cecilia Robustelli “La realtà sociolinguistica italiana, la relativa novità associata al riconoscimento di uno status di piena dignità alle donne, la posizione politica ancora precaria (anche se non sono mancati casi di affermazione eclatante) che esse detengono nel nostro paese, sembra suggerire di sottolineare l’identità femminile anche, ove possibile, con qualche forzatura linguistica, per evitare che il ruolo e, soprattutto, le identità femminili vengano oscurate sotto il tradizionale ombrello androcentrico.” (Ibid.: 524) ROBUSTELLI Cecilia (2000), Lingua e identità di genere. Problemi attuali nell’italiano, in “Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata”, 3/29, pp. 507-527.
Concludendo… “In una concezione della lingua come depositaria di cultura, come prodotto della società che la parla, appare vano tentare di modificare la lingua e pretendere che sia un tale cambiamento ad influenzare la società, se questa è stata ed è ancora una società sessista. Ma se è invece vero che la realtà sociale italiana è in via di modificazione, la discussione di quegli aspetti della lingua e del discorso che non riflettono ancora tale realtà e che anzi perpetuano stereotipi già spesso superati nella realtà viene ad essere necessaria.” CARDINALETTI Anna; GIUSTI Giuliana (1991), Il sessismo nella lingua italiana. Riflessioni sui lavori di Alma Sabatini, in “Rassegna Italiana di Linguistica Applicata”, n.2, pp. 169-189.
Riferimenti bibliografici CARDINALETTI Anna; GIUSTI Giuliana (1991), Il sessismo nella lingua italiana. Riflessioni sui lavori di Alma Sabatini, in “Rassegna Italiana di Linguistica Applicata”, n.2, pp. 169-189. CORTELLAZZO Manlio (1995), Perché non si vuole la presidentessa?, in Marcato (1995). IRIGARAY Luce (1984), Éthique de la différence sexuelle (trad. it. Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985). ID. (1985), Parler n'est jamais neutre (trad. it. Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991). LEPSCHY Giulio (1988), Lingua e sessismo, in “L’Italia dialettale”, n.7, pp. 7-37. LURAGHI Silvia-OLITA Anna [a cura di], Linguaggio e genere, Carocci, Roma 2006. MARCATO Gianna [a cura di] (1995), Donna e linguaggio, Padova, Cleup. ROBUSTELLI Cecilia (2000), Lingua e identità di genere. Problemi attuali nell’italiano, in “Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata”, 3/29, pp. 507-527. SABATINI Alma (1986), Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Roma, Presidenza del consiglio dei ministri. ID. (1987) Il sessismo nella lingua italiana, Roma, Presidenza del consiglio dei ministri. VIOLI Patrizia (1986), L’infinito singolare. Considerazioni sulle differenze sessuali nel linguaggio, Verona, Essedue.