Dirigere il proprio apprendimento Esperienze e neuroni Cap. 8, cap. 10
Pellerey M. , 2006, Dirigere il proprio apprendimento Pellerey M., 2006, Dirigere il proprio apprendimento. Autodeterminazione e autoregolazione nei processi di apprendimento, La Scuola, Brescia. Dewey J., 2012, Democrazia e educazione, Sansoni, Milano. Iacoponi M., 2011, I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, Torino. Rizzolatti G., Sinigaglia C., 2006, So quello che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano. Rizzolatti G., Vozza L., 2008, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli, Bologna. Cap. 8, cap. 10, testo in adozione
Dirigere e regolare il proprio apprendimento È stata più volte evidenziata l’esigenza di un insegnamento che favorisca l’apprendimento da parte dello studente; ad esempio, quando si è parlato di Didattica B e di situazioni a-didattiche. Tale aspirazione porta con sé analisi concernenti la capacità di un allievo di dirigere e regolare il proprio apprendimento.
Dirigere e regolare il proprio apprendimento Pellerey dice che dirigere «se stessi nel proprio apprendimento culturale e/o professionale può essere riletto secondo due prospettive complementari, integrando tra loro i concetti di autodeterminazione e di autoregolazione». autodeterminazione: intenzionalità dell’azione; rimanda a motivazione, decisione, a progettualità; autoregolazione: evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione; rimanda a controllo dell’azione
Dirigere e regolare il proprio apprendimento il soggetto che apprende si fa carico dei propri processi apprenditivi; ciò deve riguardare anche il docente, per favorire tale modalità formativa i docenti possono e debbono proporre, però sono gli studenti che apprendono e solamente loro sanno come conquistare mete e se le hanno conquistate
Dirigere e regolare il proprio apprendimento «Per questo essi debbono cercare di sviluppare un sistema di governo dell’apprendimento che risulti valido e produttivo, ma non possono e non potranno mai sostituirsi all’impegno e all’attività che devono mettere in campo gli studenti. Questi, d’altra parte, devono imparare progressivamente a gestire se stessi in tale contesto» (Pellerey M., 2006, p. 8).
Dirigere e regolare il proprio apprendimento la prospettiva legata all’autodeterminazione e all’autoregolazione del processo di apprendimento porta con sé i principi di autonomia nei soggetti in formazione. la prospettiva dell’autonomia è radicata nelle rielaborazioni di diversi autori, lungo lo sviluppo della pedagogia. In questo contesto facciamo brevemente riferimento a J.J. Rousseau, J. Dewey.
Rousseau Rousseau esclude completamente l’educazione degli uomini; dice Rousseau che per formare (l’uomo) occorre che niente sia fatto; ciò comporta essenzialmente l’eliminazione di tutte le pratiche tipiche di un approccio didascalico: evitare l’assillo di un’azione educativa verbalistica, le varie ammonizioni, le punizioni dispensate dall’alto; ma anche i continui tentativi di anticipare lo sviluppo delle capacità naturali poiché la più utile regola di un agire educativo è di perdere tempo e non di guadagnarlo
Rousseau una simile educazione è possibile perché esiste un naturale sviluppo delle capacità dell’educando, “un principio attivo”, intimo al fanciullo; in ciò consiste l’educazione naturale tuttavia non bisogna lasciare lo sviluppo in un vuoto educativo, ma occorre intervenire, anche se solo indirettamente, apprestando ambienti nei quali sistemare le cose che, sappiamo, possano soddisfare i bisogni di attività degli allievi; non bisogna dimenticare di graduare queste esperienze
Rousseau il rapporto fra educatore ed educando non viene abolito, al contrario esso è ancora più difficile e impegnativo: infatti eliminando ogni sorta di approccio didascalico, si realizza nell’allestire situazioni concrete
Dewey «[…] Noi parliamo, abbastanza legittimamente, del metodo di pensare ma la cosa importante da ricordare circa il metodo è che il pensiero è il metodo, il metodo di un’intelligente esperienza nel suo svolgimento» (Dewey J., 2012, p. 164)
Dewey l’errore che si commette nella scuola è quello di partire dai contenuti già fatti delle discipline, senza preoccuparsi di far effettuare una esperienza diretta e personale in situazione nella scuola si dovrebbe praticare un approccio meno scolastico possibile e procedere con esperienze continue, analoghe a quelle che lo studente incontra nel mondo fuori della scuola
è necessario che «l’allievo sia posto in una situazione genuina di esperienza: che ci sia un’attività continua la quale lo interessi per se stessa; in secondo luogo che un problema reale si sviluppi in questa situazione come uno stimolo al pensiero; in terzo luogo che egli possegga il materiale informativo e faccia le osservazioni necessarie per farne uso; in quarto luogo ch’egli sia posto in grado di sviluppare in modo ordinato le soluzioni che gli vengono in mente; infine che abbia opportunità e occasione di saggiare le sue idee per mezzo dell’applicazione, onde chiarirne il significato e scoprirne da sé la validità» (ivi, p. 177)
Dewey occorre cioè impegnare gli studenti assegnando loro «qualcosa da fare, non qualcosa da imparare» ovviamente questo qualcosa non deve essere né estemporaneo né ripetitivo, ma deve essere abbastanza nuovo, che si colleghi con il vissuto precedente e che non richieda soluzioni che siano troppo in là rispetto a ciò che si fa e si sa fare (ivi, p. 168).
Dewey: continuità delle esperienze ciascuno di noi rappresenta le esperienze già vissute e una nuova esperienza assume significato in base a quelle vissute precedentemente e inciderà su quelle future esiste una certa continuità nell’esperienza e, in campo educativo, occorrerà che l’influenza progressiva di ciascuna sia positiva, favorisca cioè l’acquisizione di nuove esperienze e non blocchi il processo
Dewey: continuità delle esperienze Dewey è contrario ad ogni spontaneismo che comporti una proposta di attività estemporanee o ripetitive; il docente deve preoccuparsi di organizzare il lavoro secondo una corretta e sensata programmazione di esperienze proporre una esperienza educativa non significa che questa debba essere un successo, significa che il ritorno educativo deve essere positivo. «Un’esperienza è […] educativa quando da essa scaturisce il desiderio di proseguire il percorso iniziato, quando dà luogo a una continuità di esperienze» (ivi, p. 26). Se si incappa in un fallimento, occorre trasformarlo in un positivo fatto educativo cercando di trovare una soluzione alternativa. Il docente deve agire cercando di calibrare le esperienze per evitare quanto più possibile dei fallimenti.
Esperienza e neuroni una struttura esistente nel cervello dei mammiferi è la neocorteccia. In essa si individuano una corteccia premotoria e una motoria. Nella prima avvengono le pianificazioni delle azioni, attraverso schemi di neuroni canonici che agiscono in modo coordinato e secondo sequenze. In essa, quindi, hanno origine i progetti di movimento, mentre nella corteccia motoria avviene la conversione di questi in comandi motori (Iacoponi M., 2009; Rizzolatti G., Sinigaglia C., 2006)
Esperienza e neuroni I neuroni canonici e gli schemi che nel tempo vengono creati, costituiscono un patrimonio di atti motori che rappresentano una collezione da utilizzare per compiere azioni sempre più articolate. Un’azione che, apparentemente, ci può sembrare semplice è frutto di anni di esperienze vissute a fare inizio dalla prima infanzia, ad esempio mangiare con coltello e forchetta. Queste esperienze vengono impresse in schemi di neuroni che rappresentano le esperienze vissute dalla persona
Esperienza e neuroni la particolarità di questi neuroni è che si attivano in previsione dell’azione da compiere sono stati suddivisi in raggruppamenti in base allo scopo dell’azione: “neuroni-afferare-con-la-mano” “neuroni-strappare” ”neuroni-tenere” ”neuroni-lasciare” ………………….
Esperienza e neuroni quando viene visto un oggetto viene attivato, nella corteccia premotoria, il pattern relativo al comportamento da adottare con quell’oggetto. Resta un atto potenziale fino a quando l’individuo decide, se lo decide, di afferrare l’oggetto (in generale di interagire con l’oggetto) se, camminando, troviamo sulla nostra strada un ostacolo, potremmo evitarlo, passarci sopra o, se possibile, spostarlo. Questi pattern sono pre-allertati nella corteccia premotoria e nell’istante in cui decidiamo cosa fare, il pattern scelto, già vigile, può immediatamente far attivare, attraverso l’area motoria, i muscoli corrispondenti
Esperienza e neuroni «per accumulo di esperienze, prove ed errori, il repertorio di atti motori si arricchisce senza sosta, soprattutto durante lo sviluppo» «se un individuo non ha la possibilità di compiere esperienze motorie precoci, il suo repertorio di atti motori avrà qualche lacuna» vicenda di Kaspar Hauser (Rizzolatti G., Vozza L., 2008, pag. 25) Rizzolatti G., Vozza L., 2008
Esperienza e neuroni la complessità degli atti motori si «accresce quanto più sono ricche e variegate le esperienze dell’individuo. Sono queste infatti a determinare la forma che assumono quegli intrecci e ramificazioni neuronali nei quali sono codificati le azioni» «In tal modo si forma il repertorio cerebrale di tutti quei segmenti di atti motori che, eseguiti in molteplici combinazioni, ci permettono di spostarci, nutrirci, agire, in una parola di “funzionare” nell’ambiente che ci circonda» Rizzolatti G., Vozza L., 2008
Esperienza e neuroni in modo analogo nella corteccia visiva «la collezione di forme e segni […] costituisce una sorta di repertorio a cui il cervello attinge per analizzare, interpretare e ricostruire le immagini provenienti dal mondo esterno» «Hubel e Wiesel (Università di Harward, anni ‘50) hanno […] dimostrato che i neuroni della corteccia visiva iniziano a maturare le proprie capacità di codificare stimoli visivi subito dopo la nascita, soltanto però se l’occhio è esposto a tali stimoli. Rizzolatti G., Vozza L., 2008
Esperienza e neuroni Se durante questo periodo cruciale per lo sviluppo l’occhio rimane invece coperto, le capacità visive della corteccia risultano compromesse. Ciò significa che alla nascita il repertorio di segni e forme è come un grande libro vuoto che per essere riempito ha bisogno di nutrirsi dell’esperienza: più l’occhio incontra nuovi stimoli, più il repertorio si arricchisce di voci […] e di richiami incrociati» Rizzolatti G., Vozza L., 2008
Neuroni specchio e empatia Nella corteccia premotoria esiste un 20% di neuroni specchio. I neuroni specchio sono alcuni neuroni che si attivano sia quando gli individui eseguono l’azione, sia quando la vedono soltanto eseguire (Iacoponi M., 2009, p. 29). Quando si vede compiere un’azione si mette in funzione lo schema motorio necessario al compimento del l’azione.
Neuroni specchio e empatia Sono chiamati in questo modo perché si avviano quando qualcuno guarda le azioni di qualcun altro; quando si mettono in moto nell’osservatore è come se operassero un rispecchiamento. Si attivano gli stessi neuroni che si attiverebbero qualora la persona che osserva agisse l’azione che ha osservato. Quando si osserva una persona che prende una penna dal suo tavolo, si attivano i neuroni specchio, che si attiverebbero qualora l’osservatore facesse quell’azione.
Neuroni specchio e empatia Da esperimenti effettuati da diversi ricercatori (Rizzolatti G., Vozza L., 2008; pp. 44-46) risulta che neuroni specchio si attivano anche: osservando gesti compiuti da diverse parti del corpo, ad esempio, la bocca nell’atto del mangiare, o un piede quando agisce in qualche modo osservando azioni intransitive; sono quelle non indirizzate ad oggetti, ad esempio il gesticolare; sono azioni transitive quelle che coinvolgono oggetti quando si sente parlare di un’azione o la si descrive; i neuroni specchio che si attivano quando si osserva una azione sono gli stessi che si attivano quando si legge una sua descrizione oppure si sente parlare della stessa
Neuroni specchio e empatia infine esiste una relazione fra il partecipare alle emozioni altrui e i neuroni specchio. noi siamo in grado di relazionarci con gli altri partecipando alle loro emozioni. Giustifichiamo tutto ciò pensando che noi immaginiamo le emozioni degli altri e ci immedesimiamo chiamiamo ciò empatia. L’empatia è la capacità di riuscire a capire e vivere ciò che altre persone stanno provando e vivendo, di entrare in sintonia con loro permettendoci di collegarci in modo autorevole con i loro processi emotivi
Neuroni specchio e empatia con la scoperta dei neuroni specchio è sembrato naturale, per le loro caratteristiche di simulare le azioni degli altri, analizzarla attraverso gli studi di questo settore. Con sperimentazioni (Iacoponi M., 2011, Rizzolatti G., Sinigaglia C., 2006, Rizzolatti G., Vozza L., 2008) condotte su persone che vivono diverse emozioni (disgusto, dolore, umiliazione, imbarazzo, …) e su osservatori di queste emozioni, si è constatato che l’osservazione diretta delle persone che vivono queste emozioni, attiva le stesse regioni della corteccia che sono attivate quando si vivono quelle emozioni
Neuroni specchio e empatia grazie ai neuroni specchio, l’osservatore vive l’emozione altrui attraverso un’attivazione indotta dello stesso circuito nervoso che delinea lo sviluppo di quell’emozione. In definitiva, osservare un’emozione induce nel- l’osservatore l’automatica simulazione di quella stessa emozione: questo meccanismo consente una forma implicita di comprensione delle emozioni altrui
Neuroni specchio e empatia Quanto fin qui detto in merito ai neuroni specchio porta ad alcune considerazioni in riferimento alla didattica. In particolare è possibile individuare due piste di analisi: una prima riguarda le interazioni che si generano fra individui a livello neuronale; l’empatia è un esempio di questo colloquio; …………………………….. limiteremo la nostra attenzione solamente alla prima.
Neuroni specchio e empatia occorre tenere in particolare conto l’empatia; occorre prestare la massima attenzione alla fitta rete di relazioni che si instaurano fra docente e studenti e fra studenti e studenti, di cui non si è coscienti ma di cui si dovrebbe essere consapevoli, che incide nell’approccio alla conoscenza diviene importante regolare il proprio corpo ai fini di una gestione dell’empatia; occorre, ad esempio, mettere entusiasmo nei processi insegnativi in modo che lo studente possa partecipare e vivere lo stesso entusiasmo
Neuroni specchio e empatia inoltre si può e si deve presentare gli argomenti con variegati termini evocativi (ricordiamo come i neuroni specchio si attivino anche in presenza di letture e descrizioni), presentare esemplificazioni attraverso video ma anche con operazioni di modellamento (ricordiamo che gli osservatori vivono quello che osservano attraverso i neuroni specchio e questo significa fare esperienza di quello che si osserva) esiste una forte sinergia fra gli esseri umani e ciò si riverbera nei rapporti educativi e i docenti debbono essere consapevoli di ciò