Libertà, Novelle rusticane Contesto: 1860, i garibaldini sbarcano in Sicilia. A Bronte, alle falde dell’Etna i contadini si rivoltano contro i “padroni” massacrandoli” Verga funge un po’ da reporter e cerca di “fotografare” la difficile situazione
Analisi del testo I tre nuclei narrativi: la carneficina, le esitazioni, l’arrivo dell’”ordine costituito” La folla caratterizzata come furia animalesca segna la distanza del narratore dai fatti incresciosi di Bronte evidente negli aggettivi e nei sostantivi utilizzati per raccontarcela Quando il punto di vista invece scende al livello dei “berretti bianchi”, il narratore prova ad indagare le ragioni della rivolta (le frustate dei campieri, lo sbirro, il prete, il guardaboschi della prima parte)
Analisi del testo 2 L’oscillazione dei punti di vista del narratore evidenzia l’atteggiamento problematico di Verga nei confronti dei fatti e del loro significato Nel racconto del giorno dopo, nel “riffa e raffa” per la spartizione delle terre, c’è tutta l’ideologia della “lotta per la vita” di matrice darwiniana a cui Verga aderì: l’uomo è sempre sconfitto, anche senza le norme costituite il problema rimane, è nella natura stessa dell’animo umano, egoista e prevaricatore La divisione in classi è una necessità triste e amara, i padroni non potevano fare a meno dei contadini e i contadini dei padroni, una storia vecchia come l’uomo (si pensi al passo dio Aldalberone di Laon dell’800d.C)
Analisi del testo 3 Nella narrazione del processo il narratore assume il punto di vista dei popolani e non manca un atteggiamento di pietà nei confronti dei “rivoltosi” La battuta conclusiva segna un po’ il carattere di quest’Italia un po’ credulona, pronta a bersi promesse irrealizzabili o quantomeno discutibili sul piano pratico, è la stessa Italia che cercherà nell’Africa già colonizzata dagli altri un pezzettino di terra al sole, è la storia di Adua, la storia di ieri, la storia di oggi
L’autore Gli esordi “scapigliati” a Milano: Eva, Eros e Tigre reale L’incontro con Capuana e l’influenza delle opere di Zolà La raccolta di novelle I Malavoglia e l’idea di un “ciclo dei vinti” (I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, La Duchessa di Leyra, L’Onorevole Scipioni, L’uomo di lusso) Il ciclo dei vinti doveva essere, secondo l’autore, “una specie di fantasmagoria della lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro e all’artista” Il Mastro Don Gesualdo e la mancata conclusione del ciclo
Il pensiero La vita è dominata dalla legge della lotta per la vita, in ogni ambiente sociale, luogo e tempo La realtà sociale non si può mutare perché dipende dalla natura egoistica e brutale dell’uomo Rifiuto delle visioni consolatorie del mondo: religione, progresso, socialismo La letteratura non serve a modificare la realtà, ma solo a conoscerla È conservatore e reazionario
Una nuova narrativa Uno stile nuovo basato sull’eclissi dell’autore che non deve far trasparire il proprio giudizio sui personaggi, a differenza di Manzoni e anche dello stesso Zolà La scelta dell’impersonalità nasce dalla sua ideologia profondamente pessimista basata sulla teoria della “lotta per la vita” che non sfocia nella vittoria ma nella sconfitta, nella distruzione, nella solitudine Una lingua lineare e vicina al parlato, per rendere più efficace la regressione con la mentalità dei personaggi La focalizzazione è interna, il narratore è esterno e ne sa quanto i personaggi, ciò dà vita ad un narratore o coro popolare
I Malavoglia “uomini elementari attaccati, come le ostriche, ai neri scogli di lava della riva di Aci Trezza” Due grandi sezioni narrative caratterizzate dalla presenza di Padron ‘Ntoni e del nipote ‘Ntoni Il mare e la sciara come presenza costante, fonti di sostentamento ma anche di morte Il tempo è scandito da ricorrenze religiose o dai ritmi della vita di campagna Circa 15 anni: dalla partenza per la leva fino all’arresto di ‘Ntoni La trama riflette la sconfitta della “religione della famiglia” e dei valori di cui essa è portatrice(esempio della Provvidenza) A dire del Capuana fu un capolavoro, secondo Verga un vero fiasco tanto che, nel successivo Mastro Don Gesualdo, la tecnica narrativa verrà rivista e l’eclissi dell’autore sarà meno evidente
Mastro-don Gesualdo Narra l’ascesa sociale di un muratore che accumula una enorme fortuna Il matrimonio con la nobile decaduta Bianca Trao, la figlia Isabella e il duca di Leyra, la fine della “roba” e la morte solitaria nell’unanime disprezzo Pur rimanendo fedele al canone dell’impersonalità, il romanzo lascia trasparire in più parti un giudizio critico che si trasmette attraverso lo sguardo del protagonista Per la critica, quasi in modo unanime, è questo il miglior romanzo di Verga