La vocazione vincenziana Verso una spiritualità dell’azione
La vocazione vincenziana Perché Vincenzo si mette al servizio dei poveri? Quali criteri lo orientano nelle sue scelte di servizio? Quali sono le «conseguenze» che derivano dall’adesione a questi criteri? Quali atteggiamenti devono caratterizzare il nostro agire se realmente rimaniamo fedeli alla vocazione vincenziana?
Nei poveri incontriamo Dio… I poveri sono i nostri padroni, i nostri re, dobbiamo obbedirli e non è un’esagerazione chiamarli così, perché nei poveri c’è Nostro Signore. Andate a vedere i poveri forzati in catena, vi troverete Dio. Servite i bambini, vi troverete Dio. O figlie mie, che bella cosa! Voi andate in povere casupole, ma vi trovate Dio. O figlie mie, che bella cosa ancora una volta! Egli accetta i servigi che prestate ai malati e li considera come fatti a se stesso. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non é lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo é servire Dio.
La Carità come unico criterio L’amore affettivo è la tenerezza nell’amore. Dovete amare Nostro Signore teneramente e affettuosamente, come un bambino che non può separarsi da sua madre e chiama: “Mamma” appena la vede allontanarsi. Così un cuore che ami Nostro Signore non può tollerare la sua assenza e si stringe a Lui con questo amore affettivo, il quale produce l’amore effettivo. Poiché il primo non basta: bisogna averli ambedue. Bisogna dall’amore affettivo passare all’amore effettivo, che è l’esercizio delle opere della Carità, il servizio dei poveri eseguito con gioia, coraggio, costanza e amore. Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre braccia, con il sudore della nostra fronte.
Una spiritualità dell’azione Eucaristia nei poveri amore effettivo amore affettivo Il criterio della Carità Superare l’amor proprio Affidarsi a Dio Confidare nella Provvidenza Perseverare nella Carità
Superare l’amor proprio Dove sta il cuore amante? Nella cosa che ama. Per conseguenza, dove è il nostro amore, ivi è prigioniero il nostro cuore; non può uscirne, non può sollevarsi più in alto, non può andare né a destra né a sinistra, ma se ne sta fermo lì. Dov’è il tesoro dell’avaro, ivi è il suo cuore; e dove è il nostro cuore, ivi è il nostro tesoro. E quello che è da deplorarsi è che le cose che ci tengono in servitù sono di solito cose bassissime. Ma come! Un nonnulla, un sospetto immaginario, una parola dura che ci viene rivolta, un’accoglienza un po’ fredda, un piccolo rifiuto, il solo pensiero che non si fa gran conto di noi, tutto questo ci ferisce e ci indispone al punto da non poterne guarire. L’amor proprio ci lega a queste ferite immaginarie; non sappiamo sbarazzarcene, non si pensa che a quello. E perché? Perché siamo schiavi di questa passione.
Affidarsi a Dio Gli uomini che vivono nell’indifferenza sono superiori ad ogni legge; appartengono ad una categoria diversa dagli altri e, simili ai corpi gloriosi, passano ovunque, vanno dovunque, nulla li trattiene, nulla li fa ritardare, hanno il cuore libero; vanno con l’affetto ovunque Dio vuol essere conosciuto, e nulla li trattiene qui all’infuori della sua volontà. La perfezione consiste nel conformare talmente la nostra volontà alla sua da formare, propriamente parlando, un sol volere e non volere; e chi più riuscirà in tale intento, più sarà perfetto. Infatti, signori, che cosa disse Nostro Signore a quell’uomo del Vangelo, al quale voleva insegnare il mezzo per arrivare alla perfezione? “Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi”.
Confidare nella Provvidenza Mio Dio! Come desidero, signore, che voi moderiate il vostro ardore e che prima di intraprendere qualsiasi cosa la ponderiate bene ai piedi del tabernacolo! Siate piuttosto passivo che attivo; così Iddio farà per mezzo di voi solo, ciò che tutti gli uomini insieme senza di Lui non riuscirebbero mai a fare. Dobbiamo gemere davanti a Dio nel vedere tanti bisogni nella Chiesa, e pregare la divina bontà che voglia provvedervi e inviare buoni operai nella sua vigna; ma offrirci noi agli uomini in qualche luogo, prima che vi siamo stati chiamati, non lo dobbiamo fare. Quel che dobbiamo fare è umiliarci profondamente e abbandonarci completamente a Dio.
Perseverare nella Carità E non dobbiamo desistere dell’evangelizzare, col pretesto che non tutti ne approfittano. Di tutte le grazie che Dio concede, vi sono persone che ne abusano, eppure Egli continua ad accordarle; quanti ve ne sono che non hanno voluto approfittare della morte e della passione di Nostro Signore! Dio vi chiede di gettare le reti e non che prendiate i pesci, poiché sta a Lui farli entrare nella rete. Ed Egli lo farà se, durante tutta la notte, nonostante le difficoltà e l’indurimento dei cuori, quasi tutti addormentati per quel che riguarda le cose di Dio, aspetterete con pazienza che si faccia giorno, quando il sole di giustizia li sveglierà, li illuminerà, li riscalderà.
Ma io dove mi trovo? Fino a che punto sento di condividere la "vocazione vincenziana"? Quali "sfide" di tale vocazione mi sembrano più difficili da realizzare nella mia vita? Su quali aspetti ritengo di dover completare la mia formazione spirituale? Su quali aspetti penso di dover completare la mia formazione sul piano delle competenze educative?