Viaggio nel romanzo “I PROMESSI SPOSI”

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Viaggio nel romanzo “I PROMESSI SPOSI” Scheda I Personaggi Trama Nuovo 1

Titolo:I Promessi Sposi Titolo:I Promessi Sposi. Storia della composizione Autore:Manzoni Genere:Romanzo Storico Collocazione storica:Il Seicento I luoghi:La Lombardia

LA TRAMA “I Promessi Sposi “ è il più importante romanzo storico italiano. Il romanzo storico, nato nei primi decenni dell’Ottocento per opera dello scrittore Walter Scott è un romanzo di storia e di invenzione: esso, narra una vicenda di invenzione ambientata, però, in un’epoca storica precisa, generalmente del passato, ricostruita più o meno fedelmente nelle sue caratteristiche sociali e culturali. Accanto a personaggi storici, si muovono personaggi inventati. Una caratteristica di questo romanzo è la presenza di personaggi collettivi, cioè di gruppi di persone. Inoltre è caratterizzato da descrizioni di personaggi e da dettagliate descrizioni di oggetti e arredi.

LA TRAMA Il linguaggio è di alto registro, che riproduce fedelmente quello parlato nell’epoca in cui si svolge la vicenda. Per quanto riguarda l’opera di Manzoni, bisogna sottolineare che il periodo che fa da sfondo al romanzo è il 1600. Infatti siamo nel 1628, ai tempi della dominazione spagnola sul ducato di Milano e in Italia è in corso la guerra per la successione per il ducato di Mantova. Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due contadini e operai tessili di un non precisato paesino della provincia di Lecco, stanno per sposarsi.

LA TRAMA Don Rodrigo, il signorotto del villaggio, infatuatosi di Lucia, impedisce le nozze, intimidendo il curato Don Abbondio. I due promessi sposi tentano di tutto, per difendersi: Renzo si reca da un avvocato di Lecco (soprannominato Azzecca-garbugli), Lucia si rivolge a Fra Cristoforo, un ricco borghese che ha vestito il saio per espiare un delitto commesso in gioventù. I fidanzati ricorrono perfino all’espediente di un matrimonio a sorpresa, comparendo all’improvviso di fronte a Don Abbondio.

LA TRAMA Tutto inutile. In compenso Lucia sfugge al rapimento organizzato da Don Rodrigo e viene portata al sicuro in un convento di Monza, mentre Renzo si dirige a Milano. La vicenda segue due percorsi: Lucia nel convento di Monza; Renzo a Milano

LA TRAMA Lucia subisce un nuovo rapimento, questa volta riuscito, da parte di un potente fuorilegge “L’Innominato”, che proprio all’interno del convento ottiene la complicità di Gertrude. Portata al suo castello, Lucia fa voto alla Madonna di rinunciare al matrimonio, in cambio della propria salvezza. Il miracolo avviene e l’Innominato decide di cambiare vita. Infatti quest’ultimo, invece di consegnare la donna a Don Rodrigo, la dà in custodia alla famiglia nobile milanese di don Ferrante.

LA TRAMA Renzo, giunto a Milano nel pieno della carestia, si lascia trascinare ingenuamente nei tumulti, si ubriaca e viene ritenuto pericoloso dalle autorità spagnole. Arrestato, riesce poi a fuggire e a rifugiarsi nei territori di Bergamo. In seguito arriva la peste, che colpirà i due protagonisti principali. Proprio nel lazzaretto di Milano i due fidanzati si ritroveranno, scampati al terribile morbo. Fra Cristoforo, prima di morire, scioglie Lucia dal suo voto e nulla impedirà a Don Abbondio di celebrare le sospirate nozze, che concludono il romanzo (autunno 1630). In seguito Renzo e Lucia emigrano nel bergamasco, per avviarvi un florida attività tessile.

ALESSANDRO MANZONI La vita   Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria, autore del famoso trattato Dei delitti e delle pene contro la tortura e la pena di morte. Compiuti i suoi primi studi in collegi religiosi, a vent’anni si recò a Parigi, raggiungendo la madre che si era separata dal marito. Gli anni parigini (1805- 1810) furono molto importanti per la sua formazione politica, morale e culturale. Nel 1808, durante un breve soggiorno a Milano, conobbe e sposò Enrichetta Blondel, di religione calvinista. Il fervore religioso della moglie, convertitasi al cattolicesimo, spinse Manzoni a una profonda meditazione sui problemi morali e religiosi che determinò il suo ritorno alla fede cristiana. Dalla conversione in poi la sua vita fu povera di avvenimenti, ma ricca di opere e di meditazione interiore. Visse quasi sempre a Milano in modo appartato e schivo, seguendo però con intensa passione le vicende del Risorgimento. Il Manzoni, per la sua indole timida e riservata, non partecipò direttamente alle lotte del Risorgimento, ma si limitò ad esortare gli italiani, mediante gli scritti, a combattere per la libertà e l’indipendenza della Patria. Ciò può farci pensare ad una contraddizione tra pensiero e azione. Di questa contraddizione era consapevole lo stesso Manzoni. Infatti quando a Milano, dopo l’unità, ricevette in casa Giuseppe Garibaldi, gli disse che egli, convinto come il Mazzini, che al pensiero debba corrispondere anche l’azione, si sentiva inferiore all’ultimo dei garibaldini, per non aver preso parte direttamente alle lotte del Risorgimento. Dicendo ciò, egli si sbagliava, perché i grandi avvenimenti della storia sono stati sempre preparati dagli scritti di scrittori e pensatori. Non si avrebbe avuta la Rivoluzione Francese dalla quale é sorta l’Europa moderna, senza le opere dei pensatori illuministi. Anche il Manzoni, dunque, nonostante la timidezza e la riservatezza del carattere, rientra nel quadro della letteratura del Risorgimento, sia direttamente con le opere di ispirazione patriottica e civile, come la lode “Marzo 1821”, sia indirettamente con il romanzo. Le poesie patriottiche hanno spesso un tono polemico, aspro e violento e fremono d’odio contro gli oppressori della Patria; nelle poesie del Manzoni non c’é una sola parola d’odio o di violenza, ma la moderazione di un animo cristiano, che parla a sentimento di tutti i popoli civili per perorare la causa della libertà della Patria. Ma il contributo più alto che Manzoni ha dato al Risorgimento fu nella questione della lingua, la creazione di una prosa nuova, semplice e popolare che facilitò l’unificazione spirituale e culturale della Nazione. Nel 1848 firmò con altri patrioti la petizione a Carlo Alberto perchè intervenisse in Lombardia contro gli Austriaci; nel 1861, nominato senatore del nuovo Regno d’Italia, partecipò a Torino alla prima seduta del Parlamento italiano e nel 1872 accettò la cittadinanza onoraria di Roma per aver contribuito, con la sua opera di scrittore, alla causa italiana. Alessandro Manzoni morì nel 1873 all’età di ottantotto anni. Tra le opere ricordiamo: gli Inni Sacri, alcune liriche (Marzo 1821, 5 Maggio), I Promessi Sposi.

IL ROMANZO STORICO Il romanzo manzoniano è di tipo storico. Tale genere ebbe fortuna nel XIX secolo. Per romanzo storico si intende una narrazione che racconta vicende immaginarie ambientate in contesti storici definiti che fanno da sfondo al racconto. Manzoni, scrittore ottocentesco, narra una storia ambientata nel 1600, ricostruisce gli eventi e le abitudini del tempo e in tale contesto dà vita ad una vicenda “verosimile”, cioè che sarebbe potuta accadere. Quando Manzoni si dilunga a parlare dei “bravi” , della giustizia come arma dei potenti contro gli umili, parla di situazioni che caratterizzavano quei tempi; “i signorotti” locali realmente si avvalevano di veri e propri eserciti illegali, “i bravi” per l’appunto, di cui abbiamo notizia nelle cronache del tempo. Gli avvenimenti che fanno da sfondo alla vicenda sono realmente accaduti, come ad esempio la sommossa popolare di Milano e la peste che devastò il Milanese. Per quel che riguarda gli attori del romanzo ci sono da una parte personaggi di pura fantasia, come Renzo, Lucia, Agnese, Don Abbondio, Perpetua, Don Rodrigo, il Conte Attilio, il dottor Azzecca-garbugli.  Dall’altra si incontrano personaggi storici realmente esistiti, come Fra Cristoforo (= Padre Cristoforo di Cremona); la Monaca di Monza (= Virginia Maria di Leyva); L’Innominato (= Francesco Bernardino Visconti), ecc…

IL ROMANZO STORICO STORIA DELLA COMPOSIZIONE I Promessi Sposi ebbero tre stesure o redazioni. La prima aveva come titolo “Fermo e Lucia” e poi “Gli Sposi Promessi”. Di questa prima stesura non solo erano diversi i nomi di alcuni personaggi (L’Innominato si chiamava il Conte del Sagrato; Renzo Tramaglino era Fermo Spolino; Lucia Mondella era Lucia Zarella), ma erano diversi anche alcuni episodi come quello della fine di Don Rodrigo, il quale, nel Lazzaretto, alla vista di padre Cristoforo e delle sue vittime, Fermo e Lucia, balzava su un cavallo e, dopo una folle cavalcata, veniva raccolto morto da due monatti e gettato su un mucchio di appestati. Insoddisfatto della sua opera, il Manzoni dopo la prima stesura ne pubblicò un’altra nel 1827 col titolo di “Promessi Sposi, storia milanese del XVII sec., scoperta e rifatta da A. Manzoni”. Lo scrittore, però, insoddisfatto della seconda redazione, che gli appariva ricca di lombardismi, lo stesso anno (1827) si recò a “risciacquare i cenci in Arno” e sottopose tutto il romanzo ad un’accurata revisione linguistica sul modello del fiorentino vivo e medio, si ebbe così la terza ed ultima edizione, che fu pubblicata tra il 1840 e il 1842.

Il Seicento Le vicende di Renzo e Lucia, nella narrazione manzoniana, si sviluppano nei primi decenni del XVII sec. Il Seicento è stato un secolo particolarmente cupo per i territori della penisola italiana. Gli Spagnoli dominavano in Lombardia, in Sicilia, nel Regno di Napoli e in parte della Toscana, generando malgoverno e scontento tra la popolazione. Un secolo segnato dall’ingiustizia. Tutta la narrazione vive nell’ambito di questa cornice di valori, dove la condizione degli umili oppressi può trovare solo riscatto nella salvezza morale, non potendo sperare in nessuna forma di garanzia da parte delle istituzioni e del potere. L’analisi spietata che Manzoni opera sulla dominazione spagnola è un atto di accusa a tutte le dominazioni straniere, è quindi testimonianza di opposizione al governo austriaco, potenza straniera che governava nel Lombardo-Veneto al tempo in cui l’autore compose l’opera.

I luoghi “I Promessi Sposi” è ambientato in Lombardia nel XVII secolo, specificatamente in un paesino, non nominato, che si trova sul ramo lecchese del lago di Como, nella città di Lecco, Milano e in tutta la parte che comprendeva il Ducato di Milano . Qui vivono i protagonisti del romanzo, vengono ambientate le scene principali e i “viaggi” di Renzo e Lucia. Solo Bergamo, luogo dove si rifugia Renzo per sfuggire alla polizia che lo sta cercando, è nel territorio della Repubblica di Venezia. Il borgo natìo dove è stata ambientata la prima parte della vicenda è stato identificato con Olate, piccolo paesino poco a nord di Lecco. L’identificazione dei luoghi reali dove si svolgono le vicende appare complessa, in quanto Manzoni raramente fornisce chiare indicazioni in merito.

I PERSONAGGI Renzo Lucia Don Abbondio Don Rodrigo Azzeccagarbugli Fra Cristoforo Agnese Innominato Monaca Di Monza Federico Borromeo

DON ABBONDIO “…Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato di una delle terre accennate qui sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per un segno, l’ indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguivi il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciotoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso e, alzati oziosa,mente gli occhi all’ intorno, li fissava alla parte d’ un monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora…”, “Cioè…”, rispose, con voce tremolante, Don Abbondio: “cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste cose. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra di loro, e poi… e poi, vengon da noi, come s’andrebbe a un banco a riscotere; e noi…noi siamo i servitori del comune”. (Don Abbondio e i Bravi cap. I da “I Priomessi Sposi” ). Don Abbondio è il curato di un piccolo paese vicino Lecco, inoltre è uno dei primi personaggi che si incontrano nel romanzo. É uno dei personaggi più importanti di questa vicenda, ma non è né nobile, né ricco, né coraggioso. Il suo sistema di vita si basava su poche regole precise: scansare tutti i pericoli, schierarsi sempre dalla parte del più forte facendo, rimanere sempre neutrale per evitare rischi, badare solo a sé stesso, non prendere mai posizione nei contrasti per evitare qualunque problema. Il momento in cui dimostra appieno la sua “ fifa” è durante il suo incontro con i bravi, quando cerca una via di fuga e rendendosi conto che l’unica maniera era affrontarli gli corre incontro e affretta i tempi, così che la paura duri il meno possibile. Un episodio che evidenzia la paura di Don Abbondio nei confronti dei più ricchi e potenti è testimoniato dall’incontro con i bravi. In tal contesto, appena sente il nome di Don Rodrigo, si dichiara disposto ad ubbidire ai suoi comandi, pur sapendo di andare incontro ad un guaio. Don Abbondio è un tipo insolito e, pur non approvando il suo comportamento di fronte ai bravi, non si può che non provare una forte pena per un uomo così debole, che si trova a vivere in un mondo così crudele, in una società piena di violenza.

RENZO Renzo è uno dei protagonisti principali del romanzo, è un filatore di seta che praticamente vive del suo lavoro. Egli vive in una determinata epoca: il XVII secolo. E’ un personaggio configurato in modo strettamente storico, che è il modo poetico del Manzoni: “……Era, fin dall’adolescenza, rimasto privo dei parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per così dire nella sua famiglia……………Renzo era un giovine pacifico e alieno del sangue, un giovine schietto di ogni insidia; ma, in que’ momenti, il suo cuore non batteva che per l’omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, prenderlo per il collo e…..” (cap. II). Dalla descrizione che fa Manzoni , Renzo appare un personaggio pacifico , anche se affronta le avversità con impeto ed impulsività, adirandosi e inveendo, ma poi quasi sempre si contiene facendosi guidare da una radicata moralità. A volte sembra ingenuo come nella taverna di Milano, quando si lascia andare fino a sembrare un sovversivo, ma riesce anche ad evitare le trappole che insidiano la sua fuga verso Bergamo, dove trova rifugio dal cugino. E’ legato a Lucia e non riesce a non pensare ad un futuro senza la sua promessa sposa, così quando viene a sapere del voto è pronto a “partire soldato”.

DON RODRIGO Don Rodrigo è l’antagonista di Renzo, è colui che vuole impedirne il suo matrimonio con Lucia e che si pone contro i protagonisti e dà origine a tutta la vicenda. Don Rodrigo è lo specchio del suo tempo, di quel Seicento di cui Manzoni ci ha lasciato il quadro più vasto, multiforme e completo che mai sia stato fatto. Sebbene sia colui che, con il suo agire avventato e prepotente, rende possibile tutta la vicenda, è l’unico personaggio di cui non ci venga fatta una presentazione, né fisica, né morale. Lo conosciamo solo attraverso la sua autorità e attraverso il suo agire e le conseguenze che ne derivano. Egli tuttavia è sempre presente immaterialmente, quando non lo è fisicamente, come il cattivo di tutta l’azione. Appare sin dall’inizio tramite le parole dei bravi e il racconto di Lucia, ma la sua vera comparsa fisica è nel cap. V: «…Don Rodrigo […] era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d’amici, d’omaggi, di tanti segni della sua potenza, …» .Quello che subito salta agli occhi è la sua prepotenza e il suo essere uomo al di sopra degli altri. Per quanto riguarda il suo carattere, egli compie il male solamente per l’ appoggio che riceve da persone di una certa importanza, che gli permettono di violare molte leggi. Per lui esiste solo una legge :quella del più forte, visto che le altre le può violare sempre, grazie alla sua ricchezza e a persone che lo aiutano come i “Bravi”. Questi ultimi insieme ad alcuni amici suoi fedelissimi sono inviati a fare i lavori sporchi per conto suo, come ad esempio nel caso del rapimento di Lucia, di cui viene incaricato il Griso anche se tale tentativo di sequestro fallirà. Don Rodrigo è un tiranno di campagna che non accetta le conseguenze delle sue azioni, non facendosi così valere neppure nel male, non sapendo suscitare paura e rispetto allo stesso tempo. Don Rodrigo può essere considerato un personaggio statico, visto che non cambia nel male, ma neanche nel bene.

( capitolo II “I Promessi Sposi” ). LUCIA ”…..Lucia s’andava schermando con quella modestia un po’ guerriera delle contadine,facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto,e aggrottando i lunghi e neri sopracigli,mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli,spartiti sopra la fronte,con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan,dietro il capo,in cerchi moltiplici di trecce,trapassate da lunghi spilli d’argento,che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola,come ancora usano le contadine nel milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana:portava un bel busto di broccato a fiori,con le maniche separate e allacciate da bei nastri:una corta gonnella di filaticcio di seta,a pieghe fitte e minute,due calze vermiglie,due pianelle,di seta anch’esse,a ricami. Oltre a questo,che era l’ornamento particolare del giorno delle nozze,Lucia aveva qello quotidiano d’una modesta bellezza,rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingeva sul viso:una gioia temperata dal un turbamento leggiero,quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose,e,senza scompor la bellezza,le dà un carattere particolare…” ( capitolo II “I Promessi Sposi” ). Lucia è la protagonista de “I Promessi Sposi”, a cui vengono attribuite come doti la bontà e l’innocenza. Lei è fedele al suo sposo, lo ama e cerca in tutti i modi di sposarlo. La ragazza è molto religiosa e sincera e non mente mai, anche quando Agnese le propone di sposare Renzo, prendendo alla sprovvista don Abbondio, Lucia non se la sente di sposarlo con l’inganno. Ella è convinta che i mali non si possono evitare, tuttavia possono essere superati con l’abbandono alla provvidenza. Figura semplice e delicata, di modesta bellezza, la descrive l’autore, ma con una luce di interiore serenità che mette a disagio l’interlocutore : sia la Monaca di Monza, che l’Innominato provano turbamento al cospetto di Lucia, che sembra risvegliare rimorsi da tempo soffocati.

AZZECCA-GARBUGLI Nel romanzo di Alessandro Manzoni "I Promessi Sposi", Azzecca- garbugli è l'avvocato di Lecco (a quel tempo chiamato dottore). Nel suo studio è presente una notevole quantità di libri, che tiene più come elementi decorativi che come materiale di studio. Il suo tavolo invece è cosparso di fogli che impressionavano gli abitanti del paese che vi si recavano. Renzo Tramaglino si presenta da lui, per chiedere se ci fosse stato un editto che avrebbe potuto condannare don Rodrigo, ma lui sentendo nominare il potente signore, respinge Renzo, perché non avrebbe potuto contrastare la sua potente autorità. Azzecca-garbugli è un personaggio del tutto secondario, ma è rimasto famoso per l'abilità con cui Manzoni descrive la sua personalità. Egli viene descritto come un uomo sulla sessantina d’anni, alto, magro, calvo, con il naso sporgente. Nel testo il dottor Azzeccagarbugli rappresenta la crisi della giustizia del Seicento.

FRA CRISTOFORO Il personaggio di fra Cristoforo, oltre ad avere un importanza non trascurabile ai fini della storia de “I Promessi Sposi”, presenta delle caratteristiche che testimoniano l’abilità di Manzoni nel creare personaggi compositi e dotati di una vera e propria psicologia. L’autore lo presenta inizialmente con la descrizione dell’aspetto fisico, attraverso la quale mostra anche alcune delle caratteristiche interiori la cui natura sarà specificata da Manzoni in seguito. Di fra Cristoforo, durante la narrazione del suo passato, ci viene detto che, pur essendo di origini plebee, disponeva di mezzi sufficienti per condurre una vita da aristocratico; nonostante le sue grandi ricchezze Lodovico (questo era il suo nome prima di ricevere gli ordini) era trattato con disprezzo dai vari signori del luogo, e quindi, un po’ per ripicca e un po’ per naturale propensione, aveva iniziato a difendere con la violenza gli umili dalla prepotenza dei nobili, giungendo ad ucciderne uno per futili motivi; il rimorso e l’orrore per questa azione lo portano infine a farsi monaco. La narrazione della storia passata di Padre Cristoforo è molto interessante sotto vari punti di vista. In primo luogo ci permette di capire la morale dello scrittore: la purezza interiore, di conseguenza la grazia divina, non è insita nell’uomo, ma va ricercata attraverso un duro percorso di peccato e purificazione. Un altro elemento che emerge dalla vicenda di fra Cristoforo è la critica amara e sarcastica che l’autore rivolge verso il formalismo vuoto ed ottuso del Seicento (e di riflesso anche del suo secolo): lo scambio di battute che avviene tra Lodovico e il suo avversario è messo velatamente in ridicolo dal narratore, che in quel momento mantiene la sua personalità, senza adottare il punto di vista di alcun personaggio. Significativo è anche il dialogo tra Lodovico, diventato ormai monaco, e il fratello dell’ucciso: costui infatti aveva preparato il colloquio in modo da ricavarne il massimo vantaggio in termini di soddisfazione personale e prestigio all’interno della propria famiglia, ma viene colpito e commosso dalla genuinità del pentimento dell’assassino del suo congiunto: padre Cristoforo, aiutato dalla grazia divina, diventa egli stesso strumento di redenzione. Manzoni mette anche in risalto alcune caratteristiche positive di Lodovico: viene presentato sì come arrogante e impulsivo, ma si dice di lui che non era un sanguinario e spesso risultava aggressivo solo per impedire che venissero commessi dei soprusi sui più deboli; queste qualità, pur moderate dall’umiltà acquisita in seguito al suo pentimento, continuano a costituire un tratto distintivo della personalità di fra Cristoforo. Egli quindi può essere per certi versi paragonato a Renzo, con cui condivide un’impetuosa generosità d’animo, inoltre il suo percorso spirituale presenta delle analogie con quello dell’autore.

AGNESE Agnese si può identificare come il personaggio che svolge la funzione di aiutante dei protagonisti all’interno della storia. L’autore presenta questo personaggio indirettamente: non fornisce una descrizione completa, ma una serie di indizi che costruiscono la figura. Comunque, la sua apparizione si ha nel secondo capitolo: «…Intanto la buna Agnese (così si chiamava la madre di Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all’orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a vedere cosa c’era di nuovo…» . Agnese è la tipica donna che si trova nelle contrade brianzole. Il suo carattere, deciso e sbrigativo, unito ad un’esperienza di vita che lei stessa dentro di sé forse sopravvaluta, la induce ad un’estrema sicurezza di giudizio; la sua sollecitudine e il suo amore per l’unica figlia, la sua facilità di parola e la sua arditezza di espressioni, costituiscono un marchio inconfondibile. Una caratteristica di Agnese è la sollecitudine con cui si dispone ad aiutare la figlia nel raggiungimento della sua felicità. Agisce con la sicurezza di sé, propria della gente di limitata cultura, che è portata a vedere una faccia sola della realtà, quella che la interessa direttamente. I suoi giudizi e i suoi consigli sono sempre decisi, perché Agnese punta sulla sua esperienza che si accompagna a un fondamentale ottimismo. Invece, quando nel corso della vicenda, i suoi consigli hanno un risultato positivo, questo avviene per puro caso. Per esempio, con il suo progetto ardito del matrimonio a sorpresa, riesce a sventare il tentativo di incursione in casa sua e rapimento della figlia. Se lei è riuscita a compiere quello che padre Cristoforo non avrebbe fatto in tempo a fare, è solo opera di una volontà superiore, indipendente del tutto dai piccoli pensamenti e imbrogli della furba contadina. L’episodio del matrimonio a sorpresa serve a determinare la palese differenza tra Agnese e Lucia. La donna non consiglia ai suoi giovani un passo contro la morale, ma è evidente su quale diverso piano si trovino madre e figlia. La prima si fa propugnatrice di una morale strettamente utilitaria, la seconda di una condizione psicologica profondamente cristiana. Proprio per questo motivo Agnese è un personaggio statico, nel senso che, nonostante le vicende che la sconvolgono insieme alla figlia e al suo promesso, non cambia né atteggiamento, né concezione della vita: Agnese punta sempre, col suo solito senso pratico, sulla necessità di giudicare le cose in rapporto alle circostanze e non in astratto. Agnese è astuta, a volte invadente e ciarlona, ma anche acuta conoscitrice dell’animo umano: sa come distrarre Perpetua quando i due giovani promessi tentano di sorprendere Don Abbondio. Inoltre è amorevole verso Lucia e ama, come fosse suo figlio, Renzo ed è anche pettegola quando serve. Infine c’è da dire che rappresenta nel corso di tutta la storia un punto d’appoggio per Lucia.

L’INNOMINATO L'Innominato è una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo. Con pochi tratti Manzoni ci delinea la figura fisica dell’Innominato: alto, bruno, calvo, vicino alla sessantina, ma ancora virile e vitale. È un personaggio storicamente esistito al quale l’autore fa svolgere un dramma spirituale. L'Innominato, figura malvagia, la cui malvagità più che ripugnanza forse incute rispetto, è il potente cui Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia. In preda a una profonda crisi spirituale, l'Innominato scorge nell'incontro con Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione: durante la famosa notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge al culmine, tanto da far pensare al suicidio, ma ecco che il pensiero di Dio e le parole di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono. L'Innominato è un personaggio de “I promessi sposi” chiamato così per il nome sconosciuto. La sua conversione giunge dopo la notte angosciosa. Dopodiché si reca dal cardinale Federico Borromeo per confessarsi e esporre i suoi peccati. La scelta di Manzoni del personaggio per attuare la conversione non è certamente casuale, infatti solo un uomo di una bontà somma come il cardinale poteva redimere l'Innominato. Dopo la conversione l'Innominato cambia completamente e coglie al volo l'occasione per fare del bene in maniera proporzionata al male che aveva fatto. Infatti quando scendono in Italia i lanzichenecchi (mercenari tedeschi che combattono nella guerra di successione al Ducato di Mantova), che mettono a sacco il paese di Renzo e Lucia e diffondono il morbo della peste, molti, tra cui don Abbondio, Perpetua e Agnese, trovano rifugio nel castello dell'Innominato, che si è fatto campione di carità.

FEDERIGO BORROMEO Il cardinale F. B. è un personaggio realmente esistito, in quanto si avvicina molto all’arcivescovo di Milano suo omonimo “Federigo Borromeo” realmente esistito e nato a Milano il 16 agosto 1564, arcivescovo di Milano dal 1595. Il Cardinale è uomo dotto, sapiente, ma caritatevole e misericordioso, pronto ad accogliere chi si pente con sincerità,come l’innominato. Federigo Borromeo non rappresenta la Chiesa rigida e inflessibile,ma quella che svolge apostato tra la gente. Egli non è combattivo come Padre Cristoforo, tuttavia si muove tra gli umili e non ha paura di correre rischi. Borromeo viene presentato da Manzoni nel capitolo XXII con una lunga digressione in cui non è raccontata solo la vicenda umana del cardinale, ma delineata la sua personalità, il suo temperamento e le sue debolezze: egli assecondò le credenze superstiziose del suo tempo circa le cause della peste.

LA MONACA DI MONZA La storia di Gertrude occupa il capitolo IX e per intero quello successivo. Tutto il racconto offre un illuminante spaccato delle consuetudini, sulle ipocrisie e sulle convenzioni del sec. XVII. Gertrude è vittima delle convenienze e degli interessi superiori, ai quali viene sacrificata tutta la sua esistenza. E’ avviata alla vita monacale, con metodi subdoli: le si prospetta un futuro autoritario e autonomo in convento, si fa leva sui sentimenti di vanità e non sulla convinzione e sulla fede. Alla furbesca opera di costrizione partecipa anche la badessa, che permette di ignorare ogni regola della Chiesa. Gertrude comprende a cosa la si costringe a rinunciare, ma il tentativo di aggrapparsi alla vita mondana (la relazione con Egidio) fa precipitare ogni cosa. Segregata in casa, non le resta altro che accettare la vita monacale, con tutto il rancore e l’astio per una scelta subìta. La sua vita da monaca diventa una rivalsa contro quanti hanno causato la sua infelicità, la famiglia e le monache. La sua colpa è quella di essere troppo debole, di non aver mai osato una reale opposizione alle decisioni dei genitori.

I BRAVI “…….avevano entrambi intorno al capo una reticella verde che terminava sull’omero sinistro terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quelle attaccate due piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana:un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni:uno spadone,con gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti….”(cap. I). I Bravi nel romanzo di Manzoni appaiono subito, nel primo capitolo. Due di loro aspettano Don Abbondio al bivio che lo conduceva a casa sua,sono aggressivi e armati fino ai denti. Da questo episodio si evincono alcune caratteristiche di questi personaggi, che cercano di persuadere il curato attraverso minacce e bestemmie. I Bravi sono sempre al servizio dei potenti signori e pronti ad obbedire agli ordini più crudeli e a uccidere chi osa mettersi sulla loro strada. I Bravi descritti nel romanzo sono spavaldi, ma quando temono qualcuno sono ruffiani e codardi. “Il Griso” è il “Bravo” prediletto da Don Rodrigo ed esegue sempre i suoi ordini. Al Griso è ordinato di portare a compimento il rapimento di Lucia e verrà punito quando vedrà arrivare la carrozza vuota. La codardia del Griso si evidenzia in uno negli ultimi capitoli del romanzo. Egli torna a casa di notte, dopo una festa in compagnia di Don Rodrigo e dei suoi amici, e si accorge che il padrone sta poco bene. Già mettendolo a dormire, si tiene a distanza, ma più tardi, quando viene chiamato e pregato di recarsi con urgenza da un medico, per soccorrere Don Rodrigo che si è scoperto malato di peste, corre invece dai monatti. Alla fine anche questi muore di peste. Il Nibbio, invece, è un uomo crudele ed è incaricato di nascondere i misfatti di Don Rodrigo. Nibbio è crudele, ma ha compassione di Lucia. Infatti, nel momento in cui la trasporta al castello, cerca di farla soffrire il meno possibile. I bravi erano i segni più evidenti dell’anarchia che caratterizzava la dominazione spagnola in Lombardia e contro di loro erano emanate delle “griide”, cioè delle leggi gridate dai banditori in modo che anche le persone analfabete ne fossero informate.