I MITI DELLA SICILIA.

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Transcript della presentazione:

I MITI DELLA SICILIA

INTRODUZIONE Il popolo siciliano ha trasfigurato in leggenda l'origine della sua terra. Un ignoto poeta popolare ha definito la Sicilia come un dono fatto da Dio al mondo in un momento di grande gioia. Per lui l'isola non sarebbe altro che un diamante posto da Dio nel mezzo del mare per la felicità del mondo.

LE ORIGINI DELL’ISOLA Tutta la Sicilia respira di millenni di storia. Luogo magico dove storia e miti si fondono e la fantasia umana cerca di spiegarsi la magia di paesaggi incantati con l’intervento di antichi dei. Nascono così i miti e le leggende.

IL TRISCELE Il triscele, come simbolo della Sicilia, era inizialmente la testa della Gòrgone i cui capelli sono serpenti, dalla quale si irradiano tre gambe. La Gòrgone è un personaggio mitologico che, secondo il poeta greco Esiodo, era ognuna delle tre figlie di Forco e Ceto. Un'altra versione della testa è quella di una donna raffigurata con le ali per indicare l'eterno trascorrere del tempo, contornata da serpenti per indicare la saggezza. I serpenti in seguito sono stati sostituiti da spighe di frumento, a voler significare la fertilità della terra dell'Isola.

LE TRE NINFE Tre ninfe bellissime vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra. Arrivate sotto il cielo più limpido ed azzurro del mondo, iniziarono a danzare in mezzo al mare e, spargendo la terra, vi lasciarono cadere i fiori e le frutta che recavano nei veli che le ricoprivano. Il mare sorrise di tanta grazia, si avvolse in tutte le luci dell'arcobaleno e a poco a poco si solidificò. Dalle onde emerse una terra ricca di colori e profumi e i tre vertici del triangolo, dove le tre ninfe avevano iniziato la loro danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola.

LA FANCIULLA SICILIA Sicilia era un fanciulla bellissima ma su di lei gravava un terribile destino. Una profezia diceva che sarebbe stata divorata dall’ingordo Greco-Levante inviato dal dio Nettuno. Il padre e la madre, disperati, per evitarle quest’orribile fine, la posero in una barca e la affidarono alle onde. E le onde, dopo tre mesi, deposero la giovinetta su una spiaggia meravigliosa, piena di fiori e di frutti, ma deserta. Improvvisamente appare accanto a lei un bellissimo giovane che le offre amore e ospitalità. Le spiega che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile. L'isola si sarebbe chiamata Sicilia dal nome della donna che avrebbe generato quella nuova stirpe.

IL GIGANTE TIFEO Tifeo, nemico di Zeus, aveva osato impadronirsi della sede del cielo, per questo, colpito dai fulmini del dio irato, viene gettato e sepolto sotto l'Etna e condannato ad un orribile supplizio. Sopra la sua mano destra sta capo Peloro (Messina), sopra la sinistra il promontorio di Pachino, sulle gambe capo Lilibeo (Trapani) e sopra la testa l'Etna. Tifeo inferocito vomita fiamme dalla bocca e quando si agita per scrollarsi di dosso quel peso enorme la terra trema. Una credenza popolare lo ritiene responsabile dell'emissione di fumi e ceneri dal cratere del vulcano.

ACI E GALATEA Aci, bellissimo pastore siciliano, figlio di Fauno e della ninfa Simete, si era perdutamente innamorato della ninfa Galatea. Anche lei corrispondeva al suo amore ma era disperata perchè amata dal Ciclope Polifemo. Questi, per amore suo, aveva smesso di gettare enormi sassi alle navi che transitavano lungo la sua costa. Un giorno il Ciclope vide Galatea nelle braccia di Aci. Infuriato, scagliò sul giovane enormi massi che lo uccisero mentre Galatea, terrorizzata, si tuffava sott'acqua ma il suo amore non finì con la morte di lui. Gli dei impietositi dai lamenti di Galatea, trasformarono il sangue che usciva dalle vene di Aci in sorgive di acqua dolce che scivolano giù, lungo i pendii dell’Etna, in un mormorio struggente.

ACI… Acitrezza Vicino la costa, in un luogo accessibile solo dal mare, esiste una piccola sorgiva ferruginosa chiamata dalla gente locale "il sangue di Aci" per il suo colore rossastro. Nell’XI° sec. esisteva un villaggio chiamato Aci in memoria del mito, un terremoto lo distrusse provocando l’esodo dei sopravvissuti, i quali fondarono altri centri nei dintorni. Tutti i nuovi centri fondati dai profughi hanno come inizio del loro nome “Aci”.

LA NINFA ARETUSA Aretusa, ninfa dell'Elide, faceva parte del seguito di Artemide. Un giorno si fermò sulle rive di un fiume e decise di rinfrescarsi quando sentì venire da sotto i gorghi uno strano bisbiglio:” Dove vai così in fretta, Aretusa?” Era la voce di Alfeo, il fiume in cui si stava bagnando. Atterrita risalì sulla sponda opposta e si diede alla fuga ma Alfeo, prese le sembianze umane, la inseguì. Quando Aretusa capì che stava per essere raggiunta chiese aiuto alla dea che l’avvolse una nube. Ma tutto il suo corpo grondava acqua ed ogni volta che si spostava si formava una pozza così, in poco tempo, Aretusa si trasformò in acqua. Alfeo, riconobbe nell'acqua l'amata e, lasciato l'aspetto umano, tornò ad essere un fiume per unirsi a lei.

LA FONTE ARETUSA Ancora oggi nei pressi della fonte, sgorga una sorgente che la fantasia popolare ha spesso identificato nell'innamorato Alfeo. Da allora, narrano i poeti greci (Virgilio, Pindaro, Ovidio), quando ad Olimpia si sacrificavano degli animali lungo il fiume Alfeo, la Fonte Aretusa si tingeva di rosso. La caratteristica di questa fonte è che è circondata da papiri.

LA NINFA CIANE Ricco di papiri è il corso del fiume Ciane che sfocia sulla sponda opposta all'isola di Ortigia. Alla sorgenti di questo fiume è legato il mito del ratto di Proserpina La ninfa Ciane aveva osato opporsi al dio degli Inferi che stava per trascinare con sè Proserpina nell'Ade. Il dio, incollerito, la percosse col suo scettro biforcuto, trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino).

IL RATTO DI PROSERPINA Proserpina (Persefone per i Greci), figlia di Zeus e di Demetra, dea della vegetazione e dell'agricoltura, era intenta a cogliere fiori insieme ad alcune ninfe presso le rive del lago di Pergusa. Improvvisamente, dal suo regno sotterraneo con il suo cocchio sbucò fuori Ade, innamorato della fanciulla, che, per non perdere tempo in corteggiamenti e, soprattutto, per evitare di chiedere la mano di Persefone a suo fratello Zeus, aveva pensato bene di rapirla. Dopo un'iniziale momento di sbigottimento, tra le urla della povera Persefone, l'unica dei presenti che ebbe il coraggio di reagire fu la ninfa Ciane, che si aggrappò al cocchio nel tentativo disperato di trattenerlo mentre stava per sprofondare nuovamente sottoterra in direzione dell'Averno.

CERERE E LE STAGIONI Cerere, la madre di Proserpina, cercò sua figlia per tre giorni e tre notti. La verità le fu rivelata da Elios, che le confessò anche il consenso di Giove agli eventi. Proserpina aveva gustato il melograno donatole da Plutone, quindi era a tutti gli effetti sua sposa e non poteva più tornare da sua madre. Cerere, intanto, disperata aveva dimenticato di dare fiori e frutti alla terra e gli uomini morivano di fame. Giove, commosso dal dolore di Cerere, risolse il problema decidendo che Proserpina stesse per otto mesi sulla terra assieme alla madre e per quattro mesi sotto terra col marito Plutone, creando l’alternanza di due stagioni. Proserpina così risalì alla terra in primavera per poi scomparire in inverno.

CARIDDI Cariddi, ninfa mitologica greca , figlia di Poseidone e di Gea, era tormentata da una grande voracità. Quando Eracle passò dallo stretto di Messina col l'armento di Gerione, il mostro dalle tre teste, essa gli rubò alcuni buoi e li divorò.Giove, per punirla, la colpì con un fulmine, la scaraventò in mare e la trasformò in orribile mostro. Omero nellOdissea racconta che Cariddi si trova di fronte a Scilla sullo stretto di Messina, che il mostro ingoiava tre volte al giorno un'enorme quantità d'acqua e poi la ributtava trattenendo tutti gli esseri viventi che vi trovava. Anche Virgilio parla di Cariddi nell’Eneide.

Scilla Scilla era una ninfa stupenda di cui si era innamorato il dio marino Glauco. Rifiutato dalla ninfa, il dio marino chiese l’aiuto della maga Circe, a sua volta innamorata di lui. Questa, rifiutata da Glauco, decise di vendicarsi preparando una porzione magica da versare nella sorgente in cui Scilla si bagnava. Appena Scilla si immerse si trasformò: nella parte inferiore del suo corpo emersero sei cani dai colli a forma di serpente con cui potevano divorare gli uomini. Scilla si nascose in un antro presso lo stretto di Messina e decise di vendicarsi di Circe privando Ulisse dei suoi uomini mentre lui stava attraversando lo stretto. Eracle, attaccato dalla ninfa la uccise, ma il padre della ragazza riuscì a richiamarla in vita.

EOLO Eolo e il gemello Beoto erano nati dall'amore segreto di Melanippa per Poseidone. Il padre di Melanippa, per punire la figlia, la consegnò ad un abitante di Metaponto che adottò i due bambini. I due gemelli, diventati adulti, uccisero la moglie del padre adottivo per vendicare le angherie che questa aveva inflitto alla madre naturale. In seguito a tale episodio, furono costretti a fuggire, Beoto in Tessaglia, mentre Eolo si rifugiò nelle isole che prenderanno il suo nome e dove egli stesso fondò la città di Lipara.

EOLO E L’ODISSEA Omero nell'Odissea racconta che le isole Eolie sono la dimora del dio dei venti, Eolo e dei suoi 12 figli. Ulisse, nelle sue peregrinazioni, giunse alla dimora di Eolo che, dopo averlo accolto, gli fece dono dei venti contrari alla sua navigazione chiusi in un otre. Ma i compagni di Ulisse, pensando che l’otre custodisse un tesoro, l’aprirono e i venti infuriarono sul mare. Provocarono, in tal modo, una furiosa tempesta che fece ritornare la nave verso le Eolie. Eolo, credendo che Ulisse fosse perseguitato dagli dei, si rifiutò di aiutarlo di nuovo e lo allontanò dalle isole.

LA FATA MORGANA Dopo aver condotto suo fratello Artù ai piedi dell'Etna, Morgana si trasferisce in Sicilia tra l'Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai non si avvicinano a causa delle forti tempeste, e si costruisce un palazzo di cristallo. Morgana esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette cavalli e getta nell'acqua tre sassi, il mare diventa di cristallo e riflette immagini di città. Grazie alle sue abilità, la Fata Morgana riesce ad ingannare il navigante che, illuso dal movimento dei castelli aerei, crede di approdare a Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle braccia della fata.

I CICLOPI Ciclopi sono gli artefici del fulmine di Zeus. Abitano la Sicilia e le Eolie, in caverne sotterranee. Omero li descrive come esseri selvaggi e giganteschi, muniti di un occhio al centro della fronte e dotati di forza smisurata. Virgilio nell'Eneide riprende dove l'Odissea aveva lasciato, quando i Troiani, sotto la guida di Enea, approdano in Sicilia,incontrano Achemenide e Polifemo e avvertita la loro presenza, chiama gli altri Ciclopi per catturarli

POLIFEMO Nella mitologia greca, uno dei ciclopi, figlio del dio del mare Poseidone. Nel corso delle sue peripezie dopo la guerra di Troia, l'eroe greco Ulisse naufragò con i suoi uomini in Sicilia, l'isola dei ciclopi. Polifemo rinchiuse i greci nella sua grotta e cominciò a divorarli, ma Ulisse riuscì a fargli bere del vino forte e quando il gigante cadde nel torpore dell'ubriachezza, gli piantò un palo infuocato nell'unico occhio, accecandolo. I greci poterono così fuggire aggrappati al ventre delle sue pecore. In un'altra leggenda, Polifemo era descritto come un gigantesco pastore dotato di un solo occhio, infelicemente innamorato della ninfa marina Galatea, della quale uccise il giovane amante, Aci, con un enorme masso.

VULCANO Efesto nella mitologia greca è il dio del fuoco. I coloni greci che erano andati a popolare il sud dell’Italia presero ben presto ad identificare Efesto con il dio Adranos, che i miti collocavano sull’Etna, e con Vulcano, collegato alle Isole Lipari. Secondo la mitologia romana Vulcano, nelle viscere fumose dell'Etna, aveva una fucina dove, coadiuvato dai Ciclopi, giganti con un occhio solo nel mezzo della fronte, batteva sull'incudine i fulmini degli dei. I boati dell'Etna, le sue pioggie di sassi e di lapilli, le lente colate della lava erano per gli antichi l'indizio dell'attività sotterranea di Vulcano e dei suoi ispidi e fuligginosi inservienti.

Presentazione a cura di: I A Scuola Media Statale “L. Pirandello” Agrigento Anno scolastico 2006-2007