Hegel: la verità nella storia Introduzione All’inizio del pensiero hegeliano non c’è una domanda specifica (Che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare?

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Hegel: la verità nella storia Introduzione All’inizio del pensiero hegeliano non c’è una domanda specifica (Che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Che cos’è l’uomo?). C’è, piuttosto, una diagnosi della coscienza moderna. Qual è il responso ? Il summum bonum della modernità è il principio della soggettività libera. Si tratta di una grande conquista, che però cova in sé una serie di laceranti dicotomie. Qualche esempio. Se ciascuno ha il diritto di far valere il proprio originale ed irriducibile punto di vista sul mondo (a view from somewhere), esiste ancora una verità oggettiva e valida per tutti (a view from nowhwre)? Se ciascuno ha il diritto di scegliersi lo stile di vita che più lo aggrada, esiste ancora una legge morale vincolante per tutti? Se nella vita sociale ciascuno ha il diritto di perseguire ai propri interessi, esiste ancora un dovere di solidarietà e di responsabilità reciproca? Il culto unilaterale e incontrollato della soggettività libera, in altre parole, minaccia le dimensioni universali della condizione umana (epistemologiche, etiche, politiche). Sono crisi di questo tipo ad alimentare la riflessione filosofica. Essa sorge dal dolore e dalle contraddizioni di un’epoca, e mira a ricomporre le disjecta membra della sua vita spirituale: “Il bisogno della filosofia nasce quando la potenza dell’unificazione scompare dalla vita degli uomini, e le opposizioni hanno perduto il loro rapporto vivente”.

Cristianesimo e modernità Il cristianesimo racchiude, nello stesso tempo, i germi della scissione e quelli della riconciliazione. I primi perché Dio, creando l’uomo libero, si è esposto alle negazioni della sua creatura. I secondi perché Dio ha ricondotto a sé il mondo non con un atto di forza, bensì attraverso la kènosi del Figlio, ossia “travasando” la legge della vita trinitaria – l’amore – nell’autocoscienza dell’uomo Gesù e, attraverso di lui, nell’autocoscienza collettiva del genere umano La dialettica dell’esperienza religiosa consta di tre momenti: a) unità indifferenziata tra il finito e l’infinito (religione greca), b) scissione e antagonismo tra l’umano e il divino (ebraismo), c) riconciliazione, mediante l’effusione dell’amore divino (Spirito) nel mondo, degli opposti (cristianesimo) Questa dialettica, nel Frammento di Sistema (1800), viene per la prima volta declinata in termini filosofici: all’origine (della realtà come del pensiero) c’è una “vita indivisa”, che la “riflessione” scinde dando luogo a una molteplicità contraddittoria di prospettive individuali, mentre la religione (che qui non significa più una confessione specifica, bensì la comprensione razionale dell’Assoluto), ristabilisce l’unità tra finito e infinito, ovvero la “vita infinita”

Fenomenologia dello spirito scienza dell’esperienza della coscienza (Jena, 1807) Una “odissea”, “un viaggio di scoperta” del globus intellectualis nel corso del quale il singolo ripercorre “i gradi di formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata” Un’avventura temeraria: dal solido terreno dell’analitica (regno della verità) al tempestoso oceano della dialettica (regno dell’apparenza) La stella polare del viaggio: l’apparenza (il fenomeno) non è illusione, ma verità in cammino Il punto di partenza: una coscienza lacerata da molteplici opposizioni (finito/infinito, particolare/universale, libertà/legge ecc) Il punto di arrivo: la scoperta dell’Assoluto quale scaturigine e fondamento di ogni dualismo Guardando a ritroso: le trasformazioni in itinere della coscienza (individuale e collettiva) sono momenti del divenire dell’Assoluto, forme provvisorie della sua stessa autocoscienza Sentieri interrotti: le filosofie dell’intuizione e del sentimento (Jacobi); il formalismo kantiano, il “cattivo infinito” di Fichte, l’Uno senza il molteplice di Schelling La “scala d’accesso”: l’Assoluto è soggetto, non solo sostanza (I tesi); il vero è l’intero, l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo (II tesi); l’unica esposizione adeguata della verità è il sistema scientifico, ossia un discorso rigorosamente concatenato (III tesi).

Intermezzo: la dialettica della vita infinita, cioè dell’Assoluto Egli è sostanza (l’astratta uguaglianza dell’Assoluto con se stesso), cui corrisponde, sotto il profilo logico, il principio di identità (A=A) La sostanza si aliena (l’Assoluto si perde nella moltitudine cangiante e contraddittoria delle sue prospettive finite, dette “figure”), cui corrisponde, sotto il profilo logico, il principio di differenza (A≠B) La sostanza ritorna a sé come Spirito (l’Assoluto si riconosce nelle sue epifanie mondane – naturali e storiche –, che vengono “distrutte” nella loro unilateralità e “conservate” come tappe necessarie della sua ascesa verso la piena consapevolezza di sé), cui corrisponde, sotto il profilo logico, il principio speculativo (A= A U B)

I figura: la coscienza Certezza sensibile: è una conoscenza vuota, poiché l’oggetto che incontriamo “qui e ora”, a dispetto della sua apparente stabilità, si risolve un fascio di sensazioni episodiche e mutevoli; Percezione: una visione “plenaria” dell’oggetto, che riconduce le sue diverse qualità ad un sostrato portante. Tuttavia il sostrato non lo percepiamo, non diviene mai oggetto di esperienza. Dunque è un “fantasma” In realtà il protagonista di questa ascesa dalla moltitudine delle sensazioni all’unità della cosa è l’intelletto: la stabilità e la coerenza degli oggetti (i fenomeni, diceva Kant) sono il frutto dell’attività legislatrice del soggetto conoscente

II figura: l’autocoscienza Dopo essersi perduta nel mondo degli oggetti, la coscienza ritorna a se stessa e scopre la sua vera essenza, che è l’auto-affermazione L’oggetto supremo del suo appetito va al di là del ciclo biologico: essa non vuole semplicemente delle cose, bensì la propria identità, la ragion d’essere della propria esistenza L’appetito diviene così desiderio di riconoscimento, affermazione della coscienza nel suo incontro/scontro con quell’altro che non è più la cosa da distruggere e fagocitare, bensì un’altra autocoscienza L’esito di questo antagonismo è il precario trionfo del signore sul servo. Ma da questo cedimento, e dalla lunga espiazione nel lavoro, si compie il riscatto della coscienza servile Il cammino della libertà nel mondo, che è un cammino di liberazione dall’alterità del mondo, passa attraverso tre atteggiamenti della coscienza: lo stoicismo (libertà intesa come distacco e fuga dal mondo), lo scetticismo (negazione del mondo), la coscienza infelice (l’alienazione religiosa, dove al rapporto con un signore reale subentra il rapporto con un signore immaginario) Il cristianesimo è un momento fondamentale di questo processo: dal Dio assolutamente altro al Dio che si fa uomo. Tuttavia nella devozione cristiana il divino rimane “quell’irraggiungibile al di là che sfugge”. Ma proprio l’ascetismo cristiano ha educato la coscienza a superarsi, a elevarsi al punto di vista del divino, a superare il dualismo trascendenza/immanenza. Così l’autocoscienza ottiene “la certezza di essere ogni realtà”, ossia di essere ragione

III figura: la ragione La ragione è sintesi di soggetto e oggetto, di teoria e prassi: l’oggetto di cui sono cosciente non è diverso dall’oggetto del mio desiderio, il mondo che ho creato, per il mio bisogno e con il mio lavoro, è appunto il mondo che conosco, che sta dinanzi a me Hegel chiama “idealismo” la consapevolezza della ragione di essere essa stessa l’intera realtà Perché il processo fenomenologico non si arresta qui? La risposta di Hegel: “..nel processo pedagogico noi riconosciamo come schizzata in proiezione la storia della cultura universale” Si spiega così, nelle ultime tre sezioni dell’opera, uno spostamento di prospettiva: alla coscienza individuale subentra una soggettività più vasta, il mondo delle istituzioni e della cultura (spirito oggettivo)

IV figura: lo spirito Etica: la bella libertà dei greci, il diritto romano, la cultura, la moralità Religione: naturale (orientale), artistica (greca), rivelata (cristianesimo) La discesa di Dio in terra è il preludio della sua morte, giacché egli, una volta risoltosi nell’uomo, nella comunità umana, diventa in un certo senso superfluo. O meglio, superflua diventa la presenza di Dio nella forma della rappresentazione, ma non lo diverrà mai il suo sacrificio: “l’uomo divino, o il Dio umano, morto, è in sé l’autocoscienza universale”. Come Dio deve morire, così anche la rappresentazione deve risolversi nel concetto che è, esso solo, l’assoluta e totale adeguazione del sapere alla verità La conclusione dell’itinerario è dunque il sapere assoluto, ossia l’autocoscienza della vita infinita che pensa sé e risolve in sé tutte le proprie oggettivazioni finite Il sapere così raggiunto non sarebbe assoluto se non fosse in grado di recuperare, mediante una sorta di anamnesi interiorizzante, l’universo delle esperienze che la coscienza individuale, nella sua lunga odissea, ha dovuto superare