Ti racconto UNA STORIA MERAVIGLIOSA:

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Transcript della presentazione:

Ti racconto UNA STORIA MERAVIGLIOSA:

La mia vita

Ero una bambina come te, con i capelli lunghi. Mi piaceva -giocare -saltare -correre

-ballare -ascoltare musica -gareggiare in bicicletta -giocare sulle rive del Tagliamento

Sono nata a Carpacco, un ridente paesino friulano, il 20 settembre 1912.

Complimenti, sei bravo/a in matematica, il conto è esatto: 100 anni fa.

e poi… è il nome della mamma di Gesù. Il mio nome era MARIA, ma i genitori, gli amici, i nonni mi chiamavano MARIUTE. Mi piaceva tanto essere chiamata Mariute, piccola Maria, perché mi sentivo coccolata e benvoluta da tutti e poi… è il nome della mamma di Gesù.

Ho frequentato la scuola elementare a Carpacco (UD)

Ho lavorato alla filanda, come tutte le mie coetanee.

La seta prodotta dal baco diventava filo.

Un giorno arrivò a Carpacco un missionario. Ascolta bene cosa successe…

Non volevo andare a sentire la sua predica e il perché è subito detto: Avevo un appuntamento con gli amici: correre in bici; mi divertiva tanto!

Ma, sai come fanno le mamme? Non ho potuto resistere alla sua ferma insistenza: vai, Mariute!

Sono entrata in chiesa sbuffando. Ma, ascoltando il padre missionario avviene in me un fatto straordinario: il mio cuore desidera amare gli ultimi, quelli che nessuno vuole, che nessuno cerca, i lebbrosi di cui tutti hanno paura.

Gesù mi ha conquistato il cuore voglio partire per terre lontane, voglio far conoscere Gesù.

Ora però sono nei guai. Come dirlo alla mamma e all’amato papà?

? Quando rientro a casa la mamma si accorge che sono strana, che le nascondo qualcosa. Avrà pensato che non ho ubbidito, che sono andata con gli amici a scorazzare in bicicletta?

Le dissi: “Mamma, Gesù mi ha conquistato il cuore per sempre e mi chiama a servirlo nei più poveri, in coloro che nessuno ama. Voglio diventare missionaria.

Nessuno credeva alla mia decisione, ma il desiderio era troppo forte in me, ero sicura che Gesù mi chiamava e che a Lui dovevo dire di sì: mi aveva preso il cuore.

Alla vigilia di Natale 1931 mamma e papà mi dissero finalmente il loro sì: segui Gesù. Era il più bel regalo di Natale.

In bici percorsi i 10 Km che separano Carpacco da Fagagna, dove c’erano le suore che io non avevo mai visto e non conoscevo. Loro mi insegnarono cosa dovevo fare per seguire Gesù che mi chiamava.

E così il 2 giugno 1932 fui accompagnata a Bergamo nel noviziato per imparare a diventare suora e missionaria.

Scrissi: “Caro papà, ti chiedo di pregare perché riesca ad imitare Bartolomea, la fondatrice delle suore di Lovere (BG)”.

Desideravo essere l’umile ombra portatrice dello splendore di Gesù.

Divenni Suora Infermiera (ecco il mio diploma) Ritornai a Carpacco a salutare per l’ultima volta i miei cari e le amiche.

Ripartii dalla stazione di Codroipo per una terra lontana, lontana, forse per sempre.

un imponente transatlantico che emergeva Il 7 settembre 1934 mi imbarcai con altre 16 suore nel porto di Venezia diretta a Bombay sulla nave Conte Verde, un imponente transatlantico che emergeva dall’acqua come fosse il re del porto.

Furono 13 giorni di navigazione fra acqua e cielo.

Arrivammo al porto di Bombay il 20 settembre, giorno del mio 22° compleanno.

Ci accolsero due suore con tanta cordialità che ci fecero sentire i tesori più preziosi da loro attesi.

Tutto qui era diverso dall’Italia, le persone, il modo di vivere, gli odori, anche la natura. Non c’era un fiore, una foglia, un filo d’erba come quelli che conoscevo.

La mia mente e il mio cuore spaziavano tutt’intorno senza sosta per ammirare questa terra nuova, sconosciuta.

Ero contenta di donare la mia vita al Signore e ai fratelli. Desideravo essere il chicco di grano che muore nel terreno per germogliare e dare frutti.

Da Bombay raggiungemmo Krishnagar (vicino a Calcutta) in treno Da Bombay raggiungemmo Krishnagar (vicino a Calcutta) in treno. Il treno non aveva vetri ai finestrini, le portiere erano aperte e a ogni fermata si accalcavano nuove persone.

Due mesi dopo, ripartii dall’India diretta in Birmania – Myanmar- una terra molto più povera dell’India.

Io mi fidavo del Signore, del suo aiuto, certa che il suo amore rendeva possibile ogni cosa. E fu sempre così.

A Keng tung vivevamo poveramente. C’era la scuola,l’ambulatorio, il centro di accoglienza per malati, anziani e mendicanti.

La vegetazione era ricca e varia; di notte il cielo offriva uno spettacolo eccezionale. Le scimmie, dispettose, ci rubavano la frutta dagli alberi.

Quale tristezza quando, lavorando nell’ospedale inglese, vidi i lavoratori delle miniere molto malati!

Ci chiamavano: NAI CAO ossia mamma bianca. Eravamo come le loro mamme.

Andavo anche nei villaggi per visitare a domicilio -anziani, -orfani, -bambini, -persone abbandonate, -lebbrosi.

Andando spesso nella foresta in cerca di nuovi villaggi scoprii dei nascondigli dove vivevano i lebbrosi, abbandonati da tutti.

Per accoglierli e curarli costruimmo un lebbrosario Per accoglierli e curarli costruimmo un lebbrosario. Erano poveri, ma ricchi di umanità. E il villaggio si ingrandiva sempre di più.

Vi ospitammo anche un bonzo, monaco buddista, con il corpo pieno di piaghe. Dopo molte cure guarì. E prima di lasciarci ci disse: “Il vostro Dio è diverso dagli altri, perché non abbandona nessuno. Voglio portarlo con me e parlare a tutti di Lui, di voi”.

Nella foresta vivevano lupi. A volte i serpenti entravano nelle stanze. Quella notte, alla luce della candela, vidi l’ombra minacciosa del cobra proiettata sul muro. Un uomo molto abile ci liberò dall’ospite sgradito.

Quella sera toccò al nostro cagnolino, che ci salvò la vita. Il vero pericolo, però, erano le tigri. Attaccavano di sera le mucche o qualche persona. Quella sera toccò al nostro cagnolino, che ci salvò la vita. Il vero pericolo, però, erano le tigri. Attaccavano di sera le mucche o qualche persona.

Sopravenne la 2^ guerra mondiale. La città di Keng Tung fu bombardata Sopravenne la 2^ guerra mondiale. La città di Keng Tung fu bombardata. Noi curavamo i feriti. Ci furono tante vittime. Fra queste anche una suora.

Gli ufficiali inglesi ci convinsero a partire, perché stavano per arrivare i nemici: i cinesi. Ma noi restammo con i nostri poveri.

Cercammo rifugio, portandovi i feriti, sulla collina, dove c’erano delle pagode abbandonate, nascoste dalla vegetazione.

Quella sera stessa, con alcuni uomini dovevo tornare al lebbrosario, per recuperare quanto vi era rimasto, quando vidi dei bagliori di fuoco che si levavano in alto. Il lebbrosario era stato incendiato dagli invasori di turno.

Il mattino dopo, andai al lebbrosario per cercare se qualcosa si era salvata dal fuoco: solo il tabernacolo! Lo nascosi per riprenderlo più tardi.

All’improvviso fui circondata dai soldati cinesi che mi portarono nel loro accampamento dove vidi che avevano portato quello che ci serviva per vivere: il riso e i maiali.

Mi stringevano fortemente, non potevo scappare. Arrivò un anziano birmano che si mise a discutere in cinese. Allora, si disposero in doppia fila e mi fecero passare. Cercai l’uomo per ringraziarlo: era sparito.

Per cibo bollivamo i doni della foresta e un po’ di riso al quale ogni tanto davamo un po’ di sapore col curry.

Finita la lunga e brutta guerra ricostruimmo il lebbrosario. Non ci mancava nulla, la divina Provvidenza veniva in nostro aiuto. Ci fu donata una mucca col vitellino. Nella capitale ottenni dalle autorità un camion pieno di riso, medicine e quanto poteva servire.

Mi rapirono e volevano uccidermi. Fui minacciata dai briganti se non avessi consegnato una somma di denaro. Mi rapirono e volevano uccidermi. Riuscii a fuggire e tornare alla missione, ma eravamo tutte in pericolo di vita.

Poco dopo, apparve in lontananza una luce come sorretta da qualcuno che non si vedeva. Continuò fino alle luci dell’alba. Qualcuno ci aveva protette e salvate: fu un miracolo.

Passavo lungo la strada del carcere a Taunggyi quando mi sentii chiamare. Riuscii a entrare nel carcere a fatica, ma con determinazione.

Riconobbi un giovane del gruppo che mi aveva rapita Riconobbi un giovane del gruppo che mi aveva rapita. Mi chiedeva perdono e il vangelo: “REGALAMI QUELLE PAROLE DI PACE”.

Ogni settimana scrivevo alla mamma e ai miei cari.

Andai a Mong Pan un piccolo, povero villaggio Andai a Mong Pan un piccolo, povero villaggio. Mi ammalai di malaria cerebrale: non c’erano né medici né medicine. Dovevo morire, ma incredibilmente guarii. La forza e l’amore di Gesù mi avevano salvata.

Un’altra volta dovevo andare a Rangoon, la capitale, col treno Un’altra volta dovevo andare a Rangoon, la capitale, col treno. Era stracarico di gente e i nostri posti occupati. Uno studente ci fece raggiungere l’ultimo vagone che era quasi vuoto.

Vicino a un ponte il treno iniziò a oscillare, a sobbalzare, sbandava e finì in una ripida scarpata. Solo noi dell’ultima carrozza eravamo salvi.

GRAZIE! La mano del Signore, anche questa volta mi aveva protetta e gli sussurrai:

Il medico che mi conosceva Nel 1969 mi ammalai ancora gravemente. Fui ricoverata nell’ospedale russo. Il medico che mi conosceva (mi aveva dato le medicine da portare nei villaggi prima della guerra) mi chiese perché avevo aspettato tanto a curarmi.

Capivo che ero in fin di vita, ma se il Signore voleva, sarei guarita.

Decisero di mandarmi in Italia a curarmi. Non volevo, perché un missionario desidera sempre rimanere tra la sua gente e io ero lì da 36 anni.

Dissi a Gesù: “Sono qui per te Dissi a Gesù: “Sono qui per te. Accetta ogni mia sofferenza come umile grazie”.

Arrivai a Roma. Mi misero nell’ambulanza e sentii dire: “Sembra un sacco vuoto. Ci portano qui una morta”.

E invece, sorpresa, dopo una lunga convalescenza guarii. A Roma A Venezia

E allora, un desiderio sempre vivo in me si fece strada: tornare in missione. Le leggi birmane mi impedivano di ritornare lì.

Chiesi il permesso di andare in India, ma mi dissero che ero troppo vecchia.

Come sempre, non mi arresi Come sempre, non mi arresi. Ero entusiasta di andare in India in cerca dei più bisognosi.

E il 12 marzo 1972 lasciavo Roma per tornare in India E il 12 marzo 1972 lasciavo Roma per tornare in India. L’amore di Gesù muoveva ogni mio passo.

A Jeppoo, che significa luogo di pace e di silenzio, vicino a Mangalore, aiutai un dottore che si prendeva cura dei malati di lebbra: era il mio desiderio.

Giravo con la mia borsa contenente dei medicinali, a passo spedito, fra le baracche vicino alla città dove vivevano famiglie povere ed emarginate.

Per aiutare i bisognosi, acquistai un terreno incolto non molto lontano dalla città con il denaro che gli amici italiani e svizzeri mi avevano donato.

E sorse il villaggio dell’amore, Olavina Halli in lingua kannadà. All’inizio non c’era nulla: dormivamo in una capanna di legno e foglie.

Poi costruimmo alcune casette per i lebbrosi il dispensario per i malati l’abitazione per le suore la strada il pozzo.

Furono piantate -palme da cocco -banani -papaia -mango -anacardi -pepe

E seminati tanti fiori che crescevano rigogliosi e odorosi in mille colori e la bugonvilla.

Cominciarono presto ad arrivare i lebbrosi.

Non avevamo fornelli, ma usavamo il fuoco acceso tra i mattoni.

Non c’era luce all’inizio, solo qualche candela e una lampada ad olio per le emergenze.

Non avevamo la chiesina, ma, in una piccola stanza, c’era il tabernacolo. Quante notti ho passato in preghiera!

Il nostro villaggio è suddiviso in vari spazi: per le abitazioni per le piante da frutto per gli animali per coltivare il riso per coltivare gli alberi della gomma (che ci danno un buon guadagno)

Come arrivò la prima famiglia. Il papà era lebbroso e fu licenziato Come arrivò la prima famiglia? Il papà era lebbroso e fu licenziato. La famiglia viveva in una capanna. Un mattino il papà arrivò con una chioccia e dei pulcini. Li aveva acquistati al mercato con pochi soldi. Li portò da noi per dare avvio al pollaio. Così la famiglia venne ospitata in una casetta del villaggio.

Il 4 novembre 1974 arrivò la prima volontaria italiana ad aiutarci: Gabriella. E, poco dopo, anche Alberto e Diana.

Al villaggio venne accolto un maestro lebbroso Al villaggio venne accolto un maestro lebbroso. Divenne l’insegnante del nostro villaggio.

Ci venne donata una jeep per gli ammalati.

Nel 1980 fui colpita dall’ameba. Ero in fin di vita. Ma guarii: era la terza volta. Nel 1980 fui colpita dall’ameba. Ero in fin di vita.

Nel 1982, per i miei 50 anni di vita donata al Signore chiesi agli amici un dono: 50 casette per i miei poveri. E ci riuscimmo.

Nel villaggio ospitiamo ogni persona bisognosa, senza guardare alla sua religione o alla casta. La Provvidenza non manca mai.

Io tengo i contatti scrivendo a tanti amici che mi aiutano. Uso la macchina da scrivere che mio fratello mi aveva donato al mio ritorno dalla Birmania.

Una nuova malattia colpisce parecchie persone: l’AIDS Una nuova malattia colpisce parecchie persone: l’AIDS. Per curare questi malati abbiamo aperto un ambiente nel villaggio.

La nostra caratteristica: distinguerci per l’amore che sappiamo dare a tutti coloro che ci avvicinano.

Il Signore ci ha chiesto di essere sue mani, suoi piedi, sua bocca per abbracciare, camminare e parlare con gli uomini. All'esterno di questa costruzione il cartello porta la seguente scritta: STOP: DOVE IERI C'ERA FORESTA OGGI C'È UN VILLAGGIO NATO DAL SACRIFICIO DEI VENETI E FRIULANI PER GLI AMICI LEBBROSI

Solo allora, forse, un giorno, il mondo sarà un vero villaggio dell’amore.

Dal 19 giugno 2006 vivo nella casa di Gesù, per sempre.

Gli dono il mio amore, ammiro il cielo azzurro della Birmania, Olavina Halli, villaggio dell’amore e gli dico: “Gesù, ci sarà qualche bambino che vorrà continuare la mia meravigliosa avventura con Te?”

E tu, bambino che mi hai ascoltato, vorresti prestare mani, intelligenza, volontà e tutti i doni che Dio ti ha fatto, per i bisognosi che incontri nel quotidiano? Forse lì scopriresti la tua vera felicità, come è successo a me!

Il mio corpo è sepolto in India, ma io continuo a girare per i cieli immensi dell’Asia e dell’Europa, per raccontare a tutti l’amore di Gesù.

Ciao, la tua suor Amelia Cimolino di Carpacco (UD). Grazie. the end

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