Cultus et Facies La Bellezza.

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Cultus et Facies La Bellezza

La Bellezza Non Basta… (Ars Amandi, II, 159-186) Al bando ogni maleficio! Se vuoi essere amato, sii amabile: e questo non te lo daranno solo l’aspetto e la bellezza. Se anche tu fossi Nìreo, amato dall’antico Omero, o il tenero Ila, rapito dalle Nàiadi per tener legata la donna e non stupirti che ti abbia lasciato, aggiungi ai pregi fisici le doti intellettuali. La bellezza è un fragile bene, con il passar degli anni diminuisce e si consuma lungo il suo stesso corso: nè le viole nè i gigli sbocciati sono sempre in fiore, e, persa la rosa, rimane solo la rigida spina. Anche per te, che sei bello, verranno i capelli bianchi, presto verranno le rughe a solcarti il corpo. Costruisci un animo che resista al tempo, e aggiungilo alla bellezza; esso solo dura fino all’estremo rogo. Impegnati a coltivare la mente con le arti liberali e a imparare a fondo entrambe le lingue. Non era bello Ulisse, ma sapeva parlare, e per lui spasimarono d’amore le dee marine.

Dunque suvvia, non confidare nell’aspetto che inganna; chiunque tu sia, stima qualcosa superiore al corpo. Soprattutto conquista i cuori l’accorta compiacenza, mentre l’asprezza suscita l’odio e le guerre crudeli. Odiamo l’avvoltoio, che vive sempre in armi, e i lupi, avvezzi ad aggredire il gregge timoroso, mentre è immune dalle insidie umane, chi è mite, e l’uccello caonio ha le sue torri, dove può abitare. State lontani, o litigi e battaglie di parole amare! Con dolci accenti si alimenta il tenero amore. Con i litigi le mogli mettano in fuga i mariti e i mariti le mogli, e pensino di avere sempre dei processi in corso; questo si addice alle mogli: il litigio fa parte della dote. Ma l’amante ascolti sempre suoni desiderati. Non siete venuti nello stesso letto per ordine della legge; per voi al posto della legge c’è amore. Portale dolci lusinghe e parole che ascolti con piacere, perchè ti allieti vedendoti arrivare.

Premessa Ovidio opera un importante mutamento di prospettiva nei riguardi del cultus, nella sua accezione di ornamento, rispetto alla tradizione precedente votata all’amore – dove funzione della ratio è un’individuale ricerca della miglior facies conseguibile per ciascuno, in vista di una perfetta conformazione estetica e interiore a partire dalla saggia conoscenza dei propri limiti. Sotto forma di carme o di opera didascalica, la versificazione ovidiana di età giovanile si incentra sulla riformulazione di un tipo d’amore inteso come gioco e governato da precise regole di conquista.

Ars Amatoria Ovidio praeceptor amoris, professore di erotismo, impartisce insegnamenti per praticare l’arte della seduzione. Le strategie di conquista sono universali, ma l'amore non è una scienza esatta: ogni donna per essere conquistata richiede un approccio diverso. I metodi utili sia per la conquista che per il mantenimento del rapporto sono principalmente due: l'inganno e la simulazione. Secondo il poeta, bisogna simulare di accondiscendere ad ogni capriccio della preda, che riterrà così di essere davanti ad un amante fedele e prodigo…

Le Regole Di Conquista I sentimenti sono interpretati dal poeta alla luce di un gioco amoroso Ovidio, rifiutando l’impegno sentimentale e passionale, concepisce la poesia come un lusus, accattivante e ironico Arma efficace nelle strategie d’amore, il cultus (l’arte di agghindarsi) è utilissimo a conquistare e mantenere le conquiste fatte... L’uomo seduce con l’inganno e la simulazione, la donna con l’ornamento del corpo…

Cultus Letterario Della Donna Portamento E Andatura Nella sezione didascalica destinata al conseguimento di un certo fascino rientrano anche i precetti relativi alla camminata e al portamento. L’andatura, infatti, ha il potere di sedurre e quindi deve essere particolarmente curata: non deve sembrare né "rustica" né tanto meno "molleggiata". Ciò viene però considerato gradevole se si tratta di donne "formosae". Cultus Letterario Della Donna Per quanto riguarda la cura della componente intellettiva sarà opportuno che la donna si dedichi alla lettura di diversi poeti specialmente d’amore. Fra l’elenco ritroviamo lo stesso Ovidio. Alla donna "docta" il poeta contrappone quella "rudis et simplex"; ma che questa appartenga all’una o all’altra categoria poco importa, basta che contraccambi l’amore. È importante sottolineare come il lessico utilizzato per descrivere le donne coincida con quello proprio delle due poetiche a confronto: il "sapiente amare" ovidiano e il "furor" della passione.

Il concetto di bellezza dei Moderni Connessa a ciò è l’affermazione del principio di una indefinita modificabilità dell’aspetto del proprio corpo e, in correlazione ad esso, della responsabilità individuale nella creazione di un’immagine corporea adeguata ai valori estetici e salutari dominanti. L’aspirazione alla bellezza fisica è un aspetto determinante della cultura contemporanea rispetto alle precedenti. L’immagine del proprio corpo è un elemento essenziale nella costruzione del sé, che si è dunque in larga misura esteriorizzato ed individualizzato.

Qualcosa sul lessico ovidiano della bellezza Prouenit et culto stat seges alta Forma dei munus: forma quota quaeque superbit? Pars uestrum tali munere magna caret. La massima perfezione raggiungibile in fatto di bellezza è la “forma”, dono divino inarrivabile che non necessita di ulteriore ornamento. - Il magister Ovidio, pur non escludendo le “formosae” dal numero di allieve-lettrici, dedica il suo prontuario soprattutto a donne non esteticamente perfette, proprio per questo investite di un importante compito: sfruttare l’ingegno per mascherare con sapientia i propri difetti. Le donne contemplate dall’Ars non eccellono quanto a “forma” bensì si qualificano come donne mediocri, ma di bell’aspetto se ben curate.

Ovidio scrive (Ars, III, 255-262): Turba docenda uenit, pulchrae turpesque puellae, pluraque sunt semper deteriora bonis. Formosae non artis opem praeceptaque quaerunt ; est illis sua dos, forma sine arte potens. rara tamen menda facies caret : occule mendas, quaque potes uitium corporis abde tui. Le allieve di Ovidio sono “pulchrae turpesque”; solo le formosae non sono alla ricerca di consigli…: -Formosus, ‘anatomicamente ben fatto’ e forma, ‘bella forma fisica’, ‘salute di anima e di corpo’, acquisiscono in età ciceroniana una certa sfumatura erotica. Forma in età tardo repubblicana e imperiale indica un concetto non più romano, ma greco-ellenistico: dall’idea di robustezza e salute, passa a indicare un corpo seducente. Formosa diventa colei che possiede la forma, una bellezza legata al desiderio erotico, composta dall’insieme armonioso di tutte le componenti del corpo, che si qualifica per di più come bellezza naturale, tale da non potersi ottenere con l’impiego di nessun artificio.

Tutela Morum Ira, Superbia, Facies I comportamenti della donna devono essere moderati agli occhi dell’uomo: più è amabile più riuscirà a confermare nel tempo l’amore del compagno. Svanita la bellezza nel tempo, l’amabilità ne prenderà il posto Ira, Superbia, Facies La moderazione deve far parte del gioco amoroso fin dai suoi esordi: vanno banditi i sentimenti negativi come la rabbia, l’ira, superbia. Le prime deformano il volto, la seconda altera lo sguardo. Il “cultus” accresce la superbia femminile: la donna semplice è incapace di utilizzare le "artes" per esaltare la propria bellezza e persino le divinità non sono insensibili agli allettamenti del “cultus”. L’aspetto attraente incute soggezzione agli stessi dei.

Pudor simulato et Facies Tra i "boni mores" che si addicono alla puella amata c’è anche il "pudor". Vero o dissimulato che sia, assieme al fascino ("facies")è sempre una potente arma di seduzione. Difficile, però, che una donna bella sia anche pudica; più probabile che la sua ritrosia sia un modo per rendersi interessante o per riservarsi di scegliere a proprio capriccio a chi concedersi… - Come resistere alla tentazione di alzare le mani sulle "cultae comae" e sulle guance falsamente imporporate e rigate di lacrime di una traditrice? La bellezza stessa della donna e il suo falso pudore sono le armi con cui la colpevole ("conscia") vuol farsi perdonare. In questo brano Corinna è sorpresa da Ovidio a baciare un altro a banchetto (Amores, II, 5, 29-34 e 41-46):  

«Che fai?» grido «Dove sprechi gioie che sono mie? Rivendicherò i miei diritti di padrone. Sono gioie che dobbiamo condividere solo noi due: perché un terzo si inserisce per goderne?» Io dissi questo e tutto ciò che mi dettava il dolore; ma il viso di lei si tinse del colpevole rossore della vergogna […] Aveva lo sguardo rivolto a terra: e volgere lo sguardo a terra le donava; era mesta in volto: e la mestizia le si addiceva. Così com'erano (ed erano ben pettinati) ebbi l'impulso di strapparle i capelli e di avventarmi contro le sue morbide guance; ma come vidi il suo viso, le forti braccia mi caddero: la mia donna fu ben difesa dalle sue armi. “Quid facis? – exclamo – Quo nunc mea gaudia differs? Iniciam dominas in mea iura manus! Haec tibi sunt mecum, mihi sunt communia tecum: in bona cur quisquam tertius ista uenit?” Haec ego, quaeque dolor linguae dictauit; at illi conscia purpureus uenit in ora pudor, […] Hic erat aut alicui color ille simillimus horum, et numquam casu pulchrior illa fuit. Spectabat terram: terram spectare decebat; maesta erat in uultu; maesta decenter erat. Sicunt erant (et erant culti) laniare capillos et fuit in teneras impetus ire genas. Ut faciem uidi, fortes cecidere lacerti : defensa est armis nostra puella suis

  - Capelli ben acconciati, finto pudore e pianto riparatore hanno la meglio sul poeta tradito. Ovidio in realtà non pretende che l’amata "formosa" sia anche pudica: le chiede solo di fingere di esserlo (Amores III, 14, 1-3): Poiché sei bella, non ti posso impedire di cadere in peccato, però non voglio nemmeno, infelice, essere obbligato a saperlo, e il mio rimprovero non è un invito alla castità, ma una preghiera, perché tu almeno cerchi di dissimulare. Non ego, ne pecces, cum sis formosa, recuso, sed ne sit misero scire necesse mihi, nec te nostra iubet fieri censura pudicam sed tamen ut temptes dissimulare rogat.

Atalanta e Ippomene (Metamorfosi X 560-680) Atalanta è velocissima e sfida i suoi corteggiatori nella corsa: in palio c'è la sua mano, in caso di vittoria, il loro sacrificio, in caso di sconfitta: “ A lei, che lo consultava sulle nozze, l'oracolo rispose: 'Tu non hai alcun bisogno di un marito, Atalanta. Evitalo! Ma purtroppo non vi sfuggirai e, viva, non sarai più te stessa'. Atterrita da quel responso, va a vivere sola nell'intrico dei boschi e si sbarazza della petulanza dei suoi pretendenti con questa dura condizione: 'Nessuno potrà avermi, se prima non m'avrà vinto nella corsa. Misuratevi con me: chi sarà veloce abbastanza, avrà in premio me come sposa; i lenti pagheranno con la morte. Questo è il patto della gara'. Spietata, certo; ma, tale è lo stimolo della bellezza, che una folla è quella che accetta di affrontare il patto per averla”.

Scatta la scintilla… Ippomene, come molti altri pretendenti, vedendo il corpo meraviglioso della fanciulla, se ne invaghisce e vorrebbe gareggiare, ma è assalito dal timore di fallire; anche Atalanta, inconsapevolmente presa dalla giovane bellezza di Ippomene, comincia a riflettere sul destino del pretendente. Nella meditazione di Atalanta ricorre più volte l'accenno alla bellezza e alla giovinezza, mentre si insinua in lei il desiderio di essere vinta:

La riflessione di Atalanta Quale dio, nemico della bellezza, vuol perdere costui, spingendolo a chiedere la mia mano, a rischio della sua vita preziosa? Non penso di valere tanto! E non è la sua bellezza a toccarmi (anche se toccarmi potrebbe), ma il fatto che è ancora un ragazzo. Non mi turba lui, ma l'età sua. Ma poi, è tanto prode da non tremare al pensiero della morte? è veramente il quarto nella discendenza dal nume del mare? e ancora, mi ama e brama di sposarmi sino al punto di morire, se una sorte crudele dovesse negarmi a lui? Vattene, straniero, finché puoi; rinuncia a queste nozze di sangue. Matrimonio crudele è il mio. Nessuna rifiuterà di sposarti, troverai sicuramente una fanciulla saggia che ti desideri. Ma perché per te mi angoscio, dopo averne mandati a morte tanti? Vedrà lui! Che muoia dunque, se la strage di tanti pretendenti non gli è servita di lezione e in tale disgusto tiene la vita. Ma allora morirà, perché con me voleva vivere, e sconterà con una morte ingiusta la colpa d'avermi amato? La mia vittoria non sarà certo tale da suscitare invidia. Ma non è colpa mia. Avessi tu almeno il senno di rinunciare! o, visto che non ragioni più, fossi almeno più veloce! Oh, che sguardo virgineo in quel suo viso di fanciullo! Povero Ippòmene, come vorrei che tu non m'avessi mai visto! Meritavi di vivere; e se più fortunata io fossi, se un destino inesorabile non m'impedisse le nozze, tu eri l'unico, che avrei voluto avere accanto nel mio letto

non sapendo che cosa sia, ama e non si rende conto d'amare » « Così ragiona, e inesperta com˙è, toccata dal suo primo amore, non sapendo che cosa sia, ama e non si rende conto d'amare » Ov. Met. X 661-62 «Oh, quante volte lei, potendo sorpassarlo, rallentò e, dopo aver contemplato il suo viso, a malincuore lo lasciò!»

Illusionismo ottico La bellezza muliebre di Atalanta è celebrata dal poeta mettendo in risalto il fluttuare dei capelli naturalmente sciolti sulle spalle e l'incarnato del corpo, magistralmente paragonato al riverbero che una tenda purpurea produrrebbe sul marmo bianco dell'atrio di casa; si tratta di una similitudine volutamente riferita ad un'illusione ottica, più che ad una realtà naturale vera e propria: esito paragonabile a quello che un “trucco perfetto” dovrebbe restituire alla pelle d’ogni donna:

Descrizione di Atalanta “Resa alata dall'impeto dei piedi, porta sandali dorati; fluttuano i suoi capelli sulle spalle d'avorio, come le bende, con i bordi ricamati, che fasciano le sue ginocchia; di rosa è soffuso il candore verginale del suo corpo: così una tenda di porpora, in un atrio di marmo, trasmette, come un velo d'ombra, al bianco il suo colore.”

Atalanta e Meleagro (Metamorfosi, VIII 298-444 ) Meleagro radunò alcuni compagni, tra cui Atalanta bella cacciatrice, per catturare un cinghiale, che aveva devastato i possedimenti reali. L'animale era stato mandato dalla dea Diana, protettrice della regione, per la trascuratezza del padre di Meleagro (Eneo) nei suoi confronti. La bella cacciatrice Atalanta, descritta come il vanto dei boschi del Liceo, fu la prima a colpire la preda. Meleagro, che ne era innamorato, le offrì la testa e la pelle dell'animale, provocando lo sdegno degli altri cacciatori che le sottrassero il trofeo scagliandosi con violenza contro di lei. L'ira di Meleagro si sfogò contro Plessippo e Tosseo, suoi zii per parte materna, che trafisse a morte. Per la predizione che le Tre Parche avevano fatto a sua madre, l'atto provocò il deperimento e quindi la morte di Meleagro.

Natura sine cultu La bellezza di Atalanta deve tutto alla natura e nulla al cultus: i capelli sono privi di ornamenti, la veste semplice, l'aspetto quasi efebico: incarna il prototipo della naturalezza decantata dal poeta nelle sue opere teoriche: “Atalanta di Tegea, vanto dei boschi del Liceo, che portava una veste fermata in cima da una fibbia brunita, capelli raccolti senza ornamenti in un unico nodo, appesa alla spalla sinistra una tintinnante faretra eburnea per le frecce e, stretto sempre nella sinistra, l'arco: abbigliata così, l'avresti detta una fanciulla con l'aspetto di un ragazzo o un ragazzo con quello di una fanciulla. ”

Beatrice Beatrice è la donna cantata da Dante nella "Vita Nova" e celebrata poi nella "Divina Commedia", tramite dell'evoluzione spirituale, morale ed artistica, dell'Alighieri, che fu l'ultima grande voce del medioevo cristiano: un'epoca in cui l'animo umano era proteso verso la conquista della beatitudine celeste e si sforzava di essere il più distaccato possibile dagli interessi prettamente terreni e, in primo luogo, dai piaceri mondani. La poesia era allora intesa come un’esaltazione delle virtù e delle caratteristiche del personaggio, dell’ambiente o dell’oggetto. Per questo Dante rappresentò sempre Beatrice come simbolo di grazia, candore, onestà, umiltà: tutte virtù che incutono soggezione all'uomo, gli fanno abbassare lo sguardo, lo rendono beato d'un semplice sorriso, d'uno sguardo affettuoso. Infatti Beatrice viene da Dante definita, nel sonetto "Tanto gentile e tanto onesta pare" una "cosa venuta / di cielo in terra a miracol mostrare". "Cosa" è il termine dell'indefinibile, e le parole di Dante indicano che Beatrice fu, insieme, una donna realmente vissuta, una creatura celeste, un riflesso dell'ansia di ascesa spirituale e di purificazione del poeta. Beatrice divenne anche il simbolo della Teologia e della Fede, colei che sola può svelare a Dante ed all'umanità tutta il mistero di Dio.

Dante nei suoi testi poetici arriverà a paragonare la vicenda di Beatrice a quella di Cristo, definendo appunto la sua amata come un "alter Christus". Sempre nel sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” egli percepisce la perfezione di Beatrice come un qualcosa di irraggiungibile, poiché è una perfezione che sembra quasi non appartenere a questo mondo. La donna e le sue virtù si mostrano nei suoi gesti semplici e nobili: è proprio questo infatti lo scopo del poeta, il quale non vuole costruire un ritratto della sua amata, ma bensì esprimerne le "mirabili e eccellenti operazioni", sottolineando il movimento interiore che provoca la sua visione. Beatrice è per il poeta una creatura eletta che per la sua interiore nobiltà, grazia e umiltà, rimanda alla perfezione divina, e diventa così simbolo e annuncio di una salvezza futura.