Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 12
Vocali nasali in campidanese In alcune varietà sarde meridionali (dunque in area campidanese) sono presenti delle vocali nasali, simili a quelle che troviamo in alcune lingue europee come il francese. Più precisamente, incontriamo vocali di questo tipo nei dialetti del Sàrrabus, della Trexenta e del Campidano sett., arrivando sino al Campidano di Milis (non sono invece presenti nei dialetti del Sulcis, dell’Iglesiente, dell’Ogliastra e del Gerrei, oltreché a Cagliari). A questo proposito, si può vedere la carta linguistica di M. L. Wagner nella diapositiva che segue.
Dal punto di vista storico, le vocali nasali sono sorte per la caduta di -n- fra due vocali: per es., anziché káni (che è la parola per “cane” nel resto del campidanese), in queste zone si dice kã́ĩ. Nel Sàrrabus, oltre ad aversi la nasalizzazione delle vocali, si ha anche la comparsa di un colpo di glottide: per “cane”, dunque, abbiamo kã́çĩ.
Consonantismo del sardo Circa il consonantismo del sardo, nei testi più antichi della fine dell’XI sec. esso presenta, in generale, poche variazioni rispetto al latino. Questo quadro conservativo si è mantenuto, in parte, sino ai giorni nostri nei dialetti centrali, quelli che nella carta di M. Virdis presentata nella diapositiva che segue sono riassunti sotto l’etichetta di “nuorese”: sono questi, pertanto, i dialetti che meno si sono allontanati dal latino. Le altre varietà, per ragioni geografiche e storiche, sono rimaste in generale più aperte alle innovazioni: questo vale soprattutto per il campidanese e il logudorese settentrionale.
Le occlusive sorde (p, k, t) In posizione iniziale di parola p, k e t sono in generale ben conservate ovunque: PULLA > púḍḍa “gallina”; CASEU > káṡu “formaggio”; TEMPUS > témpus “tempo”. Ugualmente ben conservate sono quando siano precedute da un’altra consonante o siano doppie: CORPUS > kórpus, króppus “corpo”; APPELLARE > appeḍḍare, appeḍḍai “abbaiare”; PORCU > pórku, prókku “porco”; VACCA > bákka “vacca”; FORTE > fòrte, fòrti, fròtti “forte”; CATTU > gáttu “gatto”.
Modificazioni di p, k, t fra due vocali La posizione in cui p, k, t sono più esposte a mutamenti è quella intervocalica, non solo nel corpo di parola ma anche all’interno della frase. L’unica varietà che tende a conservare questi suoni anche fra vocali è quella nuorese. Più precisamente, nel nuorese settentrionale (si veda la carta alla diapositiva 6: siamo nel Bittese e nella Baronia) si ha, in generale, la conservazione di p, k e t: CUPA > kúpa “botte”; ACETU > akétu “aceto”; LOCU > lóku “luogo”; ROTA > ròta “ruota”; su pípere “il pepe”; su káne “il cane”; su témpus “il tempo”.
Nel nuorese centro-occidentale (con Nuoro) il quadro è parzialmente diverso, in quanto t fra due vocali tende a evolversi in đ (fenomeno che prende il nome di lenizione): come a Bitti, anche a Nuoro si dice kúpa, lóku, su pípere, su káne; diversamente da Bitti, però, a Nuoro abbiamo akéđu, ròđa (ma su témpus “il tempo”, áta “ha”). Nel nuorese orientale e meridionale (in particolare in centri come Oliena, Orgosolo, Mamoiada, Olzai, Ollolai, Gavoi, Fonni, Ovodda) la situazione è simile a quella di Nuoro, salvo il fatto che k fra vocali (e anche iniziale di parola) viene sostituita dal colpo di glottide: si dice perciò lóçu , su çáne.
Lenizioni in logudorese e campidanese Al di fuori del nuorese, in tutti i dialetti logudoresi e campidanesi si è verificato il fenomeno della lenizione, sicché, in generale, fra vocali p passa a ƀ, k passa a ǥ e t passa a đ: log. e camp. kúƀa “botte”; log. aǥéđu, camp. ažéđu “aceto”; log. e camp. lóǥu “luogo”; log. ròđa, camp. arròđa “ruota”; log. píƀere, su ƀíƀere, camp. píƀiri, su ƀíƀiri “pepe, il pepe”; log. káne, su ǥáne, camp. káni, su ǥáni “cane, il cane”; log. e camp. témpus, su đémpus “tempo, il tempo”. Riguardo al trattamento di queste consonanti tra vocali, si passa dunque da un’area di massima conservatività rispetto al latino (nuorese sett.) a una di massima innovazione (logudorese e campidanese).
Palatalizzazioni campidanesi Per comprendere gli esiti del campidanese occorre tener presente un altro fatto: davanti a e ed i k subisce un mutamento che prende il nome di palatalizzazione, passa cioè a un suono come quello iniziale dell’ital. città. Per es.: la parola per “cipolla” è nuor. kipúḍḍa, log. kiƀúḍḍa, ma camp. čiƀúḍḍa; quella per “cielo” è nuor. e log. kélu, ma camp. čélu. Quando questo suono č si trova fra due vocali, passa a ž (come il suono espresso dalla seconda g di garage): sa žiƀúḍḍa “la cipolla”; su žélu “il cielo”. Allo stesso modo: nuor. núke, log. núǥe “noce”, ma camp. núži; nuor. lúke, log. lúǥe “luce”, ma camp. lúži.
Le occlusive sonore (b, g, d) Anche per questi foni, la posizione in cui tendono a subire mutamenti è quella fra vocali. Nei dialetti nuoresi, più conservativi, abbiamo di solito che b passa a ƀ, g passa a ǥ e d passa a đ: CUBARE > kuƀare “nascondere”; NIGELLU > niǥéḍḍu “nero”; PEDE > pèđe “piede”. In logudorese e campidanese, invece, questi suoni tendono a cadere: abbiamo dunque log. kuare, camp. kuai (akkuai); log. e camp. niéḍḍu; log. pèe, pè, camp. pèi.
Il betacismo Esistono alcune lingue romanze, come lo spagnolo, che tendono a fondere in un unico esito B- e V- iniziali del latino (questo fenomeno prende il nome di betacismo): in sp., ad es., BONU dà bueno e VINU dà vino (pronunciato bino). Il sardo, in generale, appartiene a questo tipo di lingue: BONU > bónu “buono”; BUCCA > búkka “bocca”; VACCA > bákka “vacca”; VI(GI)NTI > bínti “vénti”. Se questa è la situazione generale, il dialetto di Bitti conserva invece, almeno in parte, l’originaria situazione latina: qui, infatti, si dice da un lato bónu e búkka, dall’altro vákka e vínti.
Trattamento di f Riguardo a questo fono non ci sarebbero fatti particolari da segnalare, salvo che quando viene a trovarsi fra vocali si sonorizza, passa cioè a v: ad es., fròre (o fròri in camp.) “fiore”, ma su vròre (o su vròri) “il fiore”; fúras “rubi” ma tue vúras “tu rubi” etc. Un fatto interessante da portare all’attenzione, tuttavia, è che esiste un’area della Sardegna centrale in cui f tende a non essere pronunciata. Questa zona comprende Bitti e i dintorni (Lula, Onanì), la Baronia, (Orosei, Siniscola), come pure la Barbagia (Oliena, Orgosolo, Mamoiada, Dorgali, Orani, Fonni, Gavoi, Olzai). [Si veda la carta linguistica di M. L. Wagner nella diapositiva 16]
Per es., a Bitti si dice: óku, su óku “fuoco”, “il fuoco” (a Nuoro fóku, su vóku; in log. e camp. fóǥu, su vóǥu); úras, tue úras “rubi”, “tu rubi” (altrove fúras, tue/tui vúras); émina, sa émina “donna”, “la donna” (altrove fémina, sa vémina). Si osservi però che a Bitti, quando f si trova a essere preceduta da una consonante, si conserva: a ffurare “a rubare” (nella prep. a si sente la presenza di una cons. finale: viene infatti dal lat. AD); sar féminas “le donne” etc.
Breve bibliografia M. Contini, Étude de géographie phonétique et de phonétique instrumentale du sarde, Alessandria 1987. M. Virdis, Aree linguistiche, in G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt (a cura di), Lexikon der Romanistischen Linguistik, Tübingen 1988, pp. 897-913. M. L. Wagner, Fonetica storica del sardo, Cagliari 1984.