L’Europa alle soglie del Novecento: politica ed economia Il momento della firma al congresso di Berlino del In primo piano Bismarck fra Andrássy (Austria) e Pëtr Andreevič Šuvalov (Russia) a cui stringe la manoAndrássyPëtr Andreevič Šuvalov
: la composizione del contrasto franco-tedesco garantì all’Europa alcuni decenni di stabilità; fu, viceversa, l’emergente rivalità anglo-tedesca a dissolvere infine l’equilibrio faticosamente raggiunto. Con Bismarck, fondatore del Reich tedesco nonché educatore di un popolo, riprese vigore l’idea della concertazione ma in un’accezione nuova rispetto al CdV, ossia finalizzata alla supremazia politica e diplomatica della Germania. L’ordine dell’Europa occidentale contemplava il non-ordine nei Balcani. Bismarck incoraggiò la monarchia asburgica nelle sue mire espansionistiche verso Salonicco. Un episodio diplomatico di grande importanza fu il Congresso di Berlino del 1878, nel quale emerse l’attrito tra russi e tedeschi. Ciò costrinse Bismarck a ritessere la tela delle alleanze con la Triplice Intesa (Germania, Austria, Italia) e con l’inserimento dell’Inghilterra nel sistema dell’equilibrio. Nel 1888 salì al trono Guglielmo II, la cui politica estera aggressiva favorì il riavvicinamento tra Francia e Inghilterra e tra Francia e Russia. Nel giro di pochi anni l’equilibrio voluto da Bismarck andò in crisi. I tentativi di accordo anglo-tedesco svanirono a causa della dilagante ascesa economica tedesca, che minacciava ovunque le posizioni degli inglesi. Nel 1907 con la costituzione della Triplice intesa (Francia, Inghilterra, Russia) l’Europa si ritrovò divisa in due blocchi contrapposti.
La relativa tranquillità dello scenario internazionale favorì l’espansione coloniale delle maggiori potenze europee e la formazione di un sistema economico “mondiale”. Alle spalle dello slancio imperialistico c’è la seconda rivoluzione industriale. Se la prima si era fondata sui tessuti, sul carbone e sul ferro, la seconda si basò sull’acciaio e sul petrolio. La prima ebbe nel vapore la sua principale fonte di energia; la seconda l’ebbe nell’elettricità. Una catena impressionante di scoperte in campo medico (Pasteur, Koch) e di applicazioni tecnologiche trasformò definitivamente le condizioni di vita quotidiane (trasporti, elettricità, comunicazioni, cultura e divertimento). L’età dell’acciaio tenne a battesimo una nuova organizzazione della produzione industriale fondata sulla misurazione scientifica dei tempi di lavoro (taylorismo). Dunque l’espansione coloniale va collegata al formidabile balzo in avanti dell’economia occidentale alla soglie del nuovo secolo. La pressione demografica, la corsa all’accaparramento delle materie prima, la ricerca di nuovi mercati nei quali smaltire l’eccesso di forza-lavoro e di capitale finanziario attirarono l’Africa, l’Asia e l’Australia nell’orbita del capitalismo europeo.
Si delineò una divisione del lavoro a livello internazionale: una massa imponente di materie prime e di prodotti agricoli cominciò ad affluire in Europa dai quattro angoli del mondo. Queste risorse, una volta raffinate ed arricchite di valore aggiunto, venivano esportate ovunque. Le colonie, mere appendici politiche, serbatoi alimentari e mercati sussidiari della madrepatria, imboccarono rapidamente la strada del sottosviluppo. I governi dei paesi coloniali avevano esigui margini di autonomia. Tuttavia col tempo le forme della rappresentanza locale andarono ampliandosi in rapporto allo sviluppo civile delle popolazioni. Le politiche adottate dai colonizzatori furono di due tipi: a) l’associazione, ossia il conferimento di posizioni di responsabilità alle antiche autorità locali, e b) l’assimilazione, ossia il tentativo di eguagliare sotto il profilo giuridico indigeni e coloni. Il “paesaggio” economico delle metropoli occidentali, nel frattempo, andava mutando. Nacquero grandi concentrazioni industriali, sia di tipo verticale (raggruppavano imprese interessate alle varie fasi di lavorazione di un prodotto), sia di tipo orizzontale (imprese di un determinato settore).
Sorsero anche blocchi economici che tendevano a limitare la concorrenza: trust (società di fatto tra imprese teoricamente concorrenti), cartelli (accordi orizzontali per stabilire i prezzi di vendita e per spartirsi i mercati), holdings (associazioni di carattere finanziario). Queste concentrazioni segnarono la fine dell’economia politica classica, teorizzata in regime di libera concorrenza, e determinarono la formazione di grandi monopoli. Al vertice di tali monopoli c’erano uomini capaci di condizionare pesantemente la vita pubblica, la stampa, i governi. L’età del colonialismo/imperialismo strappò al loro secolare immobilismo intere aree geografiche, sconvolgendo società arcaiche e costumi millenari; acuì gli squilibri economici e creò le condizioni del sottosviluppo. Sortì però anche un altro tipo di effetto, che nel lungo periodo avrebbe sancito la fine della dominazione coloniale: risvegliò nei popoli dominati una più precisa consapevolezza dei valori di nazionalità, di libertà, di eguaglianza.