Palazzo di Cnosso XV secolo a.C. L’isola di Creta è una immensa cittadella con il tempio incorporato nel palazzo circondata dal mare che la cingeva come un invalicabile fossato.
Nel palazzo di Minosse è stato trovato un frammento di grande importanza che ci dice sulla città molto più di quanto non indichino i palazzi dissepolti. Le tavolette di maiolica scorte da sir Evans rappresentano una città i cui elementi principali consistevano in torri case . C’erano però tracce abbondanti di intarsi di natura diversa
Palazzo di Cnosso La pittura non si separa dall’architettura. L’una e l’altra sono strettamente unite nella stessa concezione dello spazio, che dividono e animano, preoccupate entrambe di non limitarlo, di sottometterlo al movimento continuo della vita, di variarlo, di sfumarlo, di illuminarlo per farne lo sfondo di una società in cui l’uomo e la donna sembrano condurre una vita felice e intensa
Palazzo di Cnosso
Palazzo di Cnosso il palazzo reale e la sala del trono Il palazzo di Minosse a Cnosso, un complesso di edifici alto in qualche caso sino a cinque piani, copre una superficie di circa un ettaro e mezzo e ha una grande scalinata con colonne, la prima del genere che si conosca. Poco si sa dell’esterno dei palazzi cretesi, ma è improbabile che le loro facciate avessero una qualche rilevanza architettonica. Gli interni invece erano affrescati; tuttavia gli esempi di Cnosso per alcuni sono frutto della fantasia dell’archeologo sir Artur Evans. Un sistema di scarichi serviva bagni e latrine, alcune stanze erano dotate di bracieri per il riscaldamento invernale, mentre al piano terreno erano presenti enormi magazzini per conservare i principali prodotti di un’isola assai più fertile allora che oggi; granaglie, vino olio d’oliva e lana. Le dimensione dei magazzini fanno anche ipotizzare che il palazzo fosse il punto centrale di raccolta e distribuzione dei prodotti dell’isola. Non si trattava certo di una cultura funeraria, come quella degli Egizi, né templare come quella dei Sumeri in Mesopotamia; non era nemmeno un cultura di guerrieri essendo le città cretesi, così come i loro palazzi, inadatte alla difesa. Trattandosi di un’isola e forse anche di una potenza navale, il mare era la più efficace barriera difensiva.
Sulla terraferma greca era andata intanto sviluppandosi una cultura parallela. I greci di Micene dominarono la regione dell’Egeo dal 1400 al 1200 a.C. Tra i maggiori centri Micene e la vicina Tirinto. Le fortezze di Micene e Tirinto sono in netto contrasto con gli eleganti e indifendibili palazzi di Creta. In effetti potrebbero essere stati proprio i re di Micene a sostituire la civiltà minoica invadendo Creta e subentrando nel commercio minoico tra il 1450 e il 1400, pur assorbendo successivamente la cultura minoica. Nei poemi di Omero Micene è la capitale del re Agamennone. La porta dei Leoni l’imponente ingresso a Micene rivela un gusto monumentale Tirinto è meglio conservata. In questa rocca la cinta di mura definite ciclopiche è di sei mt. di spessore e dieci di altezza. Entro questa cerchia, il palazzo che risale al XIII secolo era una costruzione relativamente modesta micene
h. Mt. 13 Mt. 36 Mt. 14,5 All’esterno della rocca di Micene si trova il cosidetto tesoro di Atreo o tomba di Agamennone circa il 1300 a.C. destinato probabilmente ad accogliere il re che portò a termine l’ultima ristrutturazione della cittadella e del palazzo: è la più grandiosa delle tholoi funerarie e anche il più nobile monumento architettonico pervenuto dalla Grecia arcaica. La tomba a tholos, una antica tipologia è composta da una camera circolare semisotterranea la cui volta di copertura è costituita da corsi concentrici di conci aggettanti l’uno sull’altro, che le danno la forma di un alveare: vi si accede attraverso un corridoio inclinato scavato e con le pareti rivestite in corsi di pietra. La porta di ingresso al tesoro ha l’apertura rastremata verso l’alto e una conformazione a scarpa verso l’interno. La posa in opera delle enormi pietre richiese notevole abilità tecnica sia per offrire una adeguata resistenza alla compressione, sia per ottenere una superficie interna perfettamente levigata.
L’esempio più completo di architettura micenea è Tirinto, con le sue mura megalitiche del II millennio le casamatte e i passaggi coperti diretti alle sorgenti che serrano a sud il complesso palaziale. Il nucleo più antico è a sinistra al quale se ne affiancò un altro sul lato occidentale . Da sottolineare la presenza del megaron con quattro colonne , il focolare centrale il trono sul lato destro
Cuma: la città arcaica e l’antro della Sibilla
L’architettura classica affonda le sue radici nell’antichità, nel mondo greco, in quello romano nell’architettura dei templi greci e nell’architettura religiosa, militare e civile dei romani . In questo corso intendiamo esaminare l’uso che del linguaggio classico è stato fatto come linguaggio architettonico comune, ereditato da Roma , da parte di tutto il mondo civile a partire dal Rinascimento. Che cosa contraddistingue un edificio classico; l’uso negli elementi decorativi di una sintassi tipica del mondo antico, comunemente denominato monco classico. Questi elementi sono facilmente individuabili: tra di essi le colonne, l’armonia delle parti, molto spesso ritenuta incorporata negli elementi principali del passato gli ordini. ordini definiti da Sebastiano Serlio 1540. Nell’incisione, la prima del suo genere in cui i cinque ordini appaiono affiancati e caratterizzati dal diverso diametro dei fusti in rapporto all’altezza. Quasi tutti i successivi libri di architettura del XVII e del XVIII secolo iniziano con una tavola delle cinque colonne l’ordine La prima descrizione degli ordini è in Vitruvio, architetto dell’epoca di Augusto che scrisse un trattato in dieci libri: De architectura, da lui dedicato all’imperatore. L’imporatanza del trattato consiste nel fatto che compendia e trasmette ai posteri una immensa quantità di dati sull’edilizia tradizionale dell’antichità, codificando la tecnica di un architetto romano del I secolo d. C. Ne l terzo e quarto libro Vitruvio parla dei tre ordini , ionico, dorico e corinzio e accenna a un quarto, il tuscanico indicando in quali parti del mondo furono inventati e ricollegandoli alle sue descrizioni dei templi. Egli non parla del quinto ordine, il corinzio, non li mette nella giusta successione temporale, ma soprattutto non ne tratta come di una serie di formule canoniche comprendenti ogni virtù architettonica. Questo compito spettò ai trattatisti a partire dalla seconda metà del XIV secolo. Leon Battista Alberti in parte si rifece a Vitruvio ma aggiunse l’ordine composito che rilevò nell’analisi diretta dell’architettura romana.
2. Il canone. L'arte classica dei Greci presumeva che in ogni opera esistesse un canone (kànon), cioè una forma a cui l'artista è vincolato. Il termine kànon è l'equivalente, nelle arti plastiche, del termine nómos nella musica; fondamentalmente entrambi i termini hanno Io stesso significato. Come i musicisti greci avevano fissato il loro nómos o legge, cosí gli artisti dediti alle arti plastiche fissarono il loro kanon o misura; lo cercarono, si convinsero di averlo trovato e lo applicarono alle loro opere. La storia dell'arte distingue tra periodi «canonici» e «non canonici», Ciò significa che in alcuni periodi gli artisti cercano e rispettano un canone, quale garanzia di perfezione, mentre in altri lo evitano, considerandolo un pericolo per l'arte, una limitazione della propria libertà. L'arte greca del periodo classico fu «canonica». 3. Il canone nell'architettura. Tra gli artisti greci, gli architetti furono i primi a fissare delle forme canoniche. Nel v secolo le applicarono ai templi e le enunciarono in trattati; í frammenti che risalgono a questo periodo dimostrano come il canone fosse già allora comunemente applicato, sia agli edifici nel loro complesso, sia alle loro parti, quali colonne, capitelli, cornicioni, fregi e timpani. Le forme canoniche fisse conferirono all'architettura greca un aspetto oggettivo, impersonale e necessario. Le fonti di rado ci forniscono i nomi degli artisti, quasi essi fossero degli esecutori piuttosto che dei creatori, e le opere architettoniche seguissero leggi eterne indipendenti dall'individuo e dal tempo. Il canone dell'architettura greca classica aveva un carattere matematico. Il romano Vitruvio, che seguiva la tradizione degli architetti greci del periodo classico, scrive: «La composizione dipende dalla simmetria, le cui leggi gli architetti dovrebbero rigidamente osservare. La simmetria è creata dalle proporzioni... noi definiamo le proporzioni di un edificio per mezzo di calcoli relativi sia alle sue parti sia al tutto, conformemente a un modulo stabilito». (Gli archeologi non sono concordi sul fatto che il modulo del tempio dorico fosse il triglifo oppure il raggio di base di una colonna, ma entrambe le ipotesi rendono possibile la ricostruzione dell'intero edificio). Nel tempio greco ogni particolare si attiene a proporzioni stabilite. Se prendiamo come modulo il raggio di una colonna, il tempio di Teseo ad Atene ha una facciata a sei colonne di 27 moduli: le sei colonne misurano 12 moduli, le tre navate centrali comprendono 3,2 moduli, le due navate laterali 2,7 ognuna e 27 in tutto. Il rapporto tra una colonna e la navata centrale è di 2: 3,2 oppure di 5: 8. Il triglifo ha la larghezza di un modulo e la metopa è 1,6, di modo che il loro rapporto è di nuovo di 5: 8. Gli stessi numeri si possono ritrovare in molti templi dorici (figg. 1 e 2). Fig. 3. L’architettura greca era regolata da un canone generale che definiva le proporzioni dei suoi vari elementi, ma entro la struttura di questo canone vi erano almeno tre ordini: il dorico, lo ionico e il corinzio. Queste proporzioni potevano risultare più pesanti o più leggere , producendo un effetto di maggiore rigidità o di maggiore scioltezza.
Gli ordini in pratica sono le colonne appoggiate su piedistalli che sorreggono la trabeazione. A che cosa servono? Certamente l’uso più legittimo era per il tempio con portici e colonnati sui lati. Ma i romani ne fecero uso nei teatri, nei tribunali, negli anfiteatri perché per i romani gli ordini si identificavano con l’architettura: forse per conferire anche agli edifici civili il prestigio insito nell’architettura sacra? In molti edifici romani gli ordini sono addirittura superflui strutturalmente ma danno significato agli edifici stessi, conferendo loro solennità ed eleganza E’ il caso del Colosseo. Gli ordini non hanno funzioni strutturali, sono una sorta di guida, conferiscono ordine all’intera struttura
Tutti i principali edifici della Roma antica diversi dai templi furono progettati con archi e volte , mentre gli ordini appartengono al primitivo sistema della trabeazione, costituito da sostegni sormontati dall’architrave. I due sistemi non erano compatibili in quanto colonne e trabeazioni si erano strettamente identificate tanto da divenire una cosa sola ; in secondo luogo edifici di varia dimensione ad archi e a volte esigevano, per reggere i carichi e le spinte orizzontali non colonne ma più massicci sostegni. I romani allora come nel Colosseo. La grande conquista del Rinascimento italiano non fu la rigorosa imitazione degli edifici romani (che fu lasciata al secolo XIX), bensì la riconquista della grammatica dell’antichità come disciplina di carattere universale: quella grammatica era applicabile a tutti gli edifici di una qualche importanza. Di questa grammatica bisogna sottolineare ancora qualcosa, la questione della distanza dell’intercolunnio. L’intercolunnio stabilisce il tempo di un edificio. Certo il tempo si può variare ma in modo determinato e significativo. I romani come i greci vi attribuirono grande significato. Per i romani vi erano varie possibilità da un diametro e mezzo a quattro diametri