Uno sguardo sull’infinito matematico a cura della prof. Monica Secco
Che cos’è l’infinito? Quando proviamo a dare una definizione di infinito ci accorgiamo che per farlo utilizziamo la negazione del finito: l’infinito è ciò che non è finito, non ha limite né confine in-finito, un-endlich, a-peiron sono tutti termini che includono in sé l’idea della negazione
Per la sua natura, l’infinito è stato fin dall’antichità oggetto di studio di filosofi e teologi e solo in tempi relativamente recenti, precisamente nell’Ottocento e nel Novecento, ha trovato una sistemazione rigorosa in matematica.
Eppure fin dai tempi dell’antica Grecia i matematici si erano accorti che non si poteva far a meno di imbattersi nell’infinito anche quando si trattava di questioni matematiche apparentemente molto concrete e finite, quali ad esempio quelle geometriche.
Immaginiamo per un attimo di trovarci nell’antica Calabria e precisamente a Crotone alla scuola di Pitagora di Samo, celebre filosofo e matematico del VI secolo a.C.
Pitagora afferma che alla base di tutte le cose c’è il numero: ogni cosa in natura è composta da numeri naturali e il rapporto tra numeri regola l’armonia dell’Universo. L’infinito viene guardato con sospetto, come qualcosa di incompiuto, non terminato e pertanto non armonioso.
In particolare Pitagora pensa che un punto abbia un’estensione finita e che un segmento sia formato da un numero finito di punti. A B
Quindi secondo Pitagora il rapporto tra due segmenti deve essere per forza uguale al rapporto tra i due numeri interi che indicano quanti punti sono contenuti nell’uno e nell’altro segmento. Questo si esprime dicendo che tutti i segmenti sono grandezze commensurabili, ammettono cioè un sottomultiplo comune (in questo caso il punto). B Esemplificando: se AB contiene 4 punti e CD ne contiene 9 il rapporto delle loro lunghezze sarà: A C D AB 4 = CD 9
Accade però l’imprevedibile: un discepolo della scuola, tale Ippaso di Metaponto, applicando il teorema di Pitagora ad un triangolo rettangolo isoscele, trova che la diagonale e il lato del quadrato non sono grandezze commensurabili
esso vale 2 che è un numero che non è In effetti il rapporto tra la diagonale ed il lato di un quadrato non è un numero razionale: esso vale 2 che è un numero che non è esprimibile sotto forma di frazione, ma ha infinite cifre che non si ripetono periodicamente dopo la virgola. d d = 2 l l
1, 414212562….. era stata scoperta non solo l’esistenza di numeri Era il crollo di tutta la dottrina pitagorica: era stata scoperta non solo l’esistenza di numeri non razionali, ma anche quella di un segmento (la diagonale del quadrato di lato unitario) la cui lunghezza era espressa da un numero che dopo la virgola era infinitamente lungo. 1, 414212562…..
La scoperta si abbatte come una bufera sui pitagorici: Ippaso viene scacciato dalla scuola (secondo alcuni condannato a morte) e viene proibito a tutti di divulgare quella che agli occhi del maestro è considerata una eresia.
Ma Pitagora non fu l’unico esponente dell’antica Grecia a scontrarsi con il concetto di infinito. Restando sempre nella Magna Grecia dopo Pitagora un altro filosofo, Zenone di Elea, nel V secolo a.C., fece al proposito delle considerazioni interessanti, che avrebbero posto interrogativi rimasti irrisolti per molti secoli. Elea Zenone
Zenone, la lenta tartaruga e il piè veloce Achille
Zenone immaginò una gara tra il pelide Achille, notoriamente veloce, e una lentissima tartaruga. I due concorrenti devono percorrere solo un metro ed Achille allora, conscio della propria superiorità (proprio come nella storia di Esopo della lepre e della tartaruga) concede un vantaggio di mezzo metro alla tartaruga.
Mentre Achille percorre il mezzo metro che ha dato di vantaggio alla tartaruga, questa avrà nel frattempo percorso un altro tratto di strada; nel tempo necessario ad Achille per coprire questo piccolo tratto, la tartaruga sarà avanzata di un altro piccolo tratto e così via all’infinito, cosicchè Achille non potrà mai raggiungere l’animale.
Questo paradosso creava non pochi problemi Questo paradosso creava non pochi problemi. Era chiaro che Achille avrebbe potuto facilmente raggiungere la tartaruga, essendo molto più veloce di lei. D’altro canto il ragionamento di Zenone sembrava corretto: ci si trovava davanti ad una somma infinita di segmenti che l’eroe greco doveva percorrere. Come si poteva risolvere il problema?
Per sciogliere questo dilemma, bisognerà aspettare di arrivare al 1700 quando con l’introduzione in matematica del concetto di serie, cioè di somma di infiniti termini, si potrà dimostrare che la somma di infiniti termini non sempre dà un risultato infinito.
Molto più tardi di Zenone, nel 1600, fu un grande uomo di scienza italiano a imbattersi nei paradossi dell’infinito: Galileo Galilei (1564-1642)
Il più celebre paradosso sull’infinito esaminato da Galileo è quello dei “quadrati perfetti”: egli considera i numeri naturali (che sono infiniti) e l’insieme dei loro quadrati, che ne è un sottoinsieme proprio e mette in corrispondenza ogni numero naturale con il proprio quadrato: si può facilmente verificare che la corrispondenza è biunivoca 1 2 3 4 5 6 … 1 4 9 16 25 36
Quindi i quadrati, pur essendo una parte dell’insieme dei naturali, sono tanti quanti i numeri naturali. Questo contraddice il fatto che “una parte è minore del tutto”, asserzione che era stata posta da Euclide alla base dei suoi “Elementi” (libro I) Euclide
L’impossibilità di spiegare questo fatto convinse Galilei ad abbandonare il tentativo di investigare sull’infinito, come scriverà lui stesso ”..queste sono di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo al nostro intelletto finito intorno all’infinito, dandogli quegli attributi (maggiore, minore, uguale) che noi diamo alle cose finite e terminate, il che penso che sia inconveniente”
Galileo quindi asserisce l’impossibilità per l’uomo di indagare l’infinito dal punto di vista matematico. Chi affronterà nuovamente la questione in modo del tutto nuovo e rivoluzionario sarà un geniale matematico tedesco del 1800: Georg Cantor
ovvero gli infiniti “infiniti” di Georg Cantor verso l’infinito e oltre… ovvero gli infiniti “infiniti” di Georg Cantor
Nel 1872 il matematico tedesco Dedekind aveva dato la seguente definizione di insieme infinito: un insieme è infinito se può essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio
Cantor riprende questa definizione per cui per gli insiemi infiniti una parte può essere uguale al tutto “=“
Si spiegano così i paradossi sui numeri naturali che avevano crucciato anche Galilei: i numeri quadrati possono essere “tanti quanti” i numeri naturali, perché tra gli elementi dei due insiemi è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca.
sembrerebbe a prima vista “più grande” dell’insieme N dei naturali: Consideriamo ora l’insieme Z dei numeri interi: {…, -3,-2,-1,0,+1,+2,+3,…} sembrerebbe a prima vista “più grande” dell’insieme N dei naturali: {0,1,2,3,…} Cantor dimostra invece che tra gli elementi dei due insiemi si può stabilire una corrispondenza biunivoca e quindi i due Insiemi contengono lo stesso numero di elementi
Cantor dimostra inoltre che anche tra gli elementi di N e di Q, l’insieme dei razionali, si può stabilire una corrispondenza biunivoca
I risultati a cui perviene Cantor nei suoi studi sull’infinito sono sorprendenti anche per lui stesso: quando dimostra che i punti dello spazio sono “tanti quanti” quelli di un segmento scelto quanto piccolo si voglia, la scoperta lo coglie talmente di sorpresa che scrive all’amico Dedekind: “Lo vedo, ma non ci credo!”
Cantor si spinge oltre con un’affermazione sbalorditiva: afferma che non esiste un unico infinito, come si era fino ad allora pensato. Nel 1874 dimostra infatti che i punti di un segmento sono più dei numeri naturali e che di conseguenza i numeri reali sono di più dei numeri naturali. Cantor giunge a concludere che esistono diversi infiniti, anzi infiniti modi di essere “infinito”.
L’albergo del Paradiso Per illustrare il fatto che un insieme infinito può avere tanti elementi quanti un suo sottoinsieme proprio, si può considerare la situazione descritta dal matematico Hilbert nell’albergo del Paradiso.
L’albergo del Paradiso ha un numero infinito di stanze e perciò può ospitare un numero infinito di clienti. Supponiamo che l’albergo sia al completo e cioè che ogni camera abbia un ospite. Arriva un nuovo cliente che chiede una stanza.
Il direttore risolve così la situazione: Viene chiamato allora il direttore dell’albergo per risolvere la situazione e poter accogliere il nuovo cliente Il direttore risolve così la situazione: sposta l’ospite della camera 0 nella camera 1, quello della camera 1 nella camera 2, quello della camera 2 nella camera 3 e così via… 1 2 3
In questo modo si è liberata la camera 0 che può essere occupata dal nuovo ospite.
Anche se al completo l’Albergo del Paradiso può addirittura accogliere un’infinità di nuovi ospiti: basta infatti spostare tutti gli ospiti nelle stanze pari, liberando così una infinità di stanze: quelle dispari!
Le conclusioni a cui era giunto Cantor nei suoi studi sull’infinito erano sorprendenti per lui e tanto più per la comunità scientifica a lui contemporanea. Non meraviglia quindi il clima di scetticismo e di ostilità, salvo qualche eccezione, con cui vennero accolti i suoi lavori. Cantor venne isolato e criticato aspramente da eminenti matematici del tempo che gli negarono la possibilità di avanzare nella carriera universitaria.
Cantor finì i suoi giorni in una clinica psichiatrica, Cantor non riuscì mai ad ottenere una cattedra nella prestigiosa università berlinese soprattutto per l’ostilità di alcuni influenti colleghi, tra cui il matematico Kronecker che riteneva le sue teorie “prive di senso”. Leopold Kronecker Cantor finì i suoi giorni in una clinica psichiatrica, in ristrettezza economica e abbandonato alle sue crisi depressive che si manifestavano sempre più frequentemente.
Tra le poche voci che si levarono a difendere ed apprezzare il lavoro di Cantor citiamo quella dell’eminente matematico David Hilbert che giudicò la sua teoria sull’infinito “un prodotto sbalorditivo del pensiero umano” David Hilbert
e quella di Bertrand Russel che disse: “la soluzione delle difficoltà che in passato circondavano l’infinito è probabilmente la massima conquista che la nostra epoca ha da vantare” Bertrand Russel