ISTITUTO COMPRENSIVO “G. PAGOTO” ERICE

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Transcript della presentazione:

ISTITUTO COMPRENSIVO “G. PAGOTO” ERICE A SCUOLA DI DIALETTO ANNO SCOLASTICO 2001-2002

A SCUOLA DI SICILIANO PRESENTAZIONE PREMESSA I MESTIERI I CANTI

PRESENTAZIONE Studio del Siciliano attraverso i canti di lavoro nei mestieri di un tempo Progetto finanziato dall’Assessorato alla P.I. con D.A. n° 8062 del 24.12.2001 sul cap. 377302. Ideato dalle Prof.sse Ruggirello Gabriella e Messina Annamaria e realizzato con la collaborazione delle docenti Lo Presti Giusi e Ponzo Vita

FINALITA’ EDUCATIVE Promuovere attraverso lo studio dei canti di lavoro l’acquisizione della propria identità socio-culturale. Intendere il dialetto siciliano quale mezzo espressivo che connota l’identità di un popolo scevro da stereotipi e da pregiudizi linguistici.

PREMESSA I mestieri che andiamo a presentare insieme ai canti legati ad essi non vogliono essere un omaggio nostalgico ad un mondo di cui oggi intravediamo i segni del tramonto, ma vogliono rappresentare il recupero e la riappropriazione di una cultura, quella materiale per l’appunto, che connota questi mestieri come fenomeni culturali. Si tratta di educare le nuove generazioni al riconoscimento degli stessi come il passato culturale di un popolo, il Siciliano, che attraverso gli oggetti d’uso, l’ingegno, la fatica ha percorso la propria storia ed ha dato senso alla propria esistenza caricandola di contenuti umani. I criteri di scelta dei mestieri e dei relativi canti hanno avuto riscontro sicuramente nella realtà territoriale in cui la opera scuola. Abbiamo preferito chiamarli “ Canti di Terra e di Mare “ non certo per sottolinearne una dicotomia ma per unificarli quasi per affinità e parallelismi tematici.

La leggenda di Colapesce I CANTI DEL MARE La leggenda di Colapesce La ggenti lu chiamava Colapisci Picchì stava nno mari comu un pisci Dunni vinìa nun lu sapìa nissunu Fors’era figghiu di lu ddiu Nittunu. Ma un ghiornu a Cola ‘u rre fici chiamari E Cola di lu mari curri e veni: << O Cola, lu me’ regnu hâ scandagghiari su’ quarchi appiramentu si sustèni Colpisci curr’e va >> - Vaju e tornu, Maestà – Ritornello ( 2 volte )

Cussì si jetta a mmari Colapìsci E sutt’all’unna subbitu sparisci Ma doppu un pocu chista novità A lu rignanti Colapìsci dà: - Maestà, li terri vostri stanno supra a tri pilastri È lu statu assai tremendu unu già si sta rumpennu << O distinu meu infelici chi sbintura mi predìci ! >> Chianci ‘u rre: << Com’aju a ffari, sulu tu mi po(i)’ sarvari. Colapìsci curr’e va >> - Vaju e tornu Maestà! – Ritornello ( 2 volte )

Su’ passati tanti jorna Colpìsci nun ritorna e l’aspettanu â marina lu regnanti e la rìggìna poi si senti la so’ vuci di’ lu mari ‘n superfici: - Maestà, maestà, sugnu ccà, sugnu ccà nta lu funnu dì lu mari chi nun pozzu chiù turnari, vui prijati la Madonna, staju riggennu la culonna ca si nno si spezzerà – ( 2 volte ) e a Sicilia sparirà – Su’ passati ormai tant’anni Colapìsci è sempri ddà - Maestà, Maestà, sugnu ccà sugnu ccà ( all’infinito , coro )

I canti di lavoro della salina Un tempo il lavoro della salina era accompagnato da alcuni canti dal ritmo cadenzato. Il canto assolveva a una funzione ben precisa: consentiva ai salinari di tenere il conto delle cartedde di sale che andavano uscendo dalle casedde durante il periodo di raccolta. Nello stesso tempo il canto era di stimolo all’impegno e veniva intonato da chi teneva la conta sulle misure in legno (‘a tagghia ) ma anche da uno degli operai della venna purchè avesse buona voce e sufficiente fiato. Ascoltando i canti delle saline sembra che a volte sfugga il significato di alcuni termini. Spesso è necessario conoscere il gergo dei salinari per capire il senso di alcune espressioni. Ventiquattro ceste di sale completano una “salma” mentre la diecina ( dieci salme di sale ) veniva tagliata di 25. In mezzo alla conta delle ceste si inserivano alcune strofe per lo più improvvisate: alcune annunziavano il riposo per il pranzo, altre invocavano la Madonna, altre ancora il Santissimo Sacramento quando si completavano le 100 salme. Non dobbiamo dimenticare i canti di denuncia della propria condizione, ma soprattutto i toni allusivi a carattere chiaramente erotico nel descrivere la donna.

San Franciscu ri Paul’u rran Santo ch’in Paraddisu cci avi lu so’ ntento e la Matri ri Ddiu l’amava tanto fabbricari cci vosi lu convento e l’anciuliddi si misiru ‘ucanto cu vastuneddu r’oru e d’argento e ora c’ajsa ssù càlici santo cci vulemo chiamari u Sacramento ( coro: Sacramentooo! )

OH, CU L’HAI SAL’A RRERA Oh, cu l’hai sal’a Rrera e picciotti mei su’ pima vera vegna, lassala stari dui nn’a (v) i e ora tocca a ttia e tri nn’avia e salamattu, salatintu e picciotti mei nn’a (v) emu cinco Vitti affacciari u suli di notti vitti mùnciri fimmini jo’ schietti vitti fari ricotta senza latti e cu veni veni av’a isàri e a me’ cattedda e ottu nn’ave

Oh cu l’hai salalina e bberu t’a inchisti la sacchina e cu veni veni nn’haju unnici e picciotti mei a caminari e bberu sunnu, quattodici nn’ave Oh sarrè chi nn’haju quinnici vegna picciotti mei nn’a (v) emu siriçi salaletti nn’a (v) emu giuvinotto e lu bellu picciottu salamore e fino a to’ cattedra diciannove

è veru picciotti mei chi fa vintina arrivamu, jo’ sulu e bintiruno Oh, cu l’hai salalina è veru picciotti mei chi fa vintina arrivamu, jo’ sulu e bintiruno accabbàru pi’ bberu un ccinn’è chiui vegna picciotti mei su bintirui salalini nn’a (v) emu vintitrini vintiquattru jo’ a tagghiari ancora n’atri ottu e dui nn’avi

I CANTI DELLA TERRA IL CICLO DEL GRANO Un tempo la mietitura veniva effettuata nel mese di luglio. Per la mietitura si usavano: i fauci pi métiri. Il frumento mietuto si suddivideva in : Jèmmiti ( manipolo di spighe ) Regna ( un gruppo di jèmmiti ) Cavadduncio ( covone ) Timugna ( Un mucchio più grosso ) Il gruppo di contadini che provvedeva alla mietitura si chiamava “opira d’omini”. I muli durante la battitura o cacciata cui seguiva la spagghiâta venivano bendati affinché non mangiassero le spighe. Le fasi di lavoro che seguivano la mietitura venivano effettuate nta’ll’aria ( aia ). Il contadino che si poneva al centro, con una mano teneva la corda, a rrétina, con l’altra u capu ( la frusta ) per cacciare i muli. Un altro uomo ca trarenta rivota l’aria , mentre si inverte la rotazione di marcia dei muli.

FORMULA INIZIALE O Gesu, Maria, Giuseppe e Sant’Anna San Jaco, San Jachino e la Madonna e tutti i santi Hanno ajutari ammia e a viautri poveri armali FORMULA D’INCITAMENTO Santu Nicola, beddu È lu santu E bedda è la parola. San Matteu, san Vartulumeu e quannu è ura di nésciri fora ti l’haju a ddiri eu! FORMULA FINALE Senti, chi t’haiu a ddari la bbona nova! E chi nova è chista? Veni la tramuntanedda e t’arrinfrisca! Dopo la fase della spagghiata c’era la cirnuta. Avvenuta la separazione fra frumento e paglia si cerni u frummentu, per questa operazione si usava u crivu largu. Dopo che il frumentu era pulito veniva riposto nei cannizzi.

‘A VINNIGNA La raccolta dell’uva si chiama ‘a vinnigna. E’ un lavoro faticoso ma procura tanta allegria e tanto fermento. Dai tempi dei bisnonni fino al dopoguerra si svolgeva come segue. Di buon mattino grandi e piccini, i vinnignatura, si recavano nel vigneto a piedi o sul carretto se era molto distante. Con la cartedda e ‘u cuteddu iniziavano a raccogliere l’uva cantando e raccontando barzellette. Quando la cartedda era piena allora si svuotava dentro i tineddi che erano adagiati sul dorso della mula. Sono questi recipienti di forma cilindrica fatti di legno. Quando i tineddi erano pieni si portavano ’nto parmento e svuotati in una grossa tina. Dentro il palmento c’era il pigiatore, ‘u pistaturi che con grossi scarponi o scalzo pigiava l’uva per farne uscire ‘u mustu. Un operaio metteva il mosto che usciva dal palmento dentro un recipiente di legno chiamato vintinu e lo andava a svuotare dentro a (v) utti. Così il lavoro procedeva finchè nel vigneto c’era l’ultimo grappolo d’uva da raccogliere e poi da pigiare. I raspi venivano portati allo stringituri, messi dentro le coffe strette con forza per fare uscire l’ultima goccia di mosto.

Intanto all’imbrunire i vinnignatura si riunivano per fare una spaghettata e carne alla brace, il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino. La serata si concludeva con un ballo nell’aia che divertiva grandi e piccini. Il mosto dentro la botte fermentava emanando un odore acre che rallegrava l’animo. Passato il periodo della fermentazione si arrivava a San Martino, tempo per brindare con il nuovo vino. Adesso la vendemmia si svolge con diversi macchinari moderni ed ha perso o quasi quell’atmosfera gioiosa quando tutto si faceva con le braccia e con tanto sudore ma anche con tanto amore. U mastru uttaru – Il bottaio Ormai è scomparsa la figura di questo artigiano che un tempo invece era emblematica perché per un buon invecchiamento era necessario che il vino fosse riposto in botti di rovere o castagno. Pertanto il bottaio doveva avere molta dimestichezza con la materia prima cioè il legno. La sua maestria doveva altresì espletarsi nell’utilizzo di tale legno che ripulito e ridotto ad assicelle serviva per la realizzazione delle botti. Le assicelle precedentemente bagnate venivano sapientemente piegate, battute ripetutamente e trattate con il fuoco. Poi legate insieme con dei cerchi di ferro erano tenute strette perché il liquido non si infiltrasse

CANTU DI VINNIGNATURA San Franciscuzzu santu capuccinu sta vota la spingistivu la manu. Si vui nni rati mostu, San Martinu cunzola lu massaru e lu viddanu Rit. ( 2 volte ) Lu rrappu è tunnu lu còcciu è latinu faciti bbon vinu. Avanti, ca si vveni la patruna parizzi vo’ truvari li cufina forza di ddocu ‘nzèmmula e ‘n tuttuna Cugghiemu senza abbentu la racina Rit

A la vigna Amuri amuri Cci veni a la vigna? Ca ricca di raçina è la campagna Lu vigneti accumenza la vinnigna Ca è ntra lu cori ‘n’alligrizza magna O picciutteddi, vinìticci alla vigna Ca duci la vinnigna L’amuri vi la fa La, fà, la,fa,la,fa

Cari picciotti schietti, rusìddi spampanati Tagghiati , vignignati la me’ raçina è ccà! E’ ccà, è ccà, dintra lu pettu sta! Rrappuzza mia di’nzolia, ssi dduci dduci duci Amuri ora ti pigghiu e comu bbabbaluci Ti sucu,sucu,sucu la la la la Picciutteddu nicareddu racinedda zzuccaredda Cu ti cogghi, cu ti spremi Cu ti mangia murirà E l’amuri è chistu ccà Nun si sapi soccu fa

SI RINGRAZIANO GLI ALUNNI DELLE CLASSI V A- B ELEMENTARE E GLI ALUNNI DELLE CLASSI I e II A - C - D DELLA SCUOLA MEDIA ED INOLTRE LA SIG.RA FRANCESCA ADRAGNA E L’ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA DELLE TRADIZIONI POPOLARI DEL TRAPANESE ED IL DIRETTORE DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI PACECO PROF. BARBATA ALBERTO