La tutela del “made in”: le nuove sanzioni amministrative Dottoressa Gloria Bartoletti Prefettura UTG di Firenze
La tutela della denominazione d’ origine si configura come uno strumento particolarmente efficace per proteggere le imprese che svolgono la maggior parte della produzione in Italia dalla concorrenza sleale e mantenere e consolidare le quote di mercato, per contenere la tendenza ad una delocalizzazione “selvaggia” che può creare danni sociali oltre che economici con la perdita di posti di lavoro e di esperienza artigianale, e per combattere la contraffazione , ovvero uno dei filoni d’ attività più redditizi per le organizzazioni criminali.
La produzione di prodotti contraffatti comporta infatti meno rischi di altre attività come il traffico di droga, armi o esseri umani e meno costi in termini di trasporti ed entità della perdite qualora i beni contraffatti vengano confiscati e distrutti, per il minor valore intrinseco degli stessi .
Prefettura di Firenze REGIONE TOSCANA - ANNO 2009 Contraffazione di marchi e prodotti industriali NUMERO DEI CONTROLLI EFFETTUATI ANNO 2008: 2.267 ANNO 2009: 3.292 VARIAZIONE: + 45.2% NUMERO DEI PEZZI SEQUESTRATI ANNO 2008: 7.256.235 ANNO 2009: 12.122.118 VARIAZIONE: + 67.1% NUMERO PERSONE ARRESTATE/DENUNCIATE ANNO 2008: 998 ANNO 2009: 909 VARIAZIONE: - 8.9% NUMERO DEI DELITTI COMMESSI ANNO 2008: 136 ANNO 2009: 78 VARIAZIONE: - 42.6%
Numero dei pezzi sequestrati: Prefettura di Firenze REGIONE TOSCANA - ANNO 2009 Contraffazione di marchi e prodotti industriali Numero dei pezzi sequestrati: ANNO 2009 12.122.118 5
Numero pezzi sequestrati: TREND ANNUO Prefettura di Firenze REGIONE TOSCANA - ANNO 2009 Contraffazione di marchi e prodotti industriali Numero pezzi sequestrati: TREND ANNUO Anno 2009 12.122.118 Anno 2008 7.256.235 + 67% Anno 2007 2.238.520 + 224,15% Anno 2006 1.663.375 + 34,58% Anno 2005 594.694 + 179.70% 6
Numero dei delitti commessi: Prefettura di Firenze Contraffazione di marchi e prodotti industriali Numero dei delitti commessi: TREND TRIMESTRALE 7
Contraffazione ed indicazioni fallaci d’ origine non sono la stessa cosa: per contraffazione si intende l’ uso fraudolento di un marchio industriale registrato, mentre la scorretta denominazione d’ origine ha a che vedere con l’ etichettatura , la stampigliatura sul prodotto e la documentazione che accompagna la merce all’ ingresso nel nostro paese. Piu’ precisamente, il MARCHIO indica la provenienza in senso lato della merce da un determinato processo produttivo e stabilisce un collegamento fra quel prodotto e la responsabilità economica di quel produttore; l’INDICAZIONE GEOGRAFICA DI PROVENIENZA designa il Paese o il luogo di fabbricazione o di produzione di ciascuna partita di merce, non importa se per conto di un produttore italiano o del tutto autonomamente da terzi
L’ origine delle merci secondo il diritto comunitario Il Regolamento CE n. 2913/92 detta negli artt. da 22 a 26 le «regole» in virtù delle quali si determina l'origine doganale delle merci. In particolare l’ art. 24 del Regolamento si riferisce ai prodotti industriali alla cui fabbricazione hanno contribuito due o più Paesi, ovvero che siano il risultato di una pluralità d'interventi operati da imprese situate in Paesi diversi. L'art. 24 stabilisce che in tale ipotesi la merce è « originaria del Paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione».
Di conseguenza, la possibilità o meno di apporre la dicitura made in Italy su prodotti o confezioni dipende essenzialmente dalla corretta individuazione dell'origine in senso doganale della merce interessata alla stampigliatura.
Accordo di Madrid 14 aprile 1891 sulla repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza D.P.R. 26 febbraio 1968, n. 656 Artt. 473, 474 , 517 Codice penale Art. 4, commi 49, 49 bis e 49 ter della Legge 350/2003 (Finanziaria 2004) Legge 80/2005 (Decreto competitività), art. 1 commi 6 e 7 Legge 23 luglio 2009 n. 99 Disposizioni per lo sviluppo e l’ internazionalizzazione delle imprese, artt. 15-19 Art. 16 della Legge 166/2009 ( di conversione del D.L. 135/2009), cosiddetto Decreto Ronchi
L’ art. 4 comma 49 della Legge 350/2003 L'importazione o l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'art. 517 del c.p. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura made in Italy su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine. Costituisce fallace indicazione anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera delle merci l'uso di segni o figure o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura e a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura made in Italy».
Le innovazioni apportate nel 2009 alla normativa anticontraffazione L’ art. 17 comma 4° della Legge 99/2009 aveva introdotto una modifica dell’ art. 4 comma 49, della Legge 350/2003, che includeva nel reato di “fallace indicazione” anche l’ uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’ Italia senza l’ indicazione precisa in caratteri evidenti del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione , o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera
(Segue) l’ art. 17 comma 4° della Legge 99/2009 La medesima disposizione prevedeva altresì che “le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti e le merci siano già stati immessi in libera pratica”. La norma è entrata in vigore il 15 agosto del 2009, ma a distanza di circa un mese è stata sostituita con la diversa formulazione di cui al l’ art. 16 del D.L. 135 del 25 settembre 2009.
L’ art. 16 del D.L. 135/2009 (convertito con L. 166/2009) I commi 1-4 introducono una regolamentazione dell’ uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia , quali 100% made in Italy , 100% italiano, tutto italiano, o simili, prevedendo una sanzione penale per l’ uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione. I commi 5-8 sanzionano la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’ origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani. Tali disposizioni individuano con precisione la condotta sanzionata e qualificano la violazione come illecito amministrativo, introducendo il comma 49 bis dell’ art. 4 della legge 350/2003.
Art. 16 della Legge 166/2009 ( comma 1°) Si intende interamente realizzato in Italia il prodotto o la merce per il quale il disegno la progettazione la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano. (comma 4°) Chiunque fa uso di un’ indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia , quale “100% made in Italy “ , “100% Italia” , “Tutto Italiano” , in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto , ovvero segni e figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2 , è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente , con le pene previste dall’ art. 517 del Codice penale , aumentate di un terzo .
Lo stesso art. 16 al suo comma 6° introduce il comma 49 bis nell’ art Lo stesso art. 16 al suo comma 6° introduce il comma 49 bis nell’ art. 4 della Legge 350/2003 che prevede: Costituisce fallace indicazione l’ uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’ origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’ origine di provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’ effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio circa le informazione che a sua cura verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
Confisca amministrativa del prodotto o della merce/ confisca dei locali deposito (49 ter , così come introdotto dall’ art. 17 comma 6, della Legge 99/2009) E’ sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49 bis , salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte , a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’ illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore. Ai sensi dell’ art. 17 comma 3° della Legge 99/2009, sopravvissuto all’ abrogazione operata dall’ art. 16 comma 8° della Legge 166/2009, si prevede inoltre che , salvo che il fatto costituisca reato, si procede a confisca amministrativa dei locali ove vengono prodotti depositati detenuti per la vendita o venduti i materiali contraffatti, salvaguardando il diritto del proprietario in buona fede.
La circolare n. 12489 del 9 novembre 2009 del Ministero dello Sviluppo Economico Esemplifica le condotte necessarie ad evitare la realizzazione dell’ illecito (amministrativo) previsto dal nuovo articolo 4, comma 49 bis della Legge 350/2003. Il titolare e/o il licenziatario del marchio, per evitare sanzioni, possono procedere secondo 2 strade alternative:
(segue Circolare Min. Sviluppo Economico) 1) Indicare sui prodotti l’ esatta origine o la provenienza estera degli stessi: l’ “appendice informativa” oltre a dover essere applicata direttamente sul prodotto o sulla confezione, può essere costituita da un cartellino o da una targhetta applicata allo stesso dove si precisi “prodotto fabbricato extra UE” o “prodotto importato da paesi extra UE” o infine “prodotto non fabbricato il Italia”
(Segue Circolare del Min. Sviluppo Economico) 2) dichiarare in dogana, all’ atto dell’ importazione, le informazioni che gli stessi soggetti si impegnano a rendere in fase di commercializzazione sull’ effettiva origine estera dei prodotti o delle merci. Tale attestazione va allegata alla dichiarazione doganale e ne diviene parte integrante.
( segue) La circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 9 novembre 2009 Rimane comunque impregiudicata la facoltà per il titolare del marchio o il licenziatario di provvedere ad indicazioni piu’ puntuali circa l’ origine o la provenienza del prodotto, sia esplicitando anche il Paese di produzione o fabbricazione sia provvedendo alle indicazioni suddette direttamente sul prodotto o sulla confezione. La nuova norma non può trovare applicazione ai prodotti che sono già nei negozi ed a quelli che sono già stati realizzati e contrassegnati dal marchio prima della sua applicabilità ( 10 novembre 2009). Il titolare o il licenziatario può autocertificare tale circostanza.
Agenzia delle Dogane, nota 15597 del 30 novembre 2009 Ricollegandosi alle disposizioni impartite dallo Sviluppo Economico , l’ Agenzia ha precisato che , al fine di evitare di incorrere nell’ illecito previsto dal nuovo comma 49 bis dell’ art. 4 della Legge 350/2003, all’ atto della presentazione in Dogana dei prodotti che riportano un marchio “ambiguo” , questi ultimi siano muniti della necessaria “appendice informativa” o , in mancanza, dell’ “attestazione” prevista dall’ art. 4, comma 49 bis.
Le finalità delle modifiche introdotte nel 2009 Le condotte decettive punite, sia penalmente che amministrativamente, sono esempi di concorrenza sleale fra imprenditori, ma non è la concorrenza sleale che si vuole debellare con l’ apparato sanzionatorio cui si è fatto cenno. I beni tutelati attengono soprattutto al riconoscimento della qualità del prodotto interamente italiano, ed alla sicurezza del consumatore finale , cui si intende garantire una corretta informazione al momento dell’ acquisto.
La legge 99/2009 ha altresì apportato modifiche significative alla Legge 80/2005 , ridisegnando, fra gli altri, il suo art. 1, comma settimo, che ora legge: 7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro fino a 7.000 euro l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70.
Salvo che il fatto costituisca reato, qualora l'acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria è stabilita da un minimo di 20.000 euro fino ad un milione di euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa .
Come abbiamo già visto, è altresì prevista – in base all’ art Come abbiamo già visto, è altresì prevista – in base all’ art. 17 comma 3° della Legge 99/2009, in relazione al sopra citato art. 1 comma settimo della Legge 80/2005, la confisca amministrativa dei locali ove vengono prodotti , depositati, detenuti per la vendita o venduti i materiali contraffatti, salvaguardando il diritto del proprietario in buona fede.
La violazione dell’ art La violazione dell’ art. 4 comma 49 bis della Legge 350/2003: problemi applicativi I problemi pratico operativi che si sono delineati al momento di avviare una procedura sanzionatoria in base alla normativa sopra richiamata, attengono in primo luogo alla forma ed al contenuto della contestazione, tenuto conto della complessità degli accertamenti necessari per arrivare alla definizione dell’ illecito amministrativo ed alla possibilità offerta al trasgressore di sanare ( nel caso dell’ indicazione fallace presente sulla merce in ingresso in Italia) l’ irregolarità scegliendo fra due strade alternative. Quando esaminiamo la casistica che si può presentare negli Uffici Doganali nonché alle Prefetture qualora l’ importatore della merce scelga l’ una o l’ altra via o, infine, abbandoni la merce in dogana, ci rendiamo conto di alcuni aspetti potenzialmente problematici.
Fase di accertamento dell’ illecito In occasione dell’ accertamento e riguardo alle modalità dello stesso, sarebbe forse opportuno prevedere che il verbale di contestazione e successivamente il rapporto siano completati da documentazione fotografica che riproduca lo stato in cui si trovava la merce al momento del fermo in Dogana. Così pure, al momento di verificare l’ avvenuta regolarizzazione della merce in una delle modalità contemplate dalla circolare del Ministero dello Sviluppo Economico , la documentazione fotografica potrebbe completare il rapporto indirizzato alla Prefettura dagli Uffici Doganali a completamento dell’ istanza di dissequestro.
Merce regolarizzata al fine del dissequestro Che forma deve avere l’ istanza di dissequestro ? Si suppone che vada presentata all’ Ufficio Doganale che ha rilevato l’ illecito e che questi debba farla pervenire all’ autorità competente a ricevere il rapporto nel più breve tempo possibile – certamente non oltre 30 gg.- con le prove dell’ avvenuta regolarizzazione. La Prefettura deve allora decidere entro dieci giorni ( art. 19 comma 1 della legge 689/81) , ma , nel caso l’ istanza venga rigettata, si applica la disposizione di cui al comma 3 dell’ art. 19 della legge 689/81, o no?
Nel caso in cui l’ istanza non venga accolta, quali mezzi di impugnazione sono riservati al titolare o al licenziatario? Sarebbe ammissibile concedergli un ulteriore periodo di tempo per munire la merce di indicazioni precise sulla sua provenienza o dotarsi dell’ attestazione? Può configurarsi un termine perentorio per l’ emanazione dell’ ordinanza ingiunzione di pagamento? Nel caso titolare o licenziatario non attuino alcuna delle condotte sopra descritte ed abbandonino la merce in dogana , quindi si passi dal sequestro alla confisca della medesima, come custodire ed eventualmente procedere alla distruzione della merce decorsi i termini per l’ impugnazione della stessa?
La rete delle Prefetture toscane Per dare una risposta a questi interrogativi le Prefetture toscane hanno istituito dei tavoli tecnici con l’ Agenzia delle Dogane che confluiranno a breve in un’ unico Tavolo regionale , che raccolga la casistica presentatasi finora, segua l’ evoluzione della giurisprudenza , capitalizzi le buone pratiche già adottate , per giungere alla stesura di modelli di verbali uniformi, ed assicurare un’ istruttoria tipizzata alle diverse fattispecie di illecito. Ciò evidentemente allo scopo di non creare distorsioni della concorrenza trattando casi uguali in modo diverso ed assicurare al contempo maggiore celerità e trasparenza a tutto il procedimento.
La sentenza n. 15374 del 22 aprile 2010 La Cassazione ha accolto il reclamo avanzato da un’ azienda produttrice di coltelli , con sede in Italia ma produzione in Cina, a cui il Tribunale del riesame aveva disposto il sequestro della merce sull’ assunto che il marchio e la dicitura apposta “dalla secolare esperienza nella produzione dell’ acciaio” fossero idonei ad indurre in errore il consumatore sul paese di provenienza del prodotto. La Corte ha ritenuto che l’ obbligo dell’ indicazione dell’ origine non sia assoluto , ma esista solo quando le modalità di utilizzo del marchio siano tali da poter indurre il consumatore in errore: in ogni caso l’ inosservanza di tale obbligo rappresenta un illecito di natura amministrativa
(segue) la sentenza della cassazione del 22.04.2010 Più precisamente,con la citata sentenza è stato accolto il reclamo proposto da un’azienda produttrice di coltelli, forbici e attrezzi da giardino, con sede in Italia, ma con prodotti fabbricati in Cina. Sulla merce era apposto il marchio del produttore “Ausonia” e la dicitura “dalla secolare esperienza nella produzione dell’acciaio”. Tanto era bastato al Pubblico Ministero per disporre il sequestro (confermato dal Tribunale del riesame) ritenendo che marchio più dicitura fossero idonei a fare cadere in errore il consumatore sul paese di provenienza.
(segue) la sentenza della Corte del 22.04.2010 Secondo la Corte, non è indispensabile l’indicazione del paese di fabbricazione, essendo sufficienti altre indicazioni che evitino fraintendimenti del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero un’attestazione da rendere alle dogane sulle informazioni che verranno in seguito rese in fase di commercializzazione sull’effettiva origine estera del prodotto. Infine, prosegue la Corte, anche qualora la mera apposizione del marchio “Ausonia” e la scritta pubblicitaria avessero potuto indurre il consumatore a ritenere che gli oggetti erano stati fabbricati in Italia, la fattispecie in esame rientrerebbe comunque nella previsione dell’art. 4, comma 49 bis, della Legge 24 dicembre 2003, n. 350, ossia costituirebbe solo un illecito amministrativo.