NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO ASPETTI PENALISTICI

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NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO ASPETTI PENALISTICI

SOMMARIO Breve premessa su soggetti e operazioni sottoposti al d.lgs 231/2007; Definizioni di riciclaggio art. 2 d.lgs 231/2007 e dir. 2005/60/CE; artt. 648 c.p., 648 bis c.p., 648 ter c.p. ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita, sintetica descrizione delle fattispecie normative; La segnalazione dei reati tributari cui al D.lgs. 74/2000;

SOMMARIO Segnalazione e segreto professionale art. 200 c.p.p. e 622 c.p., art. 41 c. 6^ d.lgs.; Esclusione dell’obbligo di segnalazione ex art. 12 c. 2^ D.lgs. 231/2007; Riservatezza delle informazioni, privacy e antiriciclaggio, art. 45 D.lgs. 231/2007; Sanzioni amministrative e penali; Iter per l’applicazione delle sanzioni e ricorsi.

Soggetti e operazioni sottoposti al d.lgs 231/2007 Ai sensi dell’art. 12 sono soggetti alla normativa antiriciclaggio: Iscritti all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili; Iscritti nel registro dei revisori contabili; Iscritti all’albo dei consulenti del lavoro: Notai ed avvocati, nella realizzazione di operazioni riguardanti: il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche; la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni; l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli; l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all'amministrazione di società; la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Soggetti e operazioni sottoposti al d.lgs 231/2007 Gli avvocati in particolare sono tenuti ad identificare il cliente qualora la prestazione professionale fornita abbia oggetto mezzi di pagamento, beni o utilità il cui valore anche se si tratta di operazioni frazionate, sia superiore a 15.000 euro, ovvero sia indeterminato o indeterminabile, oppure salvo il caso di sospetto di attività di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo. Le attività di valore indeterminato o indeterminabile che non comportano obbligo di adeguata verifica sono: Docenze a corsi o convegni; Redazione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi; Tenuta della contabilità; Funzioni di revisore, sindaco, componente di organo di controllo in società sottoposta a antiriciclaggio; Attività svolte dal professionista su incarico dell’autorità giudiziaria (incarico di curatore, commissario giudiziale e commissario liquidatore nelle procedure concorsuali, giudiziarie e amministrative e nelle procedure di amministrazione straordinaria nonché incarico di ausiliario del giudice, di amministratore e di liquidatore nelle procedure concorsuali, Incarico di custode giudiziale, stime giurate su incarico giudiziale) Vendita di beni mobili registrati o di beni immobili entro i 15.000 euro; Recupero crediti entro i 12.500 euro; Mediazione l. 69/2009; Pareri giuridici; Perizie e consulenze tecniche (salvo attività determinata o determinabile finalizzata a obiettivo di natura finanziaria o patrimoniale); Adempimenti in materia del personale (consulenti del lavoro)

Azioni costituenti riciclaggio Costituiscono riciclaggio ai sensi dell’art. 2 del d.lgs 231/2007 le seguenti azioni : La conversione o il trasferimento di beni essendo a conoscenza della provenienza illecita; L’occultamento o la dissimulazione della reale natura dei beni di origine criminosa; L’acquisto, la detenzione, l’utilizzazione dei predetti beni; La mera partecipazione, l’associazione, il tentativo, l’istigazione, l’agevolazione alla commissione di uno di questi atti. La previsione cui all’art. 2 del d.lgs 231/2007 in recepimento della direttiva 2005/60/CE non sostituisce le fattispecie penali previste dal Codice ma fornisce una definizione uniforme di riciclaggio a livello dell’Unione Europea. Il Codice Rocco disciplina le attività volte a nascondere l’esistenza, la fonte, l’utilizzo di redditi illegali attraverso tre fattispecie: art. 648 c.p. Ricettazione; art. 648 bis c.p. Riciclaggio; art. 648 ter c.p. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

Art. 2 d.lgs. 231/2007 e artt. 648 c.p., 648 bis c.p., 648 ter c.p. Rilevano inoltre condotte criminose di: _ concorso materiale o morale di persone nel reato, 110 c.p.; - associazione per delinquere qualora, ex art. 416 c.p., tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti. Da segnalare poi la possibile configurabilità di responsabilità per: _ il delitto di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. che punisce chi in seguito alla commissione di un delitto da parte di terzi, dia supporto ai responsabili affinché eludano le investigazioni ovvero si sottraggano alle ricerche dell'Autorità; la ipotizzabilità del delitto di favoreggiamento reale ai sensi dell’art. 379 c.p. che persegue colui che, pur essendo estraneo al reato commesso da altri, presti il proprio aiuto perché venga assicurato il profitto o, in generale, i benefici per cui il reato è stato posto in essere. Sebbene gli esercenti le libere professioni, quali il commercialista, l’avvocato e il notaio, fatichino a immedesimarsi in questo duplice ruolo di fiduciari del cliente e di collaboratori dell’apparato giudiziario, sotto il profilo dell’autotutela, l’adempimento agli obblighi dell’antiriciclaggio consente di evitare possibili coimputazioni nei reati commessi dagli assistiti a titolo concorsuale o per favoreggiamento.

Le due fattispecie di riciclaggio a confronto Le fattispecie codicistiche si indirizzano a chiunque sia l’autore del reato, mentre la previsione cui all’art. 2 del d.lgs. 231/2007 definisce l’attività di riciclaggio ad uso degli specifici soggetti investiti dall’ordinamento di obblighi di collaborazione attiva nel contrasto del fenomeno del riciclaggio. Il riciclaggio ex art. 648 bis c.p. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Le due fattispecie di riciclaggio a confronto A differenza delle ipotesi cui all’art. 2 del citato d.lgs. 231/2007 l’art. 648 bis c.p. individua quale reato presupposto “un delitto non colposo” mentre nella normativa speciale si parla più genericamente di “azioni”. Potranno quindi integrare proventi meritevoli di segnalazione ex art. 2 anche quelli derivanti da ipotesi contravvenzionali, quali ad es. il gioco d’azzardo o l’esercizio abusivo di giochi non d’azzardo ex art. 718 c.p. Il più ampio margine di discrezionalità lasciato a coloro sui quali incombono gli obblighi di segnalazione ex art. 41 del d.lgs 231/2007 è accompagnato dalla previsione di legittimità di segnalazioni fondate su sospetti circa la liceità dell’operazione effettuate in “buona fede”, che non colliderebbero quindi con i presidi deontologici volti a garantire il cliente nell’esecuzione del mandato conferito al professionista. Si segnala che il dubbio circa l’origine illecita dei beni può fare sorgere la responsabilità come afferma la giurisprudenza penale. L’incauto acquisto è perseguibile per colpa.

Le due fattispecie di riciclaggio a confronto Altra importante differenza si rileva nella mancata riproposizione nell’art. 2 del d.lgs 231/2007 della clausola di riserva presente nell’incipit dell’art. 648 bis che esclude dalla applicabilità del delitto in discorso i casi di autoriciclaggio, poiché l’autore o il concorrente del reato presupposto commettono un post-factum non punibile per il Codice Penale vigente. Nella definizione cui all’art. 2 è inclusa anche l’ipotesi in cui l’attività di riciclaggio sia posta in essere dal colpevole del reato presupposto, data l’innegabile sussistenza della “conoscenza” della provenienza illecita dei beni. La perseguibilità di condotte partecipative, a mente dell’art. 2 del citato decreto, è infine sovrapponibile a quanto stabilito ai sensi dell’art. 110 c.p. in tema di responsabilità concorsuale, estendendosi però la possibilità di applicazione anche al semplice “consiglio”. Costituiscono presupposto del riciclaggio per il d.lgs 231/2007 anche attività illegali che hanno generato beni da riciclare svoltesi all’estero, sia in uno stato UE che in un Paese terzo.

La dissimulazione La più ampia efficacia della previsione cui all’art. 2 deriva anche dall’ampiezza della portata del termine “dissimulazione” in riferimento alla provenienza illecita dei beni che può connotare una molteplicità di condotte equivalenti sotto il profilo del risultato. In particolare sotto il profilo della dissimulazione rilevano le condotte di “trasferimento” di beni ad altro soggetto ad esempio di immobili o titoli, ovvero mutamenti di intestazione, anche fittizi. Si segnala a tale ultimo riguarda la previsione cui all’art. 12 quinquies del d.l. n. 306/1992 che persegue il trasferimento fraudolento di valori, consistente nel fittizio conferimento a terzi della signoria sui proventi di reato. La responsabilità del professionista che presti la propria attività professionale alla realizzazione di una dissimulazione mediante interposizione fittizia sarebbe integrata sia per quanto disposto dall’art. 2 del d.lgs 231/2007 sia come concorrente ex art. 110 c.p., rispetto al delitto cui all’art. 12 quinquies del d.l. n. 306/1992. E’ prevista per quest’ultima ipotesi delittuosa la sanzione della reclusione da 2 a 6 anni.

L’art. 648 c.p. La ricettazione ex art. 648 c.p. Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329.  La differenza tra riciclaggio e ricettazione consiste nel fatto che il riciclaggio richiede un quid pluris rispetto la ricettazione che persegue penalmente il solo possesso del bene di illecita provenienza. Ad esempio commetterà ricettazione colui che metta in contatto acquirente e venditore di un bene proveniente da delitto, mentre risponderà di concorso in riciclaggio colui che intervenga materialmente nel trasferimento del bene. Il riciclaggio richiede un’attività di alterazione o manipolazione del bene che, a mente del citato art. 2 del d.lgs 231/2007 conduce ad una “dissimulazione” delle origini criminose dello stesso attraverso la sua “sostituzione”, “trasferimento” o “altre operazioni”. L’ipotesi di ricettazione è ricompresa nell’alveo dell’art. 2 sotto il profilo dell’acquisto, detenzione, utilizzazione dei beni di origine illecita, però la norma penale richiede il dolo specifico e il fine di profitto.

L’art. 648 ter c.p. Al di fuori delle ipotesi cui agli artt. 648 e 648 bis c.p. il nostro legislatore persegue penalmente con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a 15.493, ai sensi dell’art. 648 ter c.p. chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. E’ sanzionato quindi il reimpiego dei proventi di reato in attività economiche o finanziarie, rilevando anche il caso in cui tali beni o denari siano già stati “riciclati”. Anche detta ipotesi rientra nell’alveo della disciplina cui all’art. 2 del d.lgs 231/2007. E’ opportuno evidenziare il caso in cui il reimpiego in diverse operazioni finanziarie concerna denari provenienti da evasione fiscale. Ci si chiede quindi se sussista un obbligo di segnalazione in capo al professionista qualora questi abbia il sentore che l’investimento in determinate operazioni economiche vede come antefatto un delitto previsto dal d.lgs 74/2000. Si premette però che l’obbligo di segnalazione ai sensi dell’art. 41 del d.lgs 231/2007, da parte del professionista, concerne soltanto i casi in cui il predetto abbia il sospetto che l’operazione celi la natura di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo sulla base di circostanze conosciute in ragione delle funzioni esercitate ed in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un carico .

I reati tributari ll D.lgs. n. 74/2000 contempla diverse fattispecie delittuose, di cui le prime quattro in materia di dichiarazione: art. 2: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3: dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, con soglia per imposta evasa superiore con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila e con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila e ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti ad imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore ad euro un milione art. 4: dichiarazione infedele, con soglia per imposta evasa superiore con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila e ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti ad imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore ad euro due milioni art. 5: omessa dichiarazione, con soglia per imposta evasa superiore con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;

I reati tributari art. 8: emissione o rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; art. 10: occultamento o distruzione di documenti contabili; artt. 10 bis e 10 ter: omesso versamento o indebita compensazione, di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata dai sostituti di imposta, oppure di IVA, con soglia di cinquantamila euro per periodo di imposta; art. 11: sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, con soglia per imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Prima di procedere alla segnalazione sarà necessario accertarsi della rilevanza penale del fatto presupposto. Ai sensi del D.lgs. n. 74/2000 sono punibili penalmente solo le violazioni concernenti l’ IVA e le imposte sui redditi, restando escluse le violazioni in materia di IRAP, e di imposte indirette. E’ necessario poi che per le fattispecie che prevedono una soglia di rilevanza questa sia integrata. Deve sussistere il dolo di evasione.

I reati tributari Relativamente alle ipotesi delittuose con previsione di soglie (artt. 3, 4, 5 dichiarazione fraudolenta con artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, art. 11 sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) in generale sarà opportuno evitare le segnalazioni quando l’investimento derivi da sospette elusioni fiscali in cui l’imponibile riferibile alla singola operazione sospettata non sia significativo rispetto alla massa rappresentata dall’attività ordinaria del soggetto. Si rammenta poi che per i reati di infedele dichiarazione, omessa dichiarazione e frode fiscale (artt. 2, 3, 4, 5) si perfezionano con la presentazione della dichiarazione dei redditi. E’ pertanto da evitarsi, anche in questi casi, la segnalazione di sospette operazioni di riciclaggio in riferimento ad illeciti che non si sono ancora consumati. In merito all’ipotesi cui all’art. 11, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, la cessione di beni al fine di sottrarli al Fisco pur integrando un reato tributario non costituisce un’ipotesi di riciclaggio di beni provenienti da illecito fiscale. Questo salvo il frangente in cui sussistano elementi che testimonino come i beni ceduti tramite atti fraudolenti o simulati costituiscano a loro volta la locupletazione derivante da altri e antecedenti reati fiscali. Solo in detta remota ipotesi potrebbe configurarsi un’attività di riciclaggio con obbligo di segnalazione.

I reati tributari Ad ogni buon conto si rammenta ancora che ai sensi dell’art. 41 del d.lgs 231/2007 “il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico”. La valutazione del professionista deve pertanto avvenire sulla base dei soli documenti che egli è tenuto a domandare per il corretto svolgimento delle proprie funzioni, senza dunque che possa configurarsi a suo carico un obbligo di investigazioni volte ad escludere l’esistenza di reati fiscali, attività di controllo queste spettanti alle autorità fiscali. Rileveranno poi ai fini della costruzione del sospetto soltanto circostanze di fatto obiettive e fornite di riscontro, non mere supposizioni. Infine si ricorda che l’opinabilità di della valutazione circa la natura elusiva di un dato comportamento è tale che la stessa Amministrazione finanziaria, prima di formalizzare la relativa contestazione è obbligata a chiedere chiarimenti per iscritto al contribuente, e non può riscuotere in via provvisoria imposte se non dopo la decisione di primo grado.

I reati tributari Tra le fattispecie tipologiche più ricorrenti emerse dall’analisi delle segnalazioni esaminate nella relazione del 2012 del Direttore dell’Unità di Informazione Finanziaria sul tema Operazioni sospette di riciclaggio e reati fiscali si richiamano, a titolo esemplificativo quelle connesse con fenomeni di elusione ed evasione riguardanti: conti intestati a imprese edili o di servizi, che ricevono bonifici o assegni e uso di contanti per pagare i dipendenti o per dirottare i fondi verso l’estero; commistioni tra conti dell’impresa e conti personali; quelle connesse con operazioni di scudo fiscale relative a utilizzi sospetti di somme scudate in passato; operazioni non coerenti col profilo soggettivo del segnalato, ritenuto un possibile prestanome. La casistica evidenzia poi pagamenti di fatture per operazioni inesistenti a società di comodo a fronte di prestazioni non effettuate e compensi per consulenze o pareri fittizi. Si è riscontrata infine una particolare correlazione tra casi di elusione/evasione fiscale e utilizzo di fondi neri per la corruzione. Le occasioni corruttive più frequenti e rilevanti sono legate alle gare di appalto, ai controlli fiscali, alle pratiche urbanistiche, alle commesse estere di beni e servizi forniti da società del settore pubblico.

Segnalazione e segreto professionale L’art. 622 del Codice Penale prevede quanto segue: “Rivelazione di segreto professionale  Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa”. L’art. 200 del Codice di Procedura penale, prescrive che: “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria: gli avvocati, i consulenti tecnici e i notai; gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale”.

Segnalazione e segreto professionale A mente dell’art. 10 del D.M. Economia e Finanze del 3 febbraio 2006, n. 141 «gli obblighi di segnalazione di operazioni sospette non si applicano per le informazioni ricevute dal cliente o ottenute riguardo allo stesso nel corso: dell'esame della posizione giuridica del cliente dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso». La ratio di tale esenzione è giustificata dal rispetto del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della nostra Carta Costituzionale per il cliente e, di riflesso, dall'esigenza di garantire il libero esercizio della professione e l'utilizzazione di tutte le possibili tecniche giuridiche per assicurare la giusta tutela agli interessi del cliente. 

Segnalazione e segreto professionale Ai sensi dell’art. 41, 6^ c., d.lgs 231/2007, «le segnalazioni di operazioni sospette effettuate ai sensi e per gli effetti del presente capo, non costituiscono violazione degli obblighi di segretezza, del segreto professionale o di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e, se poste in essere per le finalità ivi previste e in buona fede, non comportano responsabilità di alcun tipo». La norma, intesa nella sua interpretazione letterale, sul fronte della responsabilità del professionista in merito alla segnalazione di operazione sospetta inoltrata nei confronti del cliente, sembrerebbe non ammettere dubbi di alcun tipo vuol dire responsabilità di natura civile, penale, amministrativa, disciplinare, ecc. Questo, tuttavia, non può impedire che il cliente del professionista, che irritualmente venga a sapere che quest'ultimo lo ha segnalato, lo citi avanti al giudice civile per danni, ove ritenga che la segnalazione stessa sia ingiusta.

Segnalazione e segreto professionale In ogni caso l'art. 622 c.p. esclude la punibilità nel caso in cui il segreto sia rivelato per giusta causa, ed il Codice Penale prevede, tra le scriminanti l'adempimento del dovere ex art. 51 c.p., il quale esclude la punibilità del soggetto agente quando il comportamento di quest'ultimo è posto in essere per adempiere ad un dovere imposto da norma giuridica. Ne consegue che, laddove la segnalazione avvenga nel rispetto delle disposizioni antiriciclaggio, non potrà sussistere, alcuna responsabilità per violazione del segreto professionale.

Segnalazione e segreto professionale Per l’avvocatura il Codice deontologico forense prevede delle disposizioni particolari in tema di segreto professionale e attività illecite poste in essere dal cliente. L'art. 9 del codice deontologico forense, che disciplina il dovere di segretezza e riservatezza dell'avvocato, al canone IV prevede espressamente che costituiscono eccezioni alla regola generale di mantenimento del segreto i casi nei quali la divulgazione sia necessaria, e tra questi si fa riferimento esplicito al caso in cui sia necessario impedire la commissione, da parte dello stesso assistito, di un reato di particolare gravità.  L’art. 36, canone III del codice deontologico forense, che disciplina l'autonomia del rapporto dell'avvocato con la parte assistita, stabilisce poi che l'avvocato deve rifiutare la propria attività professionale allorquando dagli elementi conosciuti si possa fondatamente desumere che l'attività stessa sia finalizzata alla realizzazione di un'operazione illecita. Ciò significa, in buona sostanza, che l'avvocato deve rinunciare al mandato (o comunque deve rifiutarsi di accettarlo) nel caso in cui il proprio assistito sia intenzionato ad utilizzare l'attività professionale per la realizzazione di fini illeciti.

Segnalazione e segreto professionale Sulla base di quanto sin qui esposto pare che per l'avvocato come per le altre libere professioni, caratterizzate da un duplice obbligo di fedeltà, tanto al cliente, quanto alla legge, non siano facilmente eludibili gli obblighi imposti dalle misure antiriciclaggio, fatto salvo il disposto cui all’art. 12 c. 2^ del d.lgs 231/2007. Ciò in ragione anche del fatto che le prescrizioni in materia di antiriclaggio e soprattutto l'obbligo di segnalazione, non risultano essere confliggenti con il segreto professionale e con altri obblighi di natura deontologica.

L’esclusione cui all’art. 12 comma 2^ del d.lgs. 231/2007 L'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all'articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 cui all’art. 12 del d.lgs. 231/2007 e ai sensi dell’art. 13 periti commerciali, nell'albo dei dottori commercialisti e nell'albo dei consulenti del lavoro; soggetti che rendono i servizi forniti da periti, consulenti; soggetti che svolgono in maniera professionale attività in materia di contabilità e tributi; i notai e gli avvocati;  società di revisione e revisori contabili per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualita' di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

L’esclusione cui all’art. 12 comma 2^ del d.lgs. 231/2007 L’esclusione dall’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette è applicabile per estensione ai giudizi arbitrali o di risoluzione delle controversie (ADR) avanti gli organismi di conciliazione ed anche alle consulenze tecniche d’ufficio e di parte (CTU e CTP), anche se queste ultime, al contrario di arbitrati, conciliazioni e CTU devono essere registrate e assoggettate ad adeguata verifica della clientela. (Nota MEF n. 65633 del 12.06.2008) Esemplificativamente per il commercialista rileverà l’esenzione nei giudizi tributari, oltre che nel corso di giudizi arbitrali, ADR, CTU. E’ buona cautela impostare i pareri rilasciati nei casi di sospette operazioni astrattamente soggette a obbligo di segnalazione come parei finalizzati a evitare contenziosi ad esempio col Fisco.

L’esclusione cui all’art. 12 comma 2^ del d.lgs. 231/2007 Con il parere n. 62 del 24/10/2012 (Rel. Cons. Merli) il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che per gli avvocati non esiste obbligo di segnalazione ai sensi dell’art. 41 del decreto con riferimento alle informazioni su eventuali operazioni sospette, attribuibili al proprio cliente, acquisite nel corso dell’attività professionale prima, durante e dopo il procedimento giudiziario. La stessa esenzione dall’obbligo di segnalazione previsto all’art. 41, a parere del Consiglio Nazionale Forense si applica anche alle fattispecie di preliminare disamina della posizione giuridica del cliente e di valutazione della convenienza di intentare o evitare un procedimento, in quanto la norma (art. 12, comma 2) richiama singolarmente le diverse, possibili fasi nelle quali potrebbe estrinsecarsi l’attività professionale richiesta. Non è vincolata, quindi, l’esenzione alla necessaria esistenza di un procedimento giudiziario. Ad esempio la consulenza fornita da un legale in materia di rimpatrio di capitali dall’estero, impostata nell’ottica della volontà di evitare al cliente controversie con l’erario, nel rispetto della normativa vigente, sarebbe attività esclusa dagli obblighi di antiriciclaggio.

La riservatezza delle informazioni ex art. 45 del d.lgs. 231/2007 Ai sensi dell’art. 45 del citato decreto, sotto la rubrica “Tutela della riservatezza”, i soggetti obbligati alla segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo devono adottare adeguate misure per assicurare la massima riservatezza dell'identità delle persone che effettuano la segnalazione. A tal fine, gli atti e i documenti in cui sono indicate le generalità di tali soggetti sono custoditi sotto la diretta responsabilità del titolare dell'attività o del legale rappresentante o del loro delegato. Il professionista sarà considerato responsabile per i danni cagionati al cliente per effetto dello scorretto trattamento dei dati personali, salvo quanto previsto per le segnalazioni sospette. Ulteriore disposizione tendente ad una maggiore tutela del segnalante si rinviene al 4^ co. dell’ art. 45, secondo cui la trasmissione delle segnalazioni di operazioni sospette, le eventuali richieste di approfondimenti, nonché gli scambi di informazioni, attinenti alle operazioni sospette segnalate, tra la UIF, la Guardia di finanza, la DIA, le autorità di vigilanza e gli ordini professionali devono avvenire per via telematica, con modalità idonee a garantire la riferibilità della trasmissione dei dati ai soli soggetti interessati, nonché l'integrità delle informazioni trasmesse.

La riservatezza delle informazioni ex art. 45 del d.lgs. 231/2007 Il dovere di segnalazione può essere adempiuto rivolgendosi alla Unità di Informazione Finanziaria ovvero al proprio Ordine professionale ai sensi dell’art. 43. Gli Ordini, una volta attivata la possibilità di ricezione delle segnalazioni, saranno tenuti a trasmetterle senza ritardo integralmente alla UIF, peraltro senza indicare il nominativo del segnalante. Quando l’informativa sia stata data direttamente dal professionista all’UIF, gli approfondimenti sull’operazione sospetta debbono essere compiuti adottando adeguate misure per garantire la riservatezza del segnalante (art. 45, comma 3, lett. c). Anche nelle ipotesi di denuncia o di rapporto ex artt. 331 e 347 c.p.p., il successivo 6° co. prevede che l'identità delle persone fisiche e dei soggetti comunque destinatari degli obblighi che hanno effettuato le segnalazioni, anche qualora sia conosciuta, non debba essere menzionata. Una deroga a tale previsione è prevista dal 7° co. dell'art. 45, poiché l'identità delle persone fisiche segnalanti potrà essere rivelata nel caso in cui l'autorità giudiziaria, con decreto motivato, lo ritenga indispensabile ai fini dell'accertamento dei reati per i quali si procede.

La riservatezza delle informazioni ex art. 45 del d.lgs. 231/2007 Riguardo tale deroga si invitano i potenziali segnalatori alla massima prudenza in quanto il termine “Autorità giudiziaria'' comprende sia il giudice che il pubblico ministero, che stia procedendo per qualsiasi reato, anche diverso dai fenomeni di riciclaggio. Ed ancora, la “motivazione'' del decreto può essere estremamente succinta, come l‘”indispensabilità'' può essere soltanto affermata e non dimostrata. Ne consegue che il segnalante può venire ad essere sentito come persona informata sui fatti per illeciti che ben poco hanno a che vedere con il sospetto di riciclaggio segnalato. Si rammenta che il potere di elaborare e riferire all’autorità giudiziaria la notizia di reato è riservata all’UIF, e non è compito del professionista, come si evince non solo dall’art. 47, comma 1, lett. d), ma ancor più chiaramente dalla norma che prevede la sanzione amministrativa e non quella penale a carico di chi omette di segnalare le operazioni sospette (art. 57, comma 1, lett. c). Non è configurabile infatti il reato di omessa denuncia ex art. 361 c.p. a carico del professionista perché egli non assume la qualifica di pubblico ufficiale nel momento in cui si manifestano indici di anomalia tali da integrare il sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo

Privacy e obblighi antiriclaggio Le attività di segnalazione e di identificazione e registrazione, costituiscono trattamento di dati protetti ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 196/2003, pertanto nell’informativa sulla privacy rilasciata al cliente il professionista dovrà specificare che il trattamento dei dati verrà effettuato anche in ottemperanza agli obblighi in materia di antiriciclaggio. Gli incaricati al trattamento dei dati individuati ex art. 30 del d.lgs. 196/2003, dovranno operare sotto la responsabilità del titolare dell’attività professionale. E’ necessario inoltre che vengano rispettate le misure di sicurezza minime previste dal Codice privacy

le misure di sicurezza minime previste dal Codice privacy L’ art. 34 del d.lgs 196/2003 fornisce le prescrizioni inerenti al trattamento di dati personali effettuato con strumenti elettronici. Tale trattamento è consentito solo se sono adottate le seguenti misure minime: a) autenticazione informatica; b) adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione; c) utilizzazione di un sistema di autorizzazione; d) aggiornamento periodico dell'individuazione dell'ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici; e) protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici; f) adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi; h) adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari; L’ art. 35  disciplina il trattamento di dati personali effettuato senza l'ausilio di strumenti elettronici, consentito solo se sono adottate le seguenti misure minime: a) aggiornamento periodico dell'individuazione dell'ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati o alle unità organizzative; b) previsione di procedure per un'idonea custodia di atti e documenti affidati agli incaricati per lo svolgimento dei relativi compiti; c) previsione di procedure per la conservazione di determinati atti in archivi ad accesso selezionato e disciplina delle modalità di accesso finalizzata all'identificazione degli incaricati.

Privacy e sanzioni L’inosservanza dell’obbligo di fornire al cliente l’informativa sulla privacy comprensiva delle finalità legate alla normativa antiriciclaggio (Art. 13, D.Lgs. 196/2003) comporta una sanzione pecuniaria da 3.000 euro a 18.000 euro, aumentata dei 2/3, da 5.000 a 30.000 euro, in caso di dati sensibili o giudiziari. Tale sanzione si può elevare fino al triplo in ragione delle condizioni economiche del contravventore.

Le sanzioni penali e amministrative I DOVERI DI INFORMATIVA art. 6 c. 6^ A norma dell’art. 6, comma 6, lett. c), la UIF, sulla base delle segnalazioni ricevute, acquisisce ulteriori dati e informazioni presso i soggetti che hanno dato notizia di operazioni sospette e quindi anche presso i professionisti. La trasgressione dei doveri di informativa nei confronti della UIF costituisce illecito amministrativo (art 57, comma 5^) ma anche illecito penale (55 c. 3^). Quando sarà attivata presso gli Ordini la possibilità di ricevere le segnalazioni le informazioni saranno richieste allo stesso organo Collegiale e non al professionista (art. 45, comma 3, lett. b), con la conseguenza che l’illecito amministrativo non sarà configurabile nel caso in cui l’Ordine non possa fornire l’informazione per inerzia o rifiuto dell’iscritto all’Albo, salvi i poteri sanzionatori deontologici. La segnalazione pervenuta alla UIF comporta che si formi direttamente in capo al professionista (art. 45, comma 3, lett. c), la responsabilità per l’omessa comunicazione degli ulteriori dati richiesti, sanzionabile, anche in presenza della sola colpa,con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro. Se l’omissione tuttavia dovesse essere integrata dalla mancata esibizione di uno specifico documento il soggetto non è passibile di sanzione in quanto la UIF non ha il potere di richiedere l’esibizione o la trasmissione di documenti.

Le sanzioni penali e amministrative L’OBBLIGO DI REGISTRAZIONE ex art. 37 e 38 Ove il professionista non adempia all’obbligo di registrazione, questi può rispondere sia a titolo di illecito amministrativo, che a titolo di illecito penale per quanto si dirà poi. L’art. 57, comma 3, punisce l’omessa istituzione del registro della clientela, cartaceo o informatico, con le sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 a 50.000 euro. La tenuta del registro cartaceo consente tre giorni di margine rispetto alla richiesta di esibizione dello stesso (art. 38 c. 4^.) Determinano l’irrogabilità della sanzione anche: la compilazione del registro in modo tale da non consentire un adeguato controllo da parte della UIF o delle autorità di polizia; la tenuta del registro in difetto delle prescritte formalità cui all. art. 38 c. 3^, quali l’omessa numerazione, la mancanza delle sigle o dell’indicazione del numero delle pagine; L’omessa tenuta del registro unico informatico ex art. 37 è sanzionata pecuniariamente da 50.000 a 500.000 euro per i soggetti cui agli artt. 11, 13.14 intermediari finanziari, revisori, società di revisione, altri soggetti specificatamente indicati.

Le sanzioni penali e amministrative LA SOSPENSIONE CAUTELARE DELLE OPERAZIONI ex art. 6 c. 7^ La mancata ottemperanza all’ordine della UIF di sospensione dell’esecuzione di un’operazione per un massimo di cinque giorni lavorativi (art. 6 c. 7^) configura l’illecito previsto dall’art. 57, comma 1 punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 200.000 euro. La misura cautelare amministrativa prescinde dalla intervenuta segnalazione e può provenire dall’A.G. o dagli organi investigativi. In base alla stessa ratio il professionista ha il dovere di astenersi dal compiere l’operazione fino a quando non ha effettuato la segnalazione (art. 41, comma 5), ma l’inosservanza di questa norma non comporta alcuna conseguenza sanzionatoria.

Le sanzioni penali e amministrative L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE ex art. 41 L’omessa segnalazione delle operazioni sospette è sanzionata solo in via amminstrativa dall’art. 57, comma 4. Tuttavia è presente clausola di riserva in cui si fa salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato. Si fa cioè riferimento al caso in cui si possano ritenere sussistenti gli elementi costitutivi di concorso in riciclaggio, qualora la condotta del professionista abbia agevolato la commissione del crimine, o rafforzato la determinazione del reo nel commetterlo; favoreggiamento del cliente. Tali ipotesi si verificano quando un’operazione non segnalata alla UIF, sia stata posta in essere nella consapevolezza della provenienza illecita di denaro o beni sottoposti a conversione, trasferimento o altre operazioni dissimulatorie della loro natura criminosa, e/o al fine di consentire al cliente di assicurarsi il profitto del reato. Al di fuori del concorso nel reato e del favoreggiamento l’omissione della segnalazione è punita con la sanzione pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo dell’operazione non comunicata. Nei casi più gravi è applicata anche la sanzione accessoria della pubblicazione del decreto sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale, di cui almeno uno economico

Le sanzioni penali e amministrative sono tutelati da sanzioni criminali: il dovere di adeguata verifica della clientela; l’obbligo di registrazione. Si rammenta che gli obblighi di adeguata verifica della clientela e gli obblighi di registrazione non sussistono in relazione allo svolgimento della mera attività di redazione e/o di trasmissione delle dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali e degli adempimenti in materia di amministrazione del personale per i consulenti del lavoro. L’adeguata verifica della clientela dev’essere effettuata per operazioni superiori ai 15.000 euro o per operazioni di valore indeterminato o indeterminabile salvo le esclusioni esplicitate dalla norma tra cui i pareri giuridici pro veritate. Su un piano diverso vengono poi protetti dalle norme penali: l’interesse alla effettività dei controlli sulla natura delle operazioni; l’interesse al segreto sulla pendenza di accertamenti in relazione alle operazioni sospette segnalate.

Le sanzioni penali e amministrative L’OBBLIGO DI IDENTIFICAZIONE ex art. 18 La violazione dell’obbligo di identificare il cliente secondo quanto prescritto dall’art. 18, comma 1, lett. a) e b) configura il delitto previsto dall’art. 54, comma 1, punito con la multa da 2.600 a 15.000 euro. L’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo che potrà ritenersi integrato ad esempio: dalla assoluta mancanza di documenti identificativi presso lo studio del professionista; dalla acquisizione di documenti manifestamente inidonei perché scaduti o ottenuti da una fonte inaffidabile o non indipendente. Una violazione meramente colposa dell’obbligo di identificazione non comporta alcuna responsabilità. Costituisce ipotesi aggravata l’avvalersi di mezzi fraudolenti per ostacolare l’identificazione del cliente. Un caso può consistere nell’acquisizione di un documento di identità manifestamente falso (art. 55, comma 6). L’integrazione dell’aggravante determina il raddoppio della sanzione irrogabile.

Le sanzioni penali e amministrative LA DISSIMULAZIONE DEL CLIENTE DA PARTE DEL PROFESSIONISTA Più grave della precedente ipotesi è il reato di dissimulazione del cliente effettuata del professionista che compie una operazione in suo nome e per suo conto (art. 55, comma 2, in relazione all’art. 12, comma 1, lett. c). Il fatto di reato si realizza quando colui che compie l’operazione spende il proprio nome per nascondere l’identità di una terza persona che non vuole apparire. L’illecito sussiste quando il professionista omette di indicare le generalità del mandante, indica generalità false. E’ sempre necessario il dolo. La pena prevista è della reclusione da sei mesi a un anno congiuntamente alla multa da 500 a 5.000 euro. Anche per questo delitto è prevista l’applicabilità della aggravante del mezzo fraudolento che comporta il raddoppio della pena (art. 55, comma 6).

Le sanzioni penali e amministrative OMESSA, TARDIVA, INCOMPLETA REGISTRAZIONE Il delitto di omessa, tardiva o incompleta registrazione dei dati identificativi e delle informazioni relative all’operazione è previsto dall’art. 55, comma 4. Punisce la mancata ottemperanza di quanto prescritto dall’art. 36 che stabilisce, fra l’altro, l’obbligo di procedere alla registrazione entro il termine di 30 giorni dalla operazione o dalla fine della prestazione professionale (art. 36 co. 3^). Il reato è punito con la multa da 2.600 a 13.000 euro. Si tratta di condotta diversa da quella configurata come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 57, comma 3, che, come si è visto, punisce la sola omessa tenuta del registro come documento cartaceo, ovvero la compilazione del registro in modo non conforme alle prescrizioni normative, ed è sanzionabile in base alla sola colpa. L’omessa registrazione prevista dall’art. 55, comma 4, è invece punibile solo a titolo di dolo in quanto qualificata come delitto.

Le sanzioni penali e amministrative VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI INFORMAZIONE Un rapporto di complementarietà tra illecito amministrativo e illecito penale sussiste anche in materia di inosservanza del dovere di fornire informazioni alle autorità pubbliche investite a vario titolo di poteri di monitoraggio o di investigazione. Si è già ricordato più sopra che le violazioni degli obblighi informativi nei confronti della UIF sono punite con sanzione amministrativa (art. 57, co. 5). A norma dell’art. 55, co. 3, è invece punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da 5.000 a 50.0000 euro l’esecutore di una operazione che non fornisca informazioni sullo scopo e sulla natura della prestazione professionale o le fornisca false. La fattispecie penale è connotata da elementi specializzanti rispetto a quella amministrativa.

Le sanzioni penali e amministrative 1. L’informativa rifiutata o fornita con contenuto inveritiero deve riguardare il profilo oggettivo del rapporto con il cliente, vale a dire deve investire dati come la causale, l’importo, i mezzi di pagamento e la tipologia dell’operazione (art. 18, comma 1, lett. c) e 36, comma 2, lett. b). Rimane quindi fuori il profilo soggettivo attinente alla identificazione del cliente. 2. Deve poi trattarsi di una informazione relativa ad una operazione già eseguita, e non semplicemente segnalata come sospetta, con conseguente astensione ex art. 41, comma 5. 3. Infine, la specificità e la rilevanza della informazione negata rendono evidente, nel silenzio legislativo circa l’autorità che la abbia sollecitata, che il reato sussiste non solo quando la richiesta è stata fatta dalla UIF, ma anche nel caso in cui gli organi investigativi o l’Autorità giudiziaria abbiano ordinato al professionista di chiarire il contenuto della prestazione professionale resa.

Le sanzioni penali e amministrative RIVELAZIONE ABUSIVA DELLA SEGNALAZIONE Il professionista che violi il segreto di ufficio posto a tutela della efficacia delle indagini, rilevando al cliente di aver segnalato l’operazione (art. 46, co. 1^) o di aver ricevuto notizia del seguito che la sua segnalazione ha avuto, è punito, a norma dell’art. 55, comma 8, con l’arresto da 6 mesi ad un anno o con l’ammenda da 5.000 a 50.000 euro, Sanzione applicabile sempre che non sussistano gli elementi costitutivi del reato di favoreggiamento. Trattandosi di contravvenzione punita con pena alternativa, è ammissibile l’oblazione a norma dell’art. 162 bis c.p. che consente attraverso il pagamento di una somma corrispondente alla metà del massimo dell‘ammenda prima dell‘apertura del dibattimento o del decreto di condanna l‘estinzione del reato. Non è perseguibile la rivelazione della segnalazione fatta a colleghi o colloboratori nell‘esercizio dell‘attività professionale ma detta informazione non deve essere poi comunicata a terzi.

Transazioni in contanti e sanzioni 1. Chiunque effettui un trasferimento di denaro contante, libretti di deposito bancari o postali o titoli a portatore tra soggetti diversi, con valore dell’operazione, anche se frazionata, => a 5.000 euro incorre nella sanzione pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito. E’ data la possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81 per importi fino a 250.000 euro. 2. Chiunque emetta assegni bancari o postali per importi => di 5.000 euro senza l’indicazione del beneficiario o la clausola di non trasferibilità incorre nella sanzione pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito. E’ data la possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81 per importi fino a 250.000 euro. 3. Chiunque emetta assegni bancari o postali a favore del traente girati a terzi anziché direttamente per l’incasso a banche o Poste Italiane incorre nella sanzione pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito. 4. Chiunque emetta assegni circolari, vaglia postali e cambiari senza l’indicazione del beneficiario o la clausola di non trasferibilità incorre nella sanzione pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito. E’ data la possibilità di oblazione art. 16 Legge 689/81 per importi fino a 250.000 euro. 5. Chiunque sia in possesso di libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo => a 5.000 euro incorre in sanzione pecuniaria dal 20% al 40% del saldo 6. Chiunque non estingua o riduca il saldo entro il 30/06/2009 dei libretti dei deposito al portatore incorre in sanzione pecuniaria dal 10% al 20% del saldo. 7. Chiunque non comunichi alla banca o a Poste Italiane Spa i dati identificativi del cessionario e la data di trasferimento dei libretti di deposito al portatore incorre nella sanzione pecuniaria dal 10% al 20% del saldo

Obblighi di comunicazione del professionista Il professionista ha 30 giorni per effettuare la comunicazione al MEF delle infrazioni inerenti l’uso del contante o di assegni o di libretti al portatore. Per assegni bancari e circolari, libretti al portatore o titoli simili la comunicazione va effettuata dalla Banca o dalle Poste che ne effettuano l’estinzione Le comunicazioni dei professionisti dovranno pervenire alle Ragionerie dello Stato per violazioni non oblazionabili superiori a 250.000 euro. Tali comunicazioni non sono soggette a riservatezza. Sui professionisti incombe inoltre l’obbligo di segnalare l’uso del contante pari o superiore a 1.000 euro (D.L. 201/2011) alle Ragionerie dello Stato competenti per territorio.

Transazioni in contanti e sanzioni Tutti i soggetti destinatari delle norme antiriciclaggio che omettono la comunicazione al MEF delle infrazioni relative all’uso del denaro contante e di titoli al portatore  di cui hanno avuto notizia (elencate nelle sette precedenti violazioni) incorrono nella sanzione pecuniaria dal 3% al 30% dell’importo dell’operazione, del saldo del libretto ovvero del conto; Chiunque trasferisce denaro contante per importi => a 2.000 euro effettuato per il tramite di Money transfer incorre in sanzione pecuniaria dal 20% al 40% dell’importo trasferito; Chiunque trasferisce denaro contante per importi => a 2.000 e < a 5.000 euro, per il tramite di Money transfer, senza documentazione incorre in sanzione pecuniaria dal 20% al 40% dell’importo trasferito; Chiunque apre in qualunque forma conti, o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia incorre in sanzione pecuniaria dal 20% al 40% del saldo Chiunque utilizzi in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri incorre in sanzione pecuniaria dal 10% al 40% del saldo

Sanzioni per il cliente cui alla normativa antiriciclaggio Viene sanzionato anche cliente che non fornisce idonee e corrette informazioni impedendo al professionista di adempiere agli obblighi di adeguata verifica. Commette un delitto (art. 55 c. 2^) sanzionato con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa da 500 a 5.000 euro colui che impedendo l’individuazione del titolare effettivo dell’operazione in quanto esecutore della stessa non fornisce le generalità del soggetto per il quale agisce, o le fornisce false. E’ illecito contravvenzionale (art. 55 c. 3^) il rifiuto di fornire da parte del cliente informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale, punito con l’aresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da 5.000 a 50.000 euro.

Ispezione in materia di antiriciclaggio La Polizia Tributaria potrà intraprendere un’ispezione in materia di antiriciclaggio, previo rilascio di apposita delega agli specifici poteri di polizia valutaria da parte del Nucleo Speciale Polizia Valutaria competente. La circolare  n. 83607 del 19 marzo 2012 della Guardia di Finanza precisa che le operazioni di accesso devono avvenire a norma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972: nel caso di locali adibiti sia ad abitazione che a professione, previa autorizzazione del P.M. e dietro ordine, riportato nel foglio di servizio, del Comandante del Reparto; nel caso di locali destinati all’esercizio professionale, esse andranno eseguite in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato, costituendo tale presenza requisito di legittimità degli atti conseguenti.

Ispezione in materia di antiriciclaggio L’attività di accesso e ispezione potrà riguardare: la ricerca ed acquisizione di registri, documenti e scritture contabili attinenti alle operazioni oggetto di controllo/ antiriclaggio; l’elenco anagrafico dei clienti e la data di conferimento dell’incarico professionale; L’ elenco delle operazioni e delle prestazioni professionali,distinte per rilevanza di importi; i fascicoli dei clienti.

Iter procedurale e sanzionatorio LA PROCEDURA PER L’IRROGAZIONE DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE E L’IMPUGNAZIONE Sul piano procedurale, va ricordato che la competenza ad irrogare le sanzioni amministrative è attribuita al Ministro dell’Economia e delle Finanze, che procede a norma delle disposizioni stabilite dalla l. 24 novembre 1981, n. 689. Resta comunque impregiudicato il potere degli Ordini professionali di applicare le sanzioni previste dai rispettivi ordinamenti. La legge n.689/81 con l'articolo 11, stabilisce i criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie che, testualmente recita: " Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, alla personalità dell’agente e alle sue condizioni economiche. E’ dato tuttavia registrarsi una prassi secondo cui viene applicata come sanzione pecuniaria circa il dieci per cento dell'ammontare delle operazioni evidenziato dal verbale di contestazione della Guardia di finanza all'atto del controllo a suo tempo svolto nei confronti del professionista o di altro soggetto.

Iter procedurale e sanzionatorio Il pagamento in misura ridotta previsto dall’art. 16 l. 689/81 E' ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione si applica solo per le violazioni relative al divieto di uso di denaro contante e titoli al portatore ovvero di mancata apposizione della clausola di non trasferibilità, se obbligatoria il cui importo non sia superiore a 250.000 euro. Il pagamento in misura ridotta non è esercitabile da chi si è già avvalso della medesima facoltà per altra violazione della stessa natura, il cui atto di contestazione sia stato ricevuto dall'interessato nei 365 giorni precedenti la ricezione dell'atto di contestazione concernente l'illecito per cui si procede.

Iter procedurale e sanzionatorio La legge 689/81 prescrive che la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente sia al trasgressore sia alla persona coobbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è stato possibile eseguire la contestazione immediata, gli estremi della violazione devono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento. Il termine è interrotto ove l’ufficio ricevente la comunicazione sia costretto a chiedere ulteriori elementi al segnalante, in tal caso i termini ripartono dal momento della ricezione dei dati. Il mancato rispetto del termine prescritto comporta l'estinzione dell'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione e la decadenza per l'amministrazione dal diritto di esigere la sanzione pecuniaria. Il soggetto che ha accertato la violazione antiriciclaggio deve inviare il relativo verbale al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) competente, come già detto, per l'irrogazione delle sanzioni. L'autore della violazione può entro trenta giorni (sessanta se residente all'estero) dalla contestazione del MEF o della GDF presentare memorie difensive e chiedere un'audizione personale.

Iter procedurale e sanzionatorio Il Ministero dell’Economia e delle Finanze dopo aver sentito gli interessati che ne abbiano fatto richiesta ed analizzato i documenti inviati e gli scritti difensivi, se ritiene fondato l'accertamento circa la sussistenza dell'illecito emette il decreto con il quale irroga la sanzione pecuniaria e ne ingiunge il pagamento; altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione e la comunica all'organo che ha redatto il rapporto.  Alla decretazione segue la notificazione del provvedimento sanzionatorio entro 5 anni dall’avvenuta notifica della contestazione all’autore della violazione. Competente per decidere dell’opposizione all’ingiunzione di pagamento delle sanzioni è il Tribunale e non il Giudice di Pace, trattandosi di norme di tipo valutario. Il ricorso può essere presentato innanzi al Tribunale del luogo in cui è stata commessa la violazione entro 30 giorni dalla notificazione del decreto. L’appello può essere proposto entro 6 mesi dal deposito della sentenza o entro 30 giorni dalla notifica della stessa. Scaduti i termini per l’impugnazione il provvedimento sanzionatorio diviene definitivo e entra in fase esecutiva.