LICEO STATALE «Antonio Meucci»

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Transcript della presentazione:

LICEO STATALE «Antonio Meucci» Le biotenologie Seconda parte LICEO STATALE «Antonio Meucci» Prof. Neri Rolando

La clonazione La clonazione consiste nella produzione in molte copie di una molecola di DNA ricombinante. Per fare questo il DNA ricombinante deve essere inserito in cellule ospiti che vengono chiamate transgeniche. Per riconoscere le cellule contenenti DNA ricombinante si possono usare geni reporter di cui si conosce il fenotipo, che servono dunque da marcatori genetici. Abbiamo già preso in considerazione cloni di DNA o di cellule, tuttavia è possibile anche ottenere cloni di mammiferi, utilizzando come materiale genetico di partenza quello di cellule somatiche di animali adulti

Il famoso caso della pecora Dolly Nel 1997 per la prima volta si riuscì (Ian Wilmut et coll.) a clonare con successo un mammifero partendo da una cellula somatica adulta. Nella clonazione riproduttiva una cellula uovo privata del nucleo è fusa assieme a una cellula somatica adulta, completa del suo nucleo e quindi del DNA; da questa fusione risulta un embrione che è poi impiantato nell’utero di una madre surrogata. Combinando questa tecnica con altre tecniche del DNA ricombinante si sono e/o possono essere ottenute proteine umane di interesse medico in quantità e qualità nettamente superiore di quello che si può avere dall’uso di microorganismi e virus. Il primo mammifero clonato fu una pecora chiamata Dolly (a sinistra nella foto), che una volta cresciuta si è riprodotta dando alla luce un agnello «normale» (a destra).

Tecniche di analisi del DNA La biotecnologia si avvale di vari metodi di analisi del DNA. La reazione a catena della polimerasi (o PCR, da Polymerase Chain Reaction) L’elettroforesi su gel agarosio La combinazione di queste due tecniche ha permesso il sequenziamento del DNA

Reazione a catena della polimerasi, PCR La tecnologia del DNA ricombinante non può prescindere dalla conoscenza dell’esatta sequenza di basi azotate che compone un dato gene o un dato frammento di DNA. Inoltre, per analizzare un frammento di DNA, bisogna poterne disporre di molte copie. Un metodo per ottenere queste copie è quello di sfruttare la capacità dei plasmidi, dei virus e delle cellule di lievito di moltiplicarsi, come abbiamo già visto. Tuttavia, da quando è stata ottenuta la duplicazione del DNA in laboratorio (seconda metà del secolo scorso), è possibile fare copie multiple di una sequenza di DNA. La reazione a catena della polimerasi è una tecnica che automatizza questo processo copiando molte volte in provetta un tratto di DNA.

Reazione a catena della polimerasi, PCR E’ una tecnica che consente di amplificare piccole quantità di DNA I primers (o sequenze innesco) sono brevi sequenze nucleotidiche, complementari a ben precise sequenze del filamento di DNA, che, una volta unite a esse, indicano alla DNA-polimerasi il punto da cui deve avere inizio l’appaiamento dei nucleotidi DNA polimerasi di Thermus aquaticus

PCR Ogni ciclo richiede poco più di due minuti. Trenta cicli incrementano la quantità di DNA di oltre un miliardo di volte!!!

La Taq-polimerasi All’inizio esisteva un problema con la PCR: i requisiti termici. Per denaturare il DNA, infatti, bisogna scaldarlo a più di 90°C, una temperatura che distrugge la DNA polimerasi. Ora, se fosse necessario aggiungere nuova polimerasi dopo ogni ciclo di denaturazione, la PCR sarebbe impraticabile. continua

La Taq-polimerasi Il problema è stato risolto dalla natura: in alcuni geyser, come anche in altre sorgenti termali, vive un batterio chiamato Thermus acquaticus, scoperto da Thomas Brock et coll., che sopravvive a temperature fino a 95 °C grazie a un apparato metabolico termoresistente, completo di una DNA polimerasi, chiamata Taq polimerasi o polimerasi termoresistente, che non si denatura ad alte temperature. Il biochimico Kary Mullis pensò di usare la Taq polimerasi per far compiere più cicli di PCR; l’idea funzionò, tanto da fruttargli il premio Nobel nel 1983.

L’elettroforesi su gel Per separare i frammenti di DNA dopo il taglio con gli enzimi di restrizione si utilizza un gel di agarosio, un polisaccaride che si ricava dalle alghe. Ogni campione, composto da una miscela di frammenti di DNA, è colorato con una sostanza blu. La capacità di migrazione dei frammenti di DNA dipende dai gruppi fosfato. L’elettroforesi su gel

A cosa serve l’elettroforesi su gel? Può fornire due tipi di informazione: La dimensione dei singoli frammenti. Per determinare le dimensioni dei frammenti si pone, in un pozzetto di fianco al campione, un marcatore costituito da DNA di dimensioni note, che serve come standard di riferimento. La presenza di determinate sequenze di DNA. Una sequenza nota può essere messa in evidenza all’interno del campione mediante l’uso di una sonda di DNA marcata con una sostanza radioattiva. Il campione di Dna viene denaturato quando è ancora nel gel e immobilizzato. In seguito, il campione viene esposto a una sonda di DNA a singolo filamento contenente una sequenza complementare a quella cercata. Se nel campione di DNA è presente la sequenza che ci interessa, la sonda si unirà ad essa. A ibridazione avvenuta, una macchia di radioattività indicherà il punto in cui la sonda ha intercettato la sequenza di DNA desiderata, mentre le sonde che non si sono legate rimarranno nella soluzione. È quindi possibile prelevare la porzione di gel corrispondente alla zona che contiene il frammento cercato (per dimensione o sequenza) e poi estrarre dal gel il frammento di DNA allo stato puro.

Il sequenziamento del DNA Sequenziare il DNA significa determinare l’ordine dei nucleotidi nella molecola d’interesse. Da una sequenza genomica è possibile ricavare tre tipologie di informazioni: 1. Le finestre di lettura (ORF, Open Reading Framents) ossia i tratti codificanti dei geni. Per i geni che codificano proteine, queste regioni sono riconoscibili in base ai codoni di inizio e di stop della traduzione. 2. Le sequenze amminoacidiche delle proteine, deducibili dalle corrispondenti sequenze di DNA delle finestre di lettura, applicando le regole del Codice Genetico. 3. Le sequenze regolatrici, come ad esempio i promotori e i terminatori della trascrizione. La sequenza nucleotidica è rappresentata sotto forma di un grafico in cui ognuno dei quattro nucleotidi è tracciato utilizzando un colore diverso.

Come si fa a sequenziare il DNA? I dNTP sono i comuni nucleosidi trifosfati che costituiscono il normale substrato per la duplicazione del DNA e contengono le zucchero desossiribosio. Nei didesossiribonucleosidi trifosfati (ddNTP) il desossiribosio viene sostituito con il 2,3-didesossiribosio. Il risultato è che i ddNTP si possono assemblare in una catena in allungamento come se fossero nucleotidi normali, tuttavia, essendo privi del gruppo OH in posizione 3’, essi non consentono l’aggiunta del nucleotide successivo. Pertanto la crescita si arresta quando all’estremità in crescita del filamento di DNA viene incorporato il nucleoside modificato. Come si fa a sequenziare il DNA? L’informazione ottenuta tramite questo processo viene, infine, inserita in un computer, che elabora l’informazione e produce la sequenza del frammento di DNA.

Il Progetto Genoma Umano Il Progetto Genoma Umano, portato a termine nel 2003, ha sequenziato il corredo cromosomico aploide di un essere umano, che comprende oltre 3 miliardi di nucleotidi. Il fatto, forse, più sorprendente è che il nostro genoma contiene dai 28 ai 30000 geni, a fronte dei circa 100000 che erano stati ipotizzati. Inoltre, il 95% del DNA umano è costituito da sequenze che non vengono tradotte in polipeptidi il cosiddetto «junk DNA» o «DNA spazzatura». Tuttavia, i ricercatori stanno iniziando a chiarire la vera natura di questa componente, e di alcuni tratti hanno rivelato le funzioni, vediamone qualcuna: I telomeri e i centromeri sono indispensabili per la corretta conservazione dei cromosomi. Gli introni, garantiscono al DNA eucariotico, attraverso lo splicing alternativo, una versatilità sconosciuta al genoma dei batteri. Alcune sequenze sono coinvolte nella regolazione dell’espressione genica. Più dubbio è il giudizio sugli pseudogeni, antichi geni che hanno perso funzionalità in seguito a mutazioni. Può succedere, seppure raramente, che gli pseudogeni abbiano riacquistato la funzione perduta attraverso una successiva mutazione. Molti biologi ritengono che la loro presenza possa favorire, per mutazione, la comparsa di nuovi geni in una specie. In ogni caso, pare che costituiscono circa il 10% del DNA totale. Anche per i trasposoni, elementi in grado di moltiplicarsi e spostarsi nel DNA e che costituiscono fino al 50% del genoma umano, non si sa quale sia la funzione, anzi, possono essere coinvolti nell’insorgenza di tumori. Infine le sequenze ripetute. Molti studiosi ritengono che tali sequenze siano importanti per dare compattezza al DNA, e recenti ricerche farebbero emergere un loro ruolo nella regolazione della trascrizione.

La genomica La genomica studia la struttura del genoma, le informazioni in esso contenute, il modo in cui le sue parti interagiscono e la sua evoluzione. Si parla di genomica funzionale e comparata. La genomica funzionale consiste nell’assegnazione di ruoli funzionali ai prodotti dei geni individuati con il sequenziamento. È come se dopo aver scoperto l’indirizzo di una persona, si scopra anche quale sia la sua professione. La genomica comparata confronta le sequenze genomiche di organismi diversi per individuare i geni presenti in un organismo e assenti in un altro, al fine di mettere in relazione questi risultati con la rispettiva fisiologia. La genomica ha un ruolo importante negli studi sull’evoluzione e in campo medico-sanitario, alimentare ed ecologico. Un caso particolare è quello della produzione di un organismo artificiale, dotato di un genoma costruito interamente in laboratorio. È il caso dell’organismo Mycoplasma laboratorium, dotato di un genoma minimo indispensabile per una cellula, che costituirebbe la base per la produzione di futuri batteri artificiali.