VESUVIO e MESTIERI AMBULANTI Di Oscar Limpido Parte quarta
Com’erano, come sono se ci sono di Oscar Limpido I MESTIERI AMBULANTI Com’erano, come sono se ci sono di Oscar Limpido Sommario: 1. Premessa, 2. barbiere, 3. capera, 4. capillò, 5. franfelliccaro, 6. subrettaro, 7. zeppularo, 8. aulivaro, 9. castagnaro, 10. ceuzaro, 11. lupinaro, 12. mellunaro, 13. maruzzaro, 14. pisciavinolo, 15. purpaiuolo Nella prima parte de: “I mestieri ambulanti”, dopo la “premessa”, ho fatto cenno del “barbiere”, della “capera, del “capillò”; continuando, nella seconda parte si è venuto a discorrere dei venditori di alimenti dolci: “franfellicaro”, “subrettaro”, “zeppularo” e nella parte terza dei venditori ambulanti dei prodotti della terra: “aulivaro”, “castagnaro”, “ceuzaro”, “lupinaro” e “mellunaro”. In questa parte IV, l’excursus sui mestieri ambulanti ci porta ai venditori di alcuni “frutti marini” e precisamente: “maruzzaro”, “pisciavinolo” e “purpaiuolo”.
13. Maruzzaro Il termine “maruzza” o “maruzzella” indica sia la lumaca di terra che quella di mare. Una variante è la “maruzza spugliata” perché priva della “scorza” (guscio). In origine ad essere vendute furono le lumache terrestri o chiocciole, apprezzate in gastronomia fin dai tempi di Trimalcione. La “maruzza” arricchita di “freselle” o di biscotti, veniva a formare una zuppa molto richiesta durante le feste patronali e il grido del venditore era “tengo ‘e maruzze d’a festa ca so meglio d’e cunfiette”. Più tardi il Maruzzaro offrì anche lumache di mare, anch’esse lungamente spurgate e, poi, cozze e altri frutti marini. La “maruzza” ha sempre colpito l’immaginario popolare. Di un vigliacco si dice: “me pare Pulecenella spaventato d’e maruzze”. Il marito tradito “tene chiù corna ‘e nu cato ‘e maruzze”. “Mannaggia a maruzza” è un’imprecazione che ferma la bestemmia sulla soglia.
14. Pisciavinolo Pescivendolo, ambulante e di banco. In passato, verso la metà dell’800, il mercato del pesce insisteva nella zona di Santa Lucia, ma alla vigilia di Natale, l’epicentro mercantile del pesce si spostava nella zona di Santa Brigida attorno al busto di Masaniello. Nel 1931, Cesare Caravaglios fornì una descrizione del “pisciavinolo”: è scalzo, odora di mare, porta una giubba sulle spalle ed è contento soprattutto quando ruba sul peso”. Per richiamare l’attenzione dei passanti, ricorre a diverse grida: “tengo argiento int’a spasella”, “pe’ fa’ la zuppa vove e mazzune”, “ah! comme friccica ‘o gamberiello”. Specifica è la voce dedicata ai natalizi capitoni: “è vive e è gruosse”. Ancora oggi, in via Caracciolo è possibile incontrare una carretta con la “mappata” di reti e ceste, piene di sardine, spigole, triglie, orate. Sono i pescatori che tirano le reti e subito mettono in vendita il pescato. Purtroppo il pescato è, di giorno in giorno, sempre più scarso perché il mare di Napoli è stato dissanguato dai “bombaroli” di frodo e inaridito dall’inquinamento, cosicché i pescatori contemporanei sono stati definiti “i mendicanti del loro mare”.
15. Purpaiuolo Venditore ambulante di polipi veraci e di saporoso “bror’e purpe”, cucinati in uno scuro pentolone. Nell’antico mercato di Santa Lucia, quando i “luciani” (popolani abitanti del borgo) erano veramente vicini al mare, perché ad esso non si frapponevano abitazioni di sorta, tanti erano i fornelli accesi per il brodo e trovavano spazio tra un banco e l’altro. Ancora oggi è possibile godere di una buona tazza bollente di “bror’e purpe”, ma attenzione necessitano “stomaci forti”. Il poeta Salvatore Di Giacomo fu attratto e ispirato da una “purpaiola”, tale Brigida, che attirava i clienti con gli occhi: “Se chiamma Briggeta, na purpaiola ca vene a vennere purpe, ll’està ......”
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