Firenze nei primi decenni del Cinquecento
I Medici I Medici furono un’antica famiglia fiorentina di origine popolare che si arricchì con il commercio e le attività finanziarie. Proprietari di manifatture tessili, abili mercanti e uomini d'affari, ebbero una banca con filiali in tutte le principali capitali europee. La famiglia Medici detenne il potere a Firenze dal 1437 al 1737. Il loro dominio fu avversato dalla congiura dei Pazzi (1478) e interrotto per pochi anni dalla prima (1494-1512) e dalla seconda (1527-1530) repubblica fiorentina. Fra i Medici ci furono anche due papi: LeoneX e Clemente VII. Cosimo de’Medici detto Il vecchio considerato il fondatore della signoria dei Medici (1389-1464) nel celebre ritratto del Pontormo (1518-1519)
La figura di Girolamo Savonarola Girolamo Savonarola (Ferrara 1452-Firenze 1498) fu un frate domenicano, politico e letterato che morì sul rogo. Anche se visse nel periodo immediatamente precedente a quello studiato, la sua predicazione, che fu imperniata sulla necessità immediata di un rinnovamento della chiesa e sulle accuse dirette di corruzione a governanti e prelati, ebbe esiti importanti anche nel periodo successivo. Fu protagonista della fase teocratica della prima repubblica, ma entrò in forte contrasto con il papa Alessandro VI che lo scomunicò. Venutogli meno l'appoggio francese, fu messo in minoranza rispetto al risorto partito dei Medici che nel 1498 lo fece arrestare, processare per eresia, impiccare e poi ardere in Piazza della Signoria. Savonarola ritratto da Fra Bartolomeo ca. 1498
Pier Soderini Pier Soderini era membro di un'antica famiglia fiorentina che aveva dato numerosi politici alla città. Fu un collaboratore fidato di Piero il Fatuo de’Medici quando egli fu cacciato dalla città e fu instaurato il regime teocratico di Savonarola nel 1494. Considerato uomo probo e imparziale, Soderini fu nominato gonfaloniere della repubblica nel 1502 e si avvalse della coscienziosa attività di Machiavelli. Nel 1511 commise un grave errore politico inimicandosi il papa Giulio II, che si alleò con altri signori italiani, compresi i Medici, e fece inviare un contingente spagnolo in Toscana. Nel 1512 Firenze trattò la resa, Soderini fuggì e i Medici rientrarono. La Battaglia di Anghiari (1440) commissionata a Leonardo da Soderini per celebrare la repubblica. L’opera andò perduta, ma ce ne rimangono gli studi di Rubens. La battaglia fu descritta ironicamente da Machiavelli che scrisse "Ed in tanta rotta e in si lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò".
Il rientro dei Medici nel 1512 Il Cardinale Giovanni de’Medici rientrò a Firenze nel 1512 con suo fratello Giuliano e il figlio dello sfortunato Piero, Lorenzo. Giuliano e Lorenzo, nel primo decennio del Cinquecento furono a capo di due nuove compagnie, rispettivamente quella del Diamante e quella del Broncone, con l’incarico di organizzare i festeggiamenti per il Carnevale. Per il Carnevale del 1513 il giovane Pontormo dipinse alcuni pannelli dei carri trionfali di entrambe le compagnie, a questo genere di attività parteciparono altri grandi pittori. Stemma mediceo presso la villa di Careggi
Le feste Nel capitolo del Principe, dedicato a quanto conviene ad un signore perché sia stimato, Machiavelli esprime alcune raccomandazioni che pare siano state applicate immediatamente a Firenze dopo il ritorno dei Medici. “Debbe oltre a questo, ne’tempi convenienti dell’anno, tenere occupati e’ populi con le feste e spettaculi”. La stagione che a Firenze fa seguito al ritorno della famiglia medicea in città e l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni de’Medici col nome di Leone X nel 1513 è stata definita “età dell’oro” dal Vasari, per le feste organizzate dalle compagnie del Diamante e del Broncone. Per tutte le feste fu dato incarico a uomini di lettere perché ne studiassero l’invenzione. Rosso Fiorentino, attribuita, ritratto di Niccolò Machiavelli
Papa Leone X Nel marzo del 1513 il Cardinal Giovanni divenne pontefice col nome di Leone X. Appena eletto egli elevò al cardinalato familiari e amici, dal cugino Giulio de’ Medici a Bernardo Dovizi da Bibbiena (l’autore della Calandria). L’agosto del 1513 segnò un avvicendamento al potere dei Medici, per l’andata a Roma di Giuliano che fu sostituito da Lorenzo. La prospettiva di una imminente visita di papa Leone X nella sua Firenze diede inizio ad una serie di opere pubbliche importanti. Raffaello, Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, 1518-1519, Firenze, Galleria degli Uffizi
Leone X a Firenze nel 1515 Il 30 novembre 1515 Leone X entrò trionfalmente a Firenze dove si trattenne, salvo una breve visita a Bologna, fino al febbraio del 1516. Il suo percorso si snodava da Porta Romana e si chiudeva agli appartamenti d’onore del convento di Santa Maria Novella, che per l’occasione furono sottoposti ad un complesso riassetto Facciata della Basilica di Santa Maria Novella, cui è annesso il convento Veronica di Pontormo, Cappella dei Papi, Convento di Santa Maria Novella a Firenze
La facciata di San Lorenzo Le attenzioni del pontefice, pur rivolte principalmente alle grandiose commissioni romane, che coinvolgevano il Sanzio e i suoi aiuti, si appuntarono a Firenze sulla chiesa di famiglia, la brunelleschiana basilica di San Lorenzo che era ancora priva della facciata al pari di tante altre chiese fiorentine. Nel 1516 fece bandire un concorso per dare compimento alla fabbrica. Esso fu vinto da Michelangelo, che si occupò dei materiali e della costruzione di un modello della facciata in creta, ma Leone rescisse il contratto nel 1520 e l’opera non fu mai compiuta. La Basilica di San Lorenzo è una delle maggiori chiese di Firenze, situata nell'omonima piazza sede di mercato nel centro della città. Fu la parrocchia della famiglia Medici che aveva il palazzo di famiglia a pochi passi.
La sagrestia nuova in San Lorenzo Al Buonarroti venne chiesto nel 1519, dal cardinal Giulio de’Medici, col consenso del papa, di progettare e costruire in San Lorenzo una cappella, per ospitarvi le spoglie dei fratelli Giuliano e Lorenzo il Magnifico e quelle di Giuliano, fratello del pontefice, scomparso prematuramente nel 1516 e di Lorenzo suo nipote che sarebbe morto nel 1519. Michelangelo decise di porre i sepolcri lungo le pareti della cappella, ma la morte del papa nel 1521 causò molti rallentamenti nei lavori, che si conclusero soltanto col riordinamento vasariano del 1559, al tempo del duca Cosimo de’Medici. Sagrestia Nuova, tomba di Giuliano de’Medici
Palazzo Medici Riccardi Il palazzo è un'opera del Michelozzo commissionato da Cosimo il Vecchio, fu iniziato nel 1444 e restò residenza di famiglia per oltre un secolo, fino al trasferimento della Corte medicea in Palazzo Vecchio. Il palazzo era ed é situato in un luogo strategico all'incrocio fra la Via Larga (l'attuale Via Cavour) e Via De' Gori, vicinissimo alle chiese protette dalla famiglia (San Lorenzo e San Marco) ed al Duomo. La sua facciata é un capolavoro di sobrietà ed eleganza, con l'uso delle bifore con archi a tutto sesto e del bugnato graduato, cioè con pietre molto sporgenti al pian terreno, più appiattite al primo piano e lastre lisce ed appena incorniciate al secondo piano, che mettono così in rilievo il naturale alleggerimento dei volumi verso l'alto. Palazzo Medici Riccardi, veduta da via Cavour
Palazzo Vecchio Palazzo Vecchio si trova in Piazza della Signoria ed è la sede del comune della città e di un museo. Alla fine del XIII secolo la città di Firenze decise di costruire un palazzo per assicurare ai magistrati protezione in quei tempi turbolenti, e prestigio. Il palazzo fu sede di diversi governi e nel tempo fu sottoposto a modifiche, ma le più importanti avvennero nel periodo 1440-60 sotto Cosimo de' Medici. Fra il 1540 e il 1550 fu la casa di Cosimo I de' Medici che ne fece raddoppiare il volume. Il nome venne cambiato ufficialmente quando Cosimo si spostò a Palazzo Pitti e chiamò la precedente residenza Palazzo Vecchio. Il palazzo guadagnò nuova importanza quando fu sede del governo provvisorio nel periodo 1865-71, quando Firenze divenne capitale del Regno d'Italia.
La villa medicea di Poggio a Caiano In ultimo, il papa, nel suo evidente desiderio di dar compimento a quanto iniziato dal padre Lorenzo, nel 1520 decise di far decorare il grande salone della villa medicea di Poggio a Caiano, fatta costruire dal Magnifico negli anni Ottanta del Quattrocento. Così, su incarico del cardinal Giulio de’Medici e con l’intermediazione di Ottaviano de’Medici, furono affidati ad Andrea del Sarto il Tributo a Cesare, un chiaro rimando agli omaggi resi a Lorenzo il Magnifico e al Pontormo il mito di Vertumno e Pomona dal significato allegorico ancora discusso, ma in linea col programma iconografico e celebrativo dei Medici ideato dall’erudito Paolo Giovio. Villa medicea di Poggio a Caiano
Pontormo, affresco, 1519-1520 ca. Villa medicea, Vertumno e Pomona Con gli affreschi di questa sala si è voluta realizzare la celebrazione della casata medicea e in particolare la lunetta commemora la nascita, avvenuta nel giugno 1519, di Cosimo, futuro granduca di Firenze. Il dipinto vuol illustrare l’oroscopo tracciato il giorno di quella nascita. I personaggi sono raffigurati con un naturalismo e un tono quotidiano sconosciuto alla pittura fiorentina, e le divinità sono rappresentate secondo l’ideale di una serena vita rustica che era stato cantato da Poliziano e dallo stesso Lorenzo il Magnifico, padre di Leone X. Pontormo, affresco, 1519-1520 ca. Villa medicea, Poggio a Caiano (Fi)
Il manierismo Il manierismo è una tendenza stilistica nell'arte, sviluppatasi tra il primo e l'ultimo decennio del XVI secolo, principalmente tra Roma, Mantova e Firenze, e rapidamente diffusasi in Italia e in Europa. Esso si allontana dall'equilibrio dell'arte rinascimentale prediligendo piuttosto la complessità, la drammaticità, il movimento. Occorre specificare tuttavia, che il manierismo non si sviluppò come reazione e rifiuto totale ai canoni del Rinascimento, bensì fiorì dal suo interno, esasperando alcuni elementi già presenti nell'opera di maestri come Raffaello e Michelangelo. Tra i principali rappresentanti del manierismo fiorentino si possono ricordare Rosso Fiorentino, Pontormo e l’allievo prediletto di quest’ultimo Agnolo Bronzino. Allegoria del trionfo di Venere Bronzino 1540-1545 Londra, National Gallery
Jacopo Carucci detto il Pontormo Jacopo Carucci nasce a Pontorme di Empoli nel 1494, poi si trasferisce a Firenze nel 1508. Fra i suoi maestri figura Andrea del Sarto, alla cui bottega approda nel 1512 e dove lavora insieme a Rosso Fiorentino. Nel 1515 realizza la Veronica nella cappella del papa in Santa Maria Novella, dove è già evidente l’influenza di Michelangelo. Nel 1518 lavora alla Pala Pucci che rappresenta una sorta di manifesto della svolta “anticlassica” dell’artista. Un altro suo importante capolavoro è la Visitazione che allude a tendenze riformistiche di carattere savonaroliano. Infatti l’incontro tra le due donne, la Madonna e sant’Elisabetta, madre del Battista, tradizionalmente simbolo del passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, poteva essere inteso come l’abbraccio tra la vecchia chiesa romana e la nuova cattolicità riformata. Diventato celebre, il Pontormo viene chiamato a lavorare dalla famiglia Medici. Pontormo, Visitazione,1528 ca. Carmignano (Firenze), pieve di San Michele
Giovan Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino Rosso Fiorentino (Firenze,1494 – Fontainebleau, Francia, 1540) fu uno dei principali esponenti del manierismo nella pittura. Come il Pontormo fu allievo di Andrea del Sarto e partendo dalle costruzioni equilibrate del suo maestro, ne forza le forme esprimendo un mondo inquieto e tormentato. Con Rosso Fiorentino il manierismo si realizza in forme estreme che rasentano la blasfemia o l’iconoclastia pittorica quando dipinge scene sacre come nella Vergine con Sant'Anna di Los Angeles dove i colori si rarefanno e il disegno arriva a dei picchi di espressionismo che rasentano la caricatura, come nel profilo di Sant'Anna e nelle braccia scheletriche che fanno pensare all'arte tedesca del Novecento. Nel 1531 si trasferì in Francia dove fu nominato pittore di corte. Madonna col Bambino sant'Elisabetta (o sant'Anna?) e san Giovannino, 1520 circa, Los Angeles, Country Museum of Art
Il manierismo nell’architettura Tra gli scultori manieristi si possono citare il Giambologna, fiammingo ma attivo in Italia, e lo scultore e orafo fiorentino Benvenuto Cellini. In ambito architettonico tra le più importanti opere manieriste si annoverano Palazzo Te di Giulio Romano a Mantova (1525), e i progetti di Michelangelo per la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (1524-1559). Mantova, Palazzo Te, loggia Giambologna, Fontana del Nettuno, Bologna, 1563-1566
La Biblioteca Medicea Laurenziana La Biblioteca Medicea Laurenziana è una delle principali raccolte di manoscritti al mondo, che custodisce oltre 11.000 volumi, nonché la maggiore collezione italiana di papiri egizi. Vi si accede dai chiostri della Basilica di San Lorenzo, da cui il nome Laurenziana. Medicea deriva invece dal fatto di essere nata dalle collezioni librarie di membri della famiglia Medici. I locali della Biblioteca furono disegnati per il Cardinale Giulio de’Medici poi Papa Clemente VII da Michelangelo, che tra il 1524 e il 1534 diresse personalmente il cantiere. La biblioteca è una delle maggiori realizzazioni dell'artista fiorentino in campo architettonico, importante anche per il raro decoro di arredo interno, giunto in buono stato fino a noi. Biblioteca Medicea Laurenziana, iniziata nel 1524 e aperta nel 1571
La scalinata tripartita disegnata da Michelangelo Nel Vestibolo della Biblioteca Mediceo Laurenziana è presente la celebre scalinata tripartita disegnata dal Buonarroti per essere realizzata in legno e che poi Bartolomeo Ammannati eseguì in pietra serena. Per la prima volta si può riconoscere un'anticipazione dello stile barocco che di lì a poco avrebbe invaso l'Europa. Se infatti le linee rette delle parti laterali sono pienamente rinascimentali, i grandi gradini centrali di forma ellittica, come una immaginaria colata di pietra, sono un’invenzione originale di Michelangelo; questa particolare linea curvata fu usata anche nei sepolcri medicei della Sagrestia Nuova e nelle arcate del Ponte Santa Trinità. Scalinata tripartita nel vestibolo della Biblioteca Medicea Laurenziana, disegnata da Michelangelo e realizzata in pietra serena da Bartolomeo Ammannati nel 1559
Rigurgiti savonaroliani e predicazione apocalittica Nel secondo decennio del Cinquecento fiorivano rigurgiti savonaroliani a Firenze, che produssero un proliferare di predicatori. Nella città si respirava un clima millenaristico, reso più cupo dall’insistenza di predicazioni apocalittiche di cui riferisce anche Machiavelli in una lettera al Vettori del 1514: “Di qua non ci è che dirvi, se non prophezie et annunzii di malanni: che Iddio, se dicono le bugie gli facci annullare; se dicono il vero, gli converta in bene”. Questo clima ha sicuramente inciso nell’espressione figurativa del tempo ed ebbe un esito pratico nel 1517 quando, durante un concilio fiorentino, fu proibita espressamente la predicazione apocalittica. Santi di Tito, ritratto di Machiavelli, Palazzo Vecchio, Firenze
La Madonna delle arpie di Andrea del Sarto I Sintomi specifici dell’atmosfera descritta precedentemente sono facilmente rintracciabili nella Madonna delle arpie di Andrea del Sarto, una pala d’altare del 1517. Il dipinto fu commissionato dai frati del convento di Santa croce, proprio là dove Machiavelli lamentava la presenza di un predicatore che quotidianamente assillava i fedeli con i suoi vaticini di sventure. Il fumo e le figure mostruose che si trovano sul basamento ai piedi della Vergine richiamano una pagina dell’Apocalisse che Giovanni è ritratto nell’atto di scrivere, mentre usualmente egli viene rappresentato nell’atto di scrivere il suo Vangelo. Andrea del Sarto, Madonna delle arpie, 1517, Uffizi Firenze
La Madonna delle arpie di Andrea del Sarto II In quest’ipotesi di interpretazione, la scena sulla pala dovrebbe legarsi all’esordio del capitolo IX del libro di Giovanni, quando dal pozzo dell’abisso, scoperchiato per dar l’avvio al quinto flagello, uscì fumo e dal fumo uscirono cavallette che dalla descrizione di Giovanni risultano affini ai mostri dipinti da del Sarto. Le cavallette avevano il compito di portare sulla terra morte e distruzione, risparmiando soltanto gli uomini che avessero impresso sulla fronte il sigillo di Dio. Tale sigillo, conformemente alle letture profetiche allora vigenti, sarebbe stato raccolto da San Francesco, a sua volta effigiato sulla tavola, e diffuso fra gli uomini nella sua missione salvifica. Inoltre, nella “Legenda maior” di San Bonaventura San Francesco è rappresentato come l’angelo del sesto sigillo. Il basamento con le arpie, particolare della Madonna delle arpie di Andrea del Sarto
La Pala Pucci del Pontormo I Anche la tavola dipinta dal Pontormo per la cappella funebre di Giovanni Pucci nel 1518, detta appunto Pala Pucci, può essere riletta alla luce di problematiche religiose in auge allora. Qui appaiono nuovamente San Giovanni e San Francesco, effigiati sicuramente in virtù dell’omonimia col committente e col padre di lui, ma presenti con un forte risalto sulla pala, quasi come il protagonista Giuseppe, che per volontà espressa nel testamento del Pucci doveva essere dedicata allo sposo della Vergine. Madonna con bambino e santi, 1518, olio su cartone cm 214*185, detto anche Pala Pucci, chiesa di San Michele Visdomini, Firenze
La Pala Pucci del Pontormo II Qui Giovanni sta redigendo il suo vangelo, ma non sta scrivendo l’incipit classico “In principio erat verbum…” bensì vengono omesse le prime parole per iniziare con “Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes…” che se da un lato evoca nuovamente il nome del padre del committente, dall’altro rimanda alla missione del Battista come ultimo profeta mandato da Dio. Anche San Francesco, nella Legenda maior di San Bonaventura, non rappresenta soltanto l’angelo del sesto sigillo, ma anche “un altro Battista” inviato da Dio per preparare la strada al rinnovamento dell’uomo e della chiesa. Pontormo, Pala Pucci, particolare
La disputa della Trinità di Andrea del Sarto Nella pala d’altare, dipinta nel 1517 da Andrea del Sarto, e raffigurante una disputa sulla Trinità, lo Spirito Santo, normalmente effigiato come una colomba, non c’è. Appare tuttavia una tempestosa e stracciata nube violacea, in cui quasi flottano il padre, avvolto in un mantello vermiglio, e il figlio crocefisso. Verosimilmente la pala rappresenta Sant’Agostino, autore di un importante trattato sulla Trinità. E’ proprio Sant’Agostino nel De Trinitate a proporre di riconoscere nella nube, nelle folgori e nel fumo, che nell’Esodo precedono la trasmissione del Decalogo a Mosè, una rivelazione dello Spirito Santo. Ed è verosimile che in una città in cui si moltiplicavano i profeti, soprattutto di sciagure, e dalla paura di una imminente fine del mondo, per dar figura allo Spirito Santo del Sarto preferisse una nube minacciosa ad una colomba. Andrea del Sarto, Disputa della Trinità, 1518 ca., Palazzo Pitti, Firenze. Sotto particolare.