La Regola della comunione Appunti sulla comunione nella Regola di San Benedetto Elaborazione a cura delle Monache Benedettine di S. Margherita Fabriano.

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La Regola della comunione Appunti sulla comunione nella Regola di San Benedetto Elaborazione a cura delle Monache Benedettine di S. Margherita Fabriano

La Regola di San Benedetto alla quale fa riferimento non solo una comunità monastica cenobitica, ma, gli Oblati benedettini e tutti coloro che lo assumono come strumento di orientamento per un cammino spirituale, esige da ciascuno una tensione verso la comunione, animata dai valori umani più profondi, secondo l’annuncio evangelico: Dio ci ama di un amore immenso e perciò anche noi dobbiamo amarci gli uni altri. In questo consiste tutta la perfezione evangelica: vivere in modo tutto particolare ed esclusivo una vita di amore verso Dio e verso i propri simili.

La Regola benedettina orienta a vivere come veri cristiani, i chiamati che grazie all’iniziativa di Dio vogliono rispondere alla vocazione di vivere in comunità, unanimi in un solo Spirito. Il cenobio o monastero, è il luogo della ricerca della verità e del dialogo. La tradizione monastica ne ha sottolineato da sempre la necessità. Il dialogo e l’ascolto stanno alla base della comunità: ogni membro infatti è chiamato a offrire il suo contributo e il suo consiglio in caso di qualsiasi problema di natura spirituale o di natura temporale, economica, sociale, politica. Questo risalta nel capitolo 3 della Regola.

Sorgente della comunione è Dio, Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il monachesimo nasce per ascoltare la suggestione dello Spirito che conduce per i suoi sentieri e raduna i cristiani che insieme zelano il culto di Dio e cercano il Regno di Dio e la Sua giustizia. Da qui l’impegno a dare alla Trinità il primo servizio, per scegliere Cristo che viene prima di ogni cosa. Dal primo momento della giornata San Benedetto vuole i suoi figli vigili nell’attesa di incontrare l’Amico, il Maestro, il Signore, il Padre delle misericordie. Questo incontro avviene nella Preghiera, nella celebrazione Eucaristica conversando con i fratelli, lavorando, svolgendo qualsiasi attività, perfino quando si dorme e si riposa.

…i monaci si tengano sempre pronti, e appena è dato il segnale, si alzino senza indugio e si affrettino cercando di prevenirsi a vicenda nell’andare all’Opera di Dio… e quando si alzano… si esortino a vicenda, con garbo… Capitolo 22

L’immagine dei monaci che con slancio e ed entusiasmo, si recano all’Opera di Dio, è segno e testimonianza dell’anelito alla Comunione con Dio e con i propri fratelli. La tensione alla comunione e la ricerca dell’unità nella Regola è indicata dalla centralità di Cristo, amato desiderato e cercato.

Cristo “medico e Buon Pastore” sono le immagini della sollecitudine dell’Abate e della comunità nei confronti di un fratello o di una sorella che a causa di una mancanza rompe il rapporto di comunione con Dio, con la propria famiglia monastica e con la Chiesa intera. Tra i capitoli chiamati disciplinari, il 27 richiama il modo evangelico di risolvere i problemi di rottura della comunione facendo prevalere il sentimento della compassione e della misericordia secondo l’insegnamento di Gesù.

L’abate si prenda cura dei fratelli più colpevoli con la più amorevole premura, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Imiti l’esempio di amore fedele dato dal buon Pastore che, lasciate sui monti le sue novantanove pecore, andò alla ricerca di quella sola che si era smarrita Capitolo 27

La tensione alla comunione unita ad una visione sacramentale, abbraccia la Regola e il pensiero monastico nella sua globalità. Essa appare nel richiamo ad illustrare la figura dell’Abate, dell’ospite, del pellegrino, del povero e dell’infermo. Ogni persona rappresenta Cristo, autore e sorgente di unità, perciò cercando e riconoscendo Lui in ogni situazione si cammina verso la comunione.

Prima di tutto ci si deve prendere cura dei fratelli malati, servendoli veramente come Cristo in persona… Capitolo 36

Il richiamo all’importanza dello stare e vivere insieme delle persone, in un cenobio, permea tutta la Regola benedettina fino alle sfumature, lasciando intuire un profumo di bellezza, di gioia e di pace. Il Capitolo 42 per esempio scritto per raccomandare il silenzio nelle ore della notte, insiste anche sull’ultimo momento della giornata a viverlo insieme nell’ascolto delle letture…

…appena si alzano dalla cena, si radunino ancora e siedano tutti insieme per ascoltare la lettura delle Conferenze e o delle Vite dei Padri o qualche altro testo che edifichi gli uditori… Quando tutti saranno riuniti, si celebri Compieta.. Capitolo 42

Lo Spirito ha convocato le persone in uno stesso Cenobio. Da quel momento esse insieme pregano, insieme lavorano, insieme ascoltano le letture, insieme soffrono, insieme mangiano e insieme concludono la giornata. Anche dopo cena, la comunità continua a radunarsi quasi a significare l’andare insieme verso il compimento del proprio destino, tanto che la preghiera conclusiva della giornata è chiamata “Compieta”.

Lo stare insieme nel Cenobio non si riferisce ad una unione esteriore o esterna legata all’unico luogo, quanto piuttosto a una unione di cuori, di intenti, di propositi e di professione di fede. Una unione che si fonda sulla unione che intercorre tra Cristo e la sua Chiesa, la quale è come sacramento e icona della Santa Trinità, sorgente di comunione.

L’amore ha una gamma infinita di espressioni! Nella Regola di San Benedetto c’è un capitolo che riassume tutta la bellezza, l’altezza e la profondità del vivere insieme, cercando la comunione con Dio e con gli altri. Si tratta del capitolo 72 che individua nello “zelo buono” il punto centrale della ricerca e della tensione verso l’unità.

La Koinonia (o comunione) è il segno sacramentale dell’unione escatologica che si raggiunge coltivando un amore ardente verso Dio, nell’attenzione all’altro, nel nutrire sentimenti di stima verso tutti, nel sopportare pazientemente infermità fisiche e morali, nel prendere il costante impegno della obbedienza reciproca, nel ricercare il vantaggio degli altri, nel voler bene e sinceramente al proprio Abate. Tutti insieme nel seguire Cristo che conduce alla vita eterna.

…c’è uno zelo buono, che allontana dai vizi e avvicina e Dio e alla vita eterna… Questo è lo zelo che i monaci devono coltivare con il più ardente amore:

… si prevengano nello stimarsi a vicenda; sopportino con instancabile pazienza le loro infermità fisiche e morali; facciano a gara nell’obbedirsi a vicenda; nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello degli altri; amino con cuore casto tutti i fratelli; temano Dio con trasporto d’amore vogliano bene al loro abate dimostrandogli una carità umile e sincera; nulla assolutamente antepongano a Cristo ed egli ci conduca tutti insieme alla vita eterna. Capitolo 72

U.I.O.G.D.