Lezioni di diritto processuale civile pp11

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Lezioni di diritto processuale civile pp11 Anno accademico 2013/2014

L’appello

1. L’appello, da gravame ad impugnativa in senso stretto e revisio priori istantiae, l’inesorabile evoluzione.

L’appello come novum judicium L’appello è nato storicamente come un mezzo di gravame, dunque: con lo stesso oggetto del giudizio di primo grado, in virtù dell’effetto devolutivo; con effetto integralmente sostitutivo: la sentenza di appello sostituisce sempre quella di primo grado.

L’appello come nuovo giudizio di primo grado L’appello nella originaria concezione tardo romanistica e del diritto intermedio coincideva pertanto con un giudizio di primo grado rinnovato sullo stesso oggetto e quindi la tecnica della stesura degli atti dell’appello tendenzialmente rinviava alla tecnica di stesura degli atti del giudizio di primo grado: formulazione di eccezioni e prove, anche nuove, nel solco della domanda originaria.

l’appello del codice napoleonico E’ con la rivoluzione francese che l’effetto devolutivo viene attenuato attraverso l’espansione del principio dispositivo: la devoluzione ha maggiore o minore ampiezza in funzione dell’ambito oggettivo dell’atto di appello, ovvero dipende dal motivo di appello formulato dall’appellante, dai capi di sentenza o questioni sulle quali si intende sia rinnovato il giudizio.

evoluzione Sia il legislatore, con alcuni fondamentali interventi, sia la giurisprudenza, particolarmente della S.C., hanno modificato l’originario impianto dell’istituto spingendolo verso il modello di un mezzo di impugnazione in senso stretto e rigida revisio priori istantiae, che ha ad oggetto la sentenza con i suoi vizi e non la fattispecie o il diritto che ha origine da essa: il motivo ha perso la natura di misura dell’effetto devolutivo per spostare l’oggetto dell’istituto e trasformare l’appello in impugnazione mera, le nuove difese sono tendenzialmente vietate.

2. L’evoluzione legislativa

Il divieto di nova Con una scelta compiuta in occasione delle riforme del 1990 (legge n. 353 del 1990), sulla scia del rito speciale (legge n. 533 del 1973, che aveva novellato l’art. 437 c.p.c.), il mezzo, che consentiva originariamente la massima apertura alle difese, con il solo limite della domanda, è stato assoggettato ad un regime di divieto di nova.

Revisio priori istantiae In questo modo, pur avendo astrattamente un oggetto identico al giudizio di primo grado, è in realtà giudizio rinnovato esclusivamente su difese già espresse nel grado precedente, essendo vietate di norma nuove domande, eccezioni nuove se riservate alla parte, nuove prove (art. 345 c.p.c.).

Conseguenze sulla tecnica degli atti Ne consegue che l’appellante, come l’appellato, non possono introdurre in appello difese nuove, rispetto a quelle già introdotte, ma neppure difese modificate (emendatio), il cui potere si è consumato all’udienza o nella prima memoria dell’art. 183 c.p.c., in primo grado.

Deroghe - 1 diritti che si accrescono nel tempo Il primo comma dell’art. 345 c.p.c. prevede, tuttavia, una deroga al divieto di domande: per i diritti che si accrescono nel tempo, è consentito allegare i fatti successivi alla udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado e chiedere la tutela delle componenti del diritto successive (interessi, danni, ecc.), purché essi siano già stati oggetto di domanda nel primo grado, per le componenti del diritto già maturate.

Deroga - 2 fatti sopravvenuti Altra ipotesi di deroga è la domanda o l’eccezione fondata su un fatto sopravvenuto: es. le domande restitutorie, indotte dall’ottemperanza obbligata della sentenza di primo grado esecutivo: è necessario esplicitare queste domande nuove in appello; es. il pagamento o l’adempimento indotto dalla stessa sentenza, deve essere eccepito formalmente.

Deroga – 3 Intervento volontario in appello L’art. 344 c.p.c. regola l’intervento di terzi in causa e lo consente ai terzi titolari di diritti connessi in modo “forte” al diritto dedotto originariamente, terzi legittimati alla opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.

I terzi titolari di diritti incompatibili Giungono nel processo di appello con un nuova domanda a tutela del loro diritto incompatibile, formulano una nuova domanda ed inducono, per esigenze di contraddittorio, una eventuale nuova domanda, eccezione e prova alle parti originarie.

I terzi titolari di diritti dipendenti Al contrario i terzi titolari di diritti dipendenti, che subiscono il giudicato inter alios, accedono al processo ad adiuvandum, ovvero per sostenere le posizioni della parte del cui destino hanno interesse, non hanno il potere di formulare domande, dunque non inducono un nuovo oggetto dell’appello.

Deroga - 4 eccezioni rilevabili d’ufficio E’ poi consentita la formulazione di eccezioni rilevabili d’ufficio, ovvero la maggior parte delle eccezioni, secondo la disciplina dell’art. 112 c.p.c. che introduce un regime di eccezionalità alle eccezioni riservate alla parte, con la conseguenza di riaprire per esigenze di contraddittorio alla formulazione di nuove domande ed eccezioni delle altre parti.

Deroga - 5 rimessione in termini su domande ed eccezioni Esiste infine la remissione in termini, che il legislatore regola solo in relazione alle prove, nel 3° comma dell’art. 345 c.p.c., ma che per la formulazione trasmigrata nel libro primo della regola generale (art. 153 c.p.c.), può giustificare la formulazione anche di nuove domande o eccezioni, quando la decadenza nel grado precedente è incolpevole.

Deroga - 6 remissione nei termini sulle prove Infine, esiste una deroga in relazione alle prove per previsione espressa del 3° comma dell’art. 345 c.p.c., grazie alla remissione in termini: perciò l’appellante o l’appellato possono introdurre nuove prove se dimostrano di esserne decaduti incolpevolmente.

Deroga – 7 indispensabilità della prova Prima della riforma del 2012 (legge n. 134 del 2012), le “prove” che il giudice di appello riteneva indispensabili, concetto che non aveva,come non ha, una traduzione logica-giuridica certa e ha suscitato vasto dibattito, in dottrina e giurisprudenza, la prima più liberale, la seconda più severa in sede applicativa.

Residuo rilievo del concetto di indispensabilità La disposizione è trasmigrata invece nell’appello avverso le ordinanze del rito abbreviato, all’interno dell’art. 702 – quater c.p.c., dove sono ammesse prove nuove purché indispensabili e nell’immutato art 437 c.p.c. per il rito del lavoro e riti assimilati.

La ratio La ragione della diversità dell’appello avverso l’ordinanza sommaria era costituita dal fatto che solo in occasione dell’appello si svolgeva per la prima volta un giudizio a cognizione piena con le sue forme, in una sorta di grado unico, in cui poteva spiegarsi il diritto alla prova della parte.

Le prove precostituite Erano soggette alla valutazione di “indispensabilità” anche le prove precostituite, come i documenti, per molto tempo escluse, sulla scia di una giurisprudenza affermatasi nella interpretazione della disposizione parallela dell’art. 437 c.p.c. e fondata sull’improbabile ragionamento che tali prove non implicano dispendio di attività processuale e dunque non inducono ritardi nel processo. L’orientamento è stato superato dalla S.C. nel 2005, con regola tradotta nel diritto positivo con la legge n. 69 del 2009.

Le ragioni del concetto di prove indispensabili Le ragioni che avevano spinto il legislatore ad adottare il concetto, vanno ricercate in un’irrazionale ripetizione del termine usato nell’art. 437 c.p.c., dove aveva una ragione profonda di essere, essendo il veicolo di un esercizio in appello dei poteri istruttori più accentuati del giudice del lavoro, il quale non poteva avere le mani legate dalle decadenze in cui erano incorse le parti.

Le difficoltà di applicazione nel rito ordinario Recuperato nel rito ordinario, il concetto appariva di difficile traduzione; ma non traducibile in quello di prova rilevante, ovvero riferita ad un fatto che ha rilevanza nel processo per essere costitutivo, estintivo, modificativo e impeditivo o secondario, poiché in questo modo il divieto di nova veniva abrogato.

Le conseguenze del nuovo art. 702 - quater Il diverso appello che contraddistingueva il rito sommario degli artt. 702 - bis e ss., ove erano ammesse, nella originaria previsione della legge n. 69 del 2009 nuove prove purché rilevanti (concetto poi ricondotto con le legge n, 134 del 2012 al concetto di indispensabilità) offriva una ragione di diritto positivo per escludere l’applicazione di questa interpretazione all’appello di diritto comune, con una conseguente diversificazione, sancita dal legislatore, tra prova “rilevante” e prova “indispensabile”.

Tentativo di interpretazione Anche la stessa giurisprudenza appariva stereotipata; non spiegava attraverso una costruzione generale come tradurre il concetto: non restava che collegare la indispensabilità alle eccezionali riaperture a domande ed eccezioni, che abbiamo inquadrato in precedenza. Prova decisiva è quella necessaria e rilevante in appello perché destinata a provare nuove allegazioni, nei casi soli casi in cui sono ammesse in appello.

Ipotesi Le ipotesi: prove destinate a provare i fatti costitutivi o eccezioni sopravvenute; prove destinate a provare eccezioni rilevabili d’ufficio e i fatti costitutivi o le eccezioni indotte dal contraddittorio; prove destinate a provare i fatti costitutivi delle domande formulate dal terzo o delle domande ed eccezioni indotte dal contraddittorio delle parti originarie.

esercizio di un potere discrezionale La dottrina processualistica ha invece coniato un concetto più ampio: indispensabile perché destinato a mutare il giudizio reso in primo grado o a rafforzarlo con un nuovo mezzo istruttorio. Deve perciò intendersi come esercizio di un potere discrezionale del giudice di appello, attraverso il quale può avere “margini di manovra” per rovesciare il giudizio palesemente ingiusto oppure rafforzare definitivamente il giudizio palesemente giusto. Sulla scia di un’accentuazione dei poteri istruttori del giudice, che costituisce filone evolutivo della legislazione attuale (cfr art. 281 – ter c.p.c.).

La nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c.: solo rimessione in termini Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. E’ soppressa l’ammissibilità della “prova indispensabile”; è consentita la sola rimessione in termini.

il residuo spazio alla indispensabilità Se si intende che le prove nuove sono al servizio di nuove domande ed eccezioni ammesse, restano consentite comunque per provare le relative allegazioni di fatto.

soppressione del potere discrezionale Se invece si intende l’indispensabilità come esercizio di un potere discrezionale del giudice di appello in ordine alla sentenza ingiusta da riformare o alla sentenza giusta da confermare, questo potere è stato soppresso.

3. La giurisprudenza sulla specificazione del motivo come condizione di ammissibilità.

Il problema del motivo in appello E’ noto come in coincidenza con il nuovo millennio, il giudice di legittimità ha esasperato il rilievo del motivo in appello, pur dovendo riconoscere che l’appello costituisce un mezzo impugnatorio a motivi di critica libera, ha sancito l’inammissibilità dell’appello in difetto di specificazione del motivo

il vecchio orientamento In merito all'esigenza di specificità dei motivi, per anni la giurisprudenza ha costantemente affermato che essa deve ritenersi soddisfatta quando l'atto d'appello consenta di individuare senza incertezze il quantum appellatum ( C. 911/1980; C. 5965/1979); così ha ritenuto che fosse superflua qualsiasi specifica doglianza dedotta contro la decisione di primo grado, anche se chiaramente dichiarava l'inammissibilità dell'appello privo di specificazione dei motivi ( C. 703/1979). In questo modo è stata avallata l'interpretazione dottrinale tradizionale che accorda ai motivi specifici dell'impugnazione la mera funzione di identificazione delle parti della sentenza/questioni in cui la parte è risultata soccombente e di cui si domanda il riesame e dell’ambito dell’effetto devolutivo.

il nuovo Ora invece prevale un nuovo orientamento interpretativo, che propone una soluzione più rigorosa in ordine al significato ed alla funzione dei motivi specifici dell'impugnazione, attribuendo a questi ultimi, accanto alla funzione di identificare le parti della sentenza di cui si chiede il riesame, anche quella di individuare le ragioni della censura ( C. 2217/2007). In particolare, l'appello deve contenere, accanto ad una parte volitiva (“quantum appellatum”) una parte argomentativa idonea a contrastare i contenuti della sentenza impugnata con la indicazione della soluzione che si intende ottenere dal giudice di appello (C. 7190/2010).

Conseguenze della specificazione del motivo L’esasperazione del motivo incide inevitabilmente sull’oggetto dell’appello che spinge il mezzo verso un sindacato della sentenza, piuttosto che verso una rinnovazione del giudizio di primo grado sullo stesso oggetto, poiché è dato rilievo centrale all’errore o al vizio della sentenza, espresso nel motivo, che non identifica più solo la parte della sentenza impugnata.

L’onere di specificare il motivo Il giudice di legittimità, infatti, non rende solo necessaria la specificazione del motivo ex art. 342, 1° comma, c.p.c. come individuazione semplicemente del capo della sentenza censurata con riproposizione del mezzo difensivo già formulato, ma - per l’effetto sostitutivo - la indicazione dell’errore o del vizio e di come la sentenza di appello deve pronunciarsi per non incorrere nell’errore o nel vizio.

La traduzione positiva Art. 342: <<La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata>>

Corte di appello di Salerno, dep 1 febbraio 2013 Esige “non solo la proposizione di specifiche doglianze …, ma che le stesse si articolino nella indicazione (necessariamente espressa e precisa) delle parti del provvedimento motivatamente contestate e delle modifiche (corrispondentemente motivazionali) che vengono richieste”.

segue “la suddetta norma obbliga l’appellante ad indicare in primo luogo le parti della sentenza delle quali chiede la riforma, nonché le modifiche richieste, sicché è stato osservato che il lavoro assegnato al giudice dell’appello appare alquanto simile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio” delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento, con conseguente innesto – che appare quasi automatico, giusta l’impostazione dell’atto di appello – delle parti modificate, con operazione di correzione quasi chirurgica del testo della sentenza di primo grado”

conforme Conf. App., Roma 29 gennaio 2012, in Foro it., 2013, anticipazioni e novità, 38

4. La fondatezza del motivo nel merito come condizione di ammissibilità dell’appello.

Art. 348- bis, 1° comma c.p.c. “Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha ragionevole probabilità di essere accolta”

Art. 348-bis, 2° comma c.p.c. “Il primo comma non si applica quando: a) l’appello è proposto relativamente ad una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma; b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702-quater”

Rilievo del merito ai fini della ammissibilità Dunque non è più semplicemente la specificazione della motivazione, nei termini rigorosi della giurisprudenza, ma il merito del motivo a costituire presupposto di ammissibilità dell’appello, se il giudice non si convince che è ragionevole…

la discrezionalità illimitata La formula “ragionevole probabilità” introduce una discrezionalità illimitata del giudice di appello, essendo formula assai diversa dalla “manifesta infondatezza” per il ricorso per Cassazione dell’art. 360 – bis c.p.c. e 375 c.p.c., che integra il ben diverso concetto di abuso del mezzo di impugnazione, a fronte della abnormità del motivo.

delibazione sommaria, dubbi Si tratta invero di una delibazione sommaria del motivo di appello nel merito una sorta di previo giudizio di ammissibilità del mezzo, come nel giudizio per il riconoscimento della paternità era previsto originariamente e oggi è stato abrogato in relazione alla nota sentenza del giudice di legittimità costituzionale delle leggi? Un fumus dopo che il giudice ha espresso una cognizione piena di primo grado e il processo ha esaurito tutti i mezzi difensivi?

economicità inesistente Il giudice di appello non sarà agevolato, poiché la strozzatura che caratterizza oggi la decisione, diventerà strozzatura della delibazione preliminare di ragionevole accoglimento e il giudice di appello scrupoloso sarà oberato di una duplice attività (l’effetto era già raggiungibile a seguito della introduzione in appello della facoltà del giudice di decidere con sentenza a verbale ex art. 281 – sexies c.p.c., 352, ultimo comma c.p.c.,magari esercitabile in occasione della udienza fissata per la sospensiva ex art 283 c.p.c.)

Prima interpretazione Corte di appello di Roma, 30 gennaio 2013, in foro it., 2013, Anticipazione e novità, 35 Esclude la cognizione sommaria (superficiale, cautelare; parziale, dec ing.), e ritiene che l’istituto vada inserito nelle forme di abuso del processo, ovvero come manifesta infondatezza sulla scia della corrispondente norma per il ricorso in cassazione, quando cioè l’appello non giustifichi neppure il dispendio di un’attenzione da parte del sistema giustizia, Conf. App. Bari, 18 febbraio 2013, ivi

contra, App. Palermo, 25 marzo 2013 In un caso in cui la ragionevole probabilità di rigetto era fondata sui precedenti della Corte in relazione ad una controversia seriale, fondata quindi sulla giurisprudenza della Corte…

5. Profili processuali

altro riflesso: inammissibilità per difetto di specificazione L’inammissibilità per un insufficiente specificazione della motivazione (art. 342 c.p.c.) origina una sentenza di inammissibilità, con la conseguente necessità della precisazione delle conclusioni e dello scambio di comparse conclusionali e repliche (salvo l’art. 281 – sexies c.p.c.).

inammissibilità per non ragionevole probabilità di accoglimento: art inammissibilità per non ragionevole probabilità di accoglimento: art. 348-ter, 1° comma c.p.c. “All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91”

inammissibilità con ordinanza Nel caso della non ragionevole probabilità di accoglimento invece la decisione è immediata, alla udienza, con ordinanza: l’appellante deve replicare nei venti giorni dalla costituzione del convenuto (nel rito del lavoro, nei dieci giorni) in udienza, in caso di rilievo officioso pare necessario applicare l’art. 101, 2° comma, c.p.c.

non si applica l’art. 164 c.p.c. Il legislatore non consente alcuna sanatoria, a differenza dei difetti di formulazione della domanda nella citazione introduttiva ex art. 164 c.p.c., perché definisce in rito il processo di appello, impedendone la riproponibilità… anche se i termini per l’appello sono ancora aperti

Nuova ipotesi di decisione con ordinanza Oltre ai casi della competenza, della ordinanza a chiusura della istruttoria, della ordinanza del rito abbreviato, si tratta di una nuova ipotesi di decisione con le forme della ordinanza, con richiamo a nuove tecniche di stesura della pronuncia.

Art. 348-ter, 3° comma c.p.c. “Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per Cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello. In tal caso il termine per il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’articolo 327, in quanto compatibile”

effetto della declaratoria di innammissibità dell’appello L’effetto, oltre a quello della inammissibilità della riproposizione del mezzo ancorché ve ne fossero i termini, è quello di aprire ad un ricorso per Cassazione che ha ad oggetto la sentenza di primo grado e non l’ordinanza di inammissibilità (il carattere decisorio di quest’ultima deve tuttavia misurarsi con l’art. 111 Cost., se ne avveduto il legislatore???)

l’impugnativa in Corte di Cassazione della sentenza di primo grado La sentenza di primo grado sarà impugnabile in cassazione con alcune deroghe: il termine breve decorre dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza; il motivo spendibile in Cassazione è filtrato dal motivo specifico speso in appello (non si possono recuperare motivi non espressamente dedotti nel gravame precedente); per questa ragione non è spendibile il motivo di cui al n. 5 (vedi 4° comma di seguito)

Art. 348-ter, 4° comma c.p.c. “Quando l’impugnabilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4), dell’articolo 360”.

I limiti del sindacato innanzi alla Corte di cassazione ricorso per cassazione sugli stessi motivi di appello, come nel caso della ordinanza di inammissibilità per ragionevole probabilità…: è esclusa la spendibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.

Art. 360, 1° comma c.p.c. “Il numero 5) è sostituito dal seguente: 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”

Art. 436-bis c.p.c. “Art. 436 bis inammissibilità dell’appello e pronuncia. All’udienza di discussione si applicano gli articoli 348-bis e 348-ter”

Art. 447 bis, 1° comma c.p.c. e) all’articolo 447 bis, primo comma, è apportata la seguente modificazione: le parole “e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441” sono sostituite dalle seguenti “e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441”

estensione Estensione delle regole al rito lavoro e al rito delle locazioni.

Regime transitorio “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano nei giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata chiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”

6. Gli appelli speciali

L’art. 702 – quater c.p.c. La conclusione di un processo abbreviato in forma di ordinanza senza lo svolgimento di un grado secondo le regole ordinarie, offre un appello diverso da quello comune: il motivo ha minor rilievo (per essere la motivazione della ordinanza diversa dalla motivazione della sentenza); si esclude esplicitamente l’inammissibilità in caso di appello con ragionevole probabilità di non essere accolto (art. 348-bis, 2° comma, c.p.c.); possono essere ammesse prove nuove (art. 702 – quater c.p.c.), seppure indispensabili.

altri casi - su iniziativa di parte, ordinanze a chiusura dell’istruttoria ex art. 186 – quater c.p.c. per le condanne al pagamento di somme o alla consegna o rilascio di beni; - su iniziativa del giudice, sentenze a verbale ex art. 281 – sexies c.p.c., per le materie soggette al rito monocratico (a contrario ex art. 50 – bis c.p.c.); in entrambi i casi la de-formalizzazione del giudizio rende meno formale la specificazione del motivo.

gli appelli di rito camerale nelle controversie di famiglia Il rito camerale è irriducibile alle regole della cognizione piena e il sistema è colmo di episodi di rito camerale al quale viene affidata la tutela dei diritti in appello, particolarmente nel diritto di famiglia: i reclami avverso i decreti del tribunale per i minori (nuovo art. 38 disp att. c.c.); i reclami avverso le controversie di famiglia affidate al tribunale ordinario con rito camerale (modifica e revoca delle sentenza di sep e div. ; le competenze ereditate dal tribunale per i minorenni, dopo la legge n. 219 del 2012) gli appelli in forma camerale delle sentenze di separazione e divorzio (art. 709 – bis c.p.c. e art. 4, c. 15, legge n. 292 del 1970).

la tendenza verso una cameralizzazione dell’appello nel diritto di famiglia, conseguenze Per quanto il legislatore non sia sempre preciso (nel procedimento per separazione si ipotizza il rito camerale solo per la impugnazione delle sentenze non definitive art. 709 – bis, c.p.c.), la tendenza è verso appelli che seguono rigorosamente il rito camerale, ispirati alla non-disciplina dell’art. 739 c.p.c.

Il rito camerale apre alla tutela giurisdizionale dei diritti Quasi paradossalmente, avere affidato l’appello nelle controversie di famiglia al rito camerale vuole dire: avere conquistato una tempistica di esaurimento del procedimento non comparabile con la lentezza dell’appello comune; avere conquistato un gravame pieno, godendo della pienezza delle forme della tutela giurisdizionale dei diritti, per tre ragioni positive.

1) irriducibilità de rito camerale alle regole del processo di cognizione piena La riconquista delle garanzia, attraverso il reclamo camerale, è dovuta all’irriducibilità del relativo rito alle regole del processo a cognzione piena e particolarmente alle regole dell’appello comune: divieto dei nova (art. 345 c.p.c.) esasperazione del motivo di appello (artt. 342 e 348 – bis c.p.c.)

2) l’indisponibilità del diritto Peraltro un processo prevaso da decadenze com’è l’attuale processo a cognizione piena presenta anche l’ostacolo del carattere indisponibile dei diritti tutelati: particolarmente i diritto del minore, la cui conseguenza è la partecipazione al processo del p.m. e la conseguente inapplicabilità dell’art. 348 – bis c.p.c.

3) la motivazione del decreto Il rito camerale, poi, si conclude con provvedimenti, che hanno la forma del decreto, per i quali il dovere di motivazione del giudice è attenuato, ciò che ha evidenti implicazioni sul corrispondente onere dell’appellante di specificare la motivazione.

I rischi di una giurisprudenza sull’art. 708, c.c., c.p.c. Nonostante la semplicità del ragionamento, il timore è che la giurisprudenza possa riproporre la disciplina eversiva rispetto al dato positivo dei reclami avverso le ordinanze presidenziali: costruiti rigorosamente come revisio priori istantiae, ove non semplicemente non si possono dedurre nuove prove ma si ipotizza addirittura un insensibilità ai fatti sopravvenuti deducibili solo davanti al g.i.; sino ad inventare un’inammissibilità del reclamo dopo lo svolgimento nel procedimento della udienza innanzi al giudice istruttore. Ma qui si pone la lacuna legislativa nel coordinamento con il giudizio di merito, che non esiste nell’appello.

..e nelle controversie fallimentari Nell’ambito invece dei riti fallimentari caratterizzati dal c.d. modello camerale spurio (perché cela in realtà un processo a cognizione piena di rito speciale) il concetto della liberalità della specificazione del motivo e della libertà della prova in appello è codificato, cfr. artt. 18, 19 per il processo per la dichiarazione di fallimento; art. 99 per il processo di accertamento del passivo; art. 26 per i reclami contro i provvedimenti del giudice delegato e del tribunale.

natura dell’appello fallimentare Ne risulta un appello ove tutte le difese possono essere svolte ad esclusione di domande nuove, particolarmente in ordine alla prova; ed un appello in cui manca ogni riferimento alla specificazione del motivo ex art 342 c.p.c. o alla sua fondatezza ex art 348 – bis c.p.c.

7. Il procedimento dell’appello di diritto comune

sentenze appellabili L’art. 339 c.p.c., individua come appellabili: le sentenze di primo grado; salvo l’esclusione per legge (che non viola la Costituzione): sentenza in sede di opposizione agli atti esecutivi e del lavoro per valore inferiore a 25,82 euro. salva la volontà delle parti (revisio per saltum; e giudizio d’equità).

Sentenze equitative ex lege Per le sentenze equitative ex lege, art. 113, 2° comma, c.p.c., il legislatore prevede un appello limitato, quanto agli errores in iudicando alla violazione delle norme costituzionali, comunitarie e dei principi regolatori della materia, fermo restando il controllo sugli errores in procedendo.

Appello delle sentenze non definitive Le sentenze non definitive, che hanno ad oggetto questioni pregiudiziali o questioni preliminari di merito e inducono alla rimessione della causa in istruttoria, sono immediatamente appellabili o appellabili in forma differita, qualora la soccombente faccia riserva entro il termine per appellare o entro la prima successiva udienza innanzi al giudice, il tutto a pena di decadenza. In tal caso l’appello deve essere proposto unitamente a quello della sentenza finale (art. 340 c.p.c.)

Competenza E’ competente il giudice superiore, nella cui circoscrizione si trova il giudice di primo grado: tribunale per le sentenze del giudice di pace; Corte di appello per le sentenze del tribunale (art. 341 c.p.c.).

Forma Si applica all’appello la normativa per il giudizio di primo grado innanzi al tribunale, in quanto compatibile (art. 359), per cui l’atto introduttivo si propone con citazione, contenente gli elementi di cui all’art. 163, cui va ad aggiungersi il motivo di appello, con le formalità di contenuto già in precedenza evidenziate (art. 342).

Questioni oggetto di appello Sono oggetto di appello le questioni, corrispondenti a domande sulle quali le parti sono risultate soccombenti e ciò può accadere sia per l’attore in appello e sia per il convenuto in appello, il quale se soccombente a sua volta dovrà proporre appello incidentale, il quale a pena di decadenza dovrà essere contenuto nella comparsa di risposta depositata venti giorni prima dell’udienza (art. 343 c.p.c.). Lo stesso a valere per i terzi intervenuti (art. 105, 1° comma, c.p.c.) o il successore intervenuto (art. 111 c.p.c.)

Riproposizione di questioni In relazione alle questioni sulle quali il convenuto non è soccombente, semplicemente perché il giudice di primo grado non ha pronunciato su di esse, sarà necessaria la riproposizione e non il vero e proprio appello incidentale, riproposizione che dovrà essere tuttavia formulata nella comparsa di risposta, applicandosi le decadenze del rito ordinario (art. 346 c.p.c.)

Appello incidentale e riproposizione di questioni L’applicazione al processo di appello delle regole del processo di primo grado, in particolare le decadenze, rende ragione della necessità che l’appello incidentale e la riproposizione delle questioni su cui il giudice non si è pronunciato (domande ed eccezioni) siano formulate nella comparsa di risposta depositata nei termini.

Segue L’unica differenza tra appello e riproposizione concerne la parte contumace, poiché la comparsa che contiene l’appello incidentale (e non quella che contiene la mera riproposizione) deve essere notificata al contumace, ai sensi dell’art. 292 c.p.c.

Le questioni da riproporre Sono questioni da riproporre: le domande assorbite (la subordinata non esaminata per accoglimento della principale; l’alternativa quando il giudice ha accolto una delle domande proposte alternativamente); le eccezioni (anche quelle rilevabili d’ufficio su cui il giudice ha pronunciato, per evitare il formarsi di giudicato) sia che il giudice abbia pronunciato su di essa o meno (poiché è il rigetto delle domande a generare la soccombenza), salvo che l’eccezione non sia oggetto di una sentenza non definitiva; le istanze istruttorie rigettate, perché esse non generano soccombenza

Effetti della mancata riproposizione L’effetto della mancata riproposizione delle domande ed eccezioni e delle istanze istruttorie è quella di una loro semplice rinunzia. Possono quindi essere proposte in un’autonoma causa le domande non riproposte.

L’appello incidentale tempestivo e l’appello incidentale tardivo Se al momento del deposito della comparsa, venti giorni prima dell’udienza, sono decorsi i termini per impugnare la sentenza da parte del convenuto in appello, l’appello incidentale è tardivo ed è pertanto soggetto al regime dell’art. 334 c.p.c. (con trasmissione dei destini di rito dell’impugnazione principale alla impugnazione incidentale).

La trattazione Se impugnata la sentenza di un giudice di pace, il tribunale è competente in formazione monocratica; se è impugnata la sentenza del tribunale, la Corte di appello pronuncia in formazione collegiale, ma il presidente può delegare uno dei componenti del collegio all’assunzione dei mezzi istruttori (art. 350/1).

L’udienza di trattazione In detta udienza il giudice verifica la regolare costituzione delle parti, ordina la integrazione o notificazione degli artt. 331 e 332; ordina la rinnovazione dell’atto di citazione in appello nullo, provvede alla riunione delle autonome impugnazioni della stessa sentenza, procede al tentativo di conciliazione.

L’inibitoria Essendo la sentenza di primo grado munita di esecutività ex art. 282 c.p.c.,ai sensi dell’art. 351, alla udienza di trattazione il giudice provvede sulla istanza di sospensione del’esecutività proposta ex art. 283 c.p.c. (con istanza contestuale all’impugnazione principale o incidentale). la parte può chiedere un’anticipazione dell’udienza sull’inibitoria, anche inaudita altera parte dal presidente della Corte, il quale fissa udienza in camera di consiglio per la convalida (art. 351, 2° e3° comma).

Presupposti dell’inibitoria Presupposto dell’inibitoria è la sussistenza di “gravi e fondati motivi”, che assestano il giudizio su un periculum (gravi) che il legislatore esemplifica nella possibilità di insolvenza di una delle parti e su un fumus (fondati) in relazione ai motivi di impugnazione.

Decisione a verbale L’art. 351 stabilisce che se all’udienza fissata per l’inibitoria o all’udienza di trattazione il giudice ritenga la causa matura per la decisione, possa provvedere con sentenza “a verbale” ex art. 281 sexies (solo nel caso in cui l’udienza sia fissata per l’inibitoria, dovrà altrimenti rifissare un’udienza di trattazione innanzi a sé).

Decisione con ordinanza Oltre che per i casi in cui pronuncia sulla competenza o sulla sospensione del procedimento, ex art. 337 e 335 c.p.c., il giudice decide con ordinanza anche nell’ipotesi in cui ex art. 348 ter, dichiari inammissibile l’appello in quanto non ha ragionevole probabilità di essere accolto. Ordinanza “succintamente motivata, anche mediante rinvio agli elementi di fatti riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”, provvedendo anche sulle spese. L’effetto dell’ordinanza di inammissibilità è quello di aprire i termini per il ricorso in Cassazione avverso il provvedimento di primo grado.

Ordinanza di estinzione L’estinzione del processo di appello era dichiarata con ordinanza secondo le regole generali ex art. 308 c.p.c., salvo reclamo che viene deciso con sentenza, se confermata l’estinzione, con ordinanza se accolto il reclamo (art. 308). Ma questa norma ex art 357 è abrogata: quindi la decisione è con ordinanza se vi è accordo delle parti, altrimenti con sentenza. L’effetto prodotto dall’estinzione è ex 338, il passaggio in giudicato della sentenza, salvo gli effetti di sentenze non definitive di merito, pronunciate nel suo corso.

Sentenza di inammissibilità e improcedibilità Per ogni altra questione di inammissibilità (ivi compresa quella relativa alla mancata specificazione del motivo ex art. 342 c.p.c.) o di improcedibilità, relative alla mancanza dei presupposti processuali dell’impugnazione o ad un’inattività, si pronunciano con sentenza. L’inammissibilità e l’improcedibilità producono l’effetto di rendere non riproponibile l’appello (art. 358 c.p.c.).

Altre sentenze Anche per il giudice di appello valgono i contenuti delle sentenze finali, ai sensi dell’art. 279 c.p.c.; 1. se definisce il giudizio pronunciando questioni pregiudiziali di rito o questioni di merito o decide integralmente il merito; 2. se rigetta questioni pregiudiziali di rito e questioni di merito.

Questioni di rito rilevabili dal giudice di appello Oltre alle questioni di rito specifiche del giudizio di appello, attinenti ai presupposti processuali del mezzo, che può rilevare d’ufficio e con precedenza di ogni altra questione, il giudice di appello può rilevare di ufficio anche questioni di rito concernenti il giudizio di primo grado, solo se non rilevate dal giudice di primo grado e rilevabili in ogni stato e grado, e salvo che il giudice di primo grado non abbia pronunciato su di esse, poiché la successiva rilevazione è in tal caso abbandonata dalla riproposizione ad iniziativa delle parti.

La sentenza non definitiva in appello L’appello immediato (art. 356, 2° comma) sulle sentenze non definitive di primo grado, se accolto, non consente al giudice di appello di disporre prove riguardo domande o questioni ancora trattate in primo grado, come conseguenza della non definitiva pronuncia. Il rigetto dell’appello non provoca alcun effetto in quanto confermativo della sentenza non definitiva di primo grado; l’accoglimento dell’appello, per l’effetto espansivo esterno ex art. 336, 2° comma, travolge gli atti e provvedimenti consequenziali del processo di primo grado.

Ordinanza istruttoria Qualora il giudice di appello ammetta una prova (non ritenuta ammissibile dal giudice di primo grado o nuova), oppure la rinnovazione totale o parziale della prova già assunta, emette ordinanza collegiale e dispone per la prosecuzione del processo (art. 356, 1° comma, c.p.c.)

Sentenza di appello nel merito Quando il giudice di appello pronuncia sentenza nel merito, sia che confermi, sia che riformi la sentenza di primo grado, pronuncia una sentenza sempre sostitutiva di quella di primo grado: il titolo esecutivo diventerà dopo la pronuncia della sentenza di appello, la sentenza del giudice i secondo grado.

Sentenza di appello di rito, relativa a vizi del giudizio di primo grado Salvo che il giudice pronunci su presupposti processuali o vizi del procedimento di secondo grado, con effetti definiti dagli artt. 358 e 338 c.p.c., quando il giudice di appello pronuncia sulla carenza di presupposti processuali o vizi verificatisi nel primo grado, laddove tali vizi siano sanabili, provvede alla sanatoria e pronuncia nel merito (non rimette innanzi la giudice di primo grado). Art. 354: “Fuori dai casi previsti nell’articolo precedente, il giudice di appello non può rimettere la causa al primo giudice…” (cfr. art. 354, 3° comma c.p.c.).

Eccezioni artt. 353 e 354 c.p.c. Al contrario in alcuni casi (tassativi) il giudice di appello, nel pronunciare il vizio verificatosi in primo grado, rimette al giudice relativo: Se il giudice di primo grado ha dichiarato la carenza della sua giurisdizione; Se rileva la nullità della notificazione della citazione; Se rileva la non integrazione del contraddittorio o l’estromissione di una parte dal giudizio; Se dichiara inesistente la sentenza di primo grado; Se dichiara insussistente l’estinzione pronunciata dal giudice di primo grado.

Ratio del rinvio al giudice di primo grado La ratio del rinvio al giudice di primo grado è variabile: Nel caso di carenza di giurisdizione e di estinzione, vi è la necessità di preservare il doppio grado di giurisdizione; Negli altri casi, trattandosi di far salvi gli effetti della domanda, si vuole evitare che il giudice di appello chiuda il processo con una sentenza di rito e quindi che possa prendere le mosse da una valida ed efficace domanda originaria.