Rischio Assoluto Probabilità, osservata o calcolata, di un evento cardiovascolare, fatale o non fatale, in un soggetto o in una popolazione in studio Se.

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Rischio Assoluto Probabilità, osservata o calcolata, di un evento cardiovascolare, fatale o non fatale, in un soggetto o in una popolazione in studio Se la patologia cardiovascolare è multifattoriale, è importante valutare il rischio assoluto di sviluppare un evento fatale o non-fatale tenendo conto dei fattori di rischio. Last JM.- "A Dictionary of Epidemiology" Third Edition – Oxford University Press 1995

Rischio Relativo incidenza negli esposti Il rapporto fra il rischio di un evento cardiovascolare, fatale o non fatale, negli esposti rispetto ai non esposti incidenza negli esposti RR = ----------------------------------- incidenza nei non esposti RISCHIO ASSOLUTO: Probabilità di sviluppare un evento “CV maggiore” (morte CV, IMA, ictus, insufficienza cardiaca severa, angina instabile) in un dato periodo (2° Task Force Report considera 10 anni). RISCHIO RELATIVO: Rapporto tra rischio assoluto di un soggetto con fattori di rischio e rischio assoluto di soggetti della stessa età ma senza fattori di rischio importanti (oppure tra soggetti trattati con due differenti terapie)

L’interazione di molteplici fattori di rischio può determinare aumenti moltiplicativi, piuttosto che additivi, di rischio CV. Questi diagrammi di Venn mostrano gli aumenti del rischio associati alla presenza di molteplici fattori di rischio CV in 2 ipotetici pazienti di sesso maschile di 40 anni, in confronto al rischio CVD di un uomo di 40 anni non fumatore con CT 185 mg/dL e PAS 120 mmHg, non intollerante al glucosio e che non presenta LVH. Il diagramma sulla sinistra illustra l’interazione dei fattori di rischio in un paziente con livelli moderatamente elevati di CT (5,4 mmol/L [210 mg/dL]), ipertensione (PAS 165 mmHg), e intolleranza al glucosio. Mentre ciascun fattore di rischio risulta in un aumento compreso tra 1,3 e 1,9 volte del rischio CVD, l’interazione di tutti i 3 fattori di rischio determina un aumento di 4,5 volte del rischio CVD. Il diagramma sulla destra mostra l’interazione dei fattori di rischio in un paziente con elevati livelli di CT (6,1 mmol/L [235 mg/dL]) e grave ipertensione (PAS 195 mmHg), fumatore. Ciascun fattore di rischio determina un aumento compreso tra 1,7 e 3,0 volte del rischio CVD. Tuttavia, la presenza di tutti i 3 fattori di rischio determina un aumento del rischio di 8,7 volte.

Numero di soggetti da trattare per evitare un evento Number Needed to teat (NNT): pazienti da trattare per prevenire un evento L’intera coorte WOSCOPS 40 20 80 60 Ipercolesterolemia isolata Ipertensione Storia familiare di CHD Fumo o C-HDL <42 mg/dL Malattia vascolare preesistente Anomalie minori all’ECG Numero di soggetti da trattare per evitare un evento 14 16 21 23 24 56 Nello studio WOSCOPS , per esempio, il numero di soggetti da trattare per 5 anni con Pravastatina per evitare un evento scendeva all’aumentare del rischio del paziente. Esso cresceva da circa 40 nell’intera coorte dello studio a 56 nei soggetti con ipercolesterolemia isolata (senza altri fattori di rischio), ma scendeva invece a 24 nei soggetti nei quali l’ipertensione coesiste con l’ipercolesterolemia ed a 21 nei soggetti fumatori o con bassi valori della colesterolemia HDL. Shepherd J et al. Cardiology 1996;87:1-5

Algoritmo di rischio Equazioni, sviluppate sulla base dell’osservazione prolungata di popolazioni che permettono di stimare, in base al livello di alcuni fattori di rischio, la probabilità di incorrere in un evento nel tempo Il rischio di futuri eventi cardiovascolari viene calcolato in ogni individuo mediante formule o algoritmi. Si tratta di equazioni sviluppate sulla base dell’osservazione prolungata di popolazioni che permettono di stimare, in base al livello di alcuni fattori di rischio, la probabilità di incorrere in un evento nel tempo da parte di un dato individuo.

Carta italiana del rischio cardiovascolare - 1 Donne non diabetiche (rischio cardiovascolare a 10 anni) <5% 5-10% 10-15% 20-30% >30% Livello di rischio a 10 anni Non fumatrici Fumatrici Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 60 anni 50 anni 40 anni 154 193 232 270 309 180 160 140 120 (mg/dl) 4 5 6 7 8 (mmol/l) 15-20% La Carta presentata mostra il rischio cardio-cerebro-vascolare a 10 anni delle donne non diabetiche. ISS, 2004

Carta italiana del rischio cardiovascolare - 2 Donne diabetiche (rischio cardiovascolare a 10 anni) Non fumatrici Fumatrici Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 60 anni 50 anni 40 anni 154 193 232 270 309 180 160 140 120 (mg/dl) 4 5 6 7 8 (mmol/l) <5% 5-10% 10-15% 20-30% >30% Livello di rischio a 10 anni 15-20% La Carta presentata mostra il rischio cardio-cerebro-vascolare a 10 anni delle donne diabetiche. Questa carta non è vincolante ai fini della nota 13 in quanto tutti i diabetici hanno diritto alle statine in regime di rimborso, indipendentemente dal loro specifico livello di rischio. ISS, 2004

Carta italiana del rischio cardiovascolare - 3 Uomini non diabetici (rischio cardiovascolare a 10 anni) Non fumatori Fumatori Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 60 anni 50 anni 40 anni 154 193 232 270 309 180 160 140 120 (mg/dl) 4 5 6 7 8 (mmol/l) <5% 5-10% 10-15% 20-30% >30% Livello di rischio a 10 anni 15-20% La Carta presentata mostra il rischio cardio-cerebro-vascolare a 10 anni degli uomini non diabetici ISS, 2004

Carta italiana del rischio cardiovascolare - 4 Uomini diabetici (rischio cardiovascolare a 10 anni) Non fumatori Fumatori Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 60 anni 50 anni 40 anni 154 193 232 270 309 180 160 140 120 (mg/dl) 4 5 6 7 8 (mmol/l) <5% 5-10% 10-15% 20-30% >30% Livello di rischio a 10 anni 15-20% La Carta presentata mostra il rischio cardiocerebrovascolare a 10 anni degli uomini diabetici. Questa carta non è vincolante ai fini della nota 13 in quanto tutti i diabetici hanno diritto alle statine in regime di rimborso indipendentemente dal loro specifico livello di rischio. ISS, 2004

utilizzano il sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation) il rischio è ora definito come probabilità assoluta di sviluppare un evento cardiovascolare fatale a 10 anni la soglia di definizione del rischio elevato è stata spostata a 5% invece che 20% il gruppo ad elevato rischio è pertanto

Algoritmo di Rischio SCORE

Algoritmo di Rischio SCORE Quelle a basso rischio valgono per Italia, Lussemburgo, Belgio, Grecia, Francia, Svizzera, Spagna e Portogallo

Fattori di rischio cardiovascolare tradizionali Lipidi Ipertensione Età Fumo Obesità Diabete Dieta Familiarità Inattività fisica AMBIENTALI GENETICI Sesso Fattori trombotici Il processo infiammatorio che porta allo sviluppo dell’aterosclerosi riconosce infatti diversi fattori di rischio, distinti in ambientali e genetici. Tra questi i fattori di rischio trattabili o modificabili (quali ad es. il fumo, la dislipidemia, l’ipertensione ed il diabete) rappresentano il cardine dell’intervento medico, sia farmacologico che non farmacologico.

Fattori di rischio cardiovascolare tradizionali I cosiddetti fattori di rischio tradizionali si caratterizzano per: elevata prevalenza nella popolazione, soprattutto nei soggetti con malattie cardiovascolari relazione fisiopatologica (plausibilità biologica) con le malattie cardiovascolari superiorità nel predire il rischio cardiovascolare Complessivamente i fattori di rischio tradizionali si caratterizzano per tre aspetti: l’elevata prevalenza nella popolazione, soprattutto nei soggetti con malattie cardiovascolari; la relazione causale con le malattie cardiovascolari e la superiorità nel predire il rischio cardiovascolare.

Prevalenza dei principali Fattori di Rischio cardiovascolari in Italia ISS Giugno 2006

Ipertensione arteriosa e mortalità per cardiopatia ischemica Rischio per decennio di età in funzione dell’incremento dei valori pressori Mortalità per cardiopatia ischemica (rischio assoluto) 80-89 anni 256 128 64 32 16 8 4 2 1 70 80 90 100 110 120 140 160 180 70-79 anni 60-69 anni 50-59 anni Pressione sistolica usuale (mm Hg) Pressione diastolica usuale (mm Hg) 40-49 anni Tra i fattori di rischio più importanti per malattie cardiovascolari vi è sicuramente l’ipertensione arteriosa. E’ ormai infatti ben nota la correlazione lineare tra mortalità cardiovascolare ed incremento della pressione. Ad esempio per ogni incremento di 20 mmHg di pressione sistolica o di 10 mmHg di pressione diastolica il rischio di mortalità cardiovascolare raddoppia. Anche piccoli aumenti della pressione incrementano il rischio: ad esempio incrementi di 2 mmHg della pressione aumentano il rischio di mortalità coronarica del 7% e del 10% di ictus. Prospective Studies Collaboration, Lancet 2002; 360: 1903-13

Effetti del trattamento antiipertensivo sulle complicanze cardiovascolari -60 -50 -40 -30 -20 -10 -52% -38% -35% -21% -16% Scompenso cardiaco Ictus Ipertrofia VS Morte CV IMA Riduzione evento (%) Il trattamento dell’ipertensione arteriosa riduce le complicanze cardiovascolari. I risultati combinati di 17 trial randomizzati, trattamento attivo contro placebo, della durata media di 3-5 anni, hanno dimostrato una riduzione della pressione arteriosa di circa 10-12 mmHg per la sistolica e di 5-6 mmHg per la diastolica nel braccio a trattamento attivo. Tali effetti hanno determinato benefici significativi nei confronti di tutti gli end-point maggiori, ma più evidenti in termini di riduzione di scompenso cardiaco e di ictus. Risultati combinati di 17 trial randomizzati, contro placebo Durata 3-5 anni. PA ridotta di 10-12/5-6 mmHg nel braccio trattamento attivo vs. placebo Moser M et al. J Am Coll Cardiol 1996; 27: 1214-1218

Implicazioni di una moderata riduzione della pressione diastolica in prevenzione primaria Riduzione pressione arteriosa diastolica -50 -40 -30 -20 -10 7,5 mm Hg 5-6 mm Hg 2 mm Hg Riduzionedel rischio relativo (%) -21 -16 -6 -46 -38 -15 Coronaropatia Ictus Riduzioni anche piccole di pressione diastolica nella popolazione generale potrebbe avere un grande impatto in termini di riduzione di ictus e di eventi coronarici. Dati dal Framingham Heart Study, studio di coorte longitudinale e dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES II), sono stati usati per valutare l’impatto di una strategia di popolazione mirante a ridurre la pressione diastolica in media di 2 mmHg. Tale riduzione si è dimostrata associata ad una riduzione del 6% nel rischio di eventi coronarici e del 15% di ictus e TIA. Cook NR et al. Arch Intern Med 1995;155:701-709.

Impatto della pressione normale-alta sul rischio cardiovascolare Incidenza cumulativa di eventi CV (%) 16 12 10 8 6 4 2 14 PA ottimale PA normale Anni PA normale-alta Donne Uomini Anche la cosiddetta pressione normale-alta è importante, in quanto associata ad aumentato rischio cardiovascolare. L’associazione tra pressione basale ed incidenza di eventi cardiovascolari nel follow-up è stata studiata in 6.859 partecipanti al Framingham Heart Study inizialmente esenti da ipertensione e malattie cardiovascolari. L’incidenza cumulativa a 10 anni in soggetti di 35-64 anni con pressione normale-alta al basale (pressione sistolica: 130-139 mm Hg; pressione diastolica: 85-89 mm Hg) era del 4% nelle donne e del 8% negli uomini. Negli anziani di 65-90 anni, l’incidenza di eventi cardiovascolari era del 18% nelle donne e del 25% negli uomini. Rispetto ai soggetti con pressione ottimale, i soggetti con pressione normale-alta avevano un rischio relativo di 2,5 nelle donne e di 1,6 negli uomini. PA ottimale :<120/80 mmHg; PA normale:120-129/80-84 mmHg; PA normale-alta:130-139/85-89 mmHg Vasan RS et al. N Engl J Med 2001;345:1291-1297.

Elementi chiave per la gestione della ipertensione arteriosa Valutare la pressione arteriosa ad ogni visita Consigliare sempre il cambiamento dello stile di vita Obiettivo del trattamento: portare i pazienti a target: <140/90 mmHg; <130/80 mmHg in pazienti diabetici e a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato o in presenza di condizioni cliniche associate (ictus, infarto miocardico, danno renale e proteinuria) La combinazione di più farmaci è in genere necessaria per ottenere risultati ottimali sui valori tensivi Tenere conto della necessità di favorire l’aderenza del paziente alla terapia European Society of Hypertension - European Society of Cardiology 2007 guidelines for the management of AH – EHJ 2007; 28: 1462-1536 Nella gestione del paziente iperteso è quindi importante ridurre la pressione a valori ottimali, attraverso farmaci e modifica dello stile di vita, particolarmente in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare.

Diabete mellito ed aterosclerosi L’aterosclerosi accelerata che caratterizza il diabete mellito inizia anni prima del riscontro di una iperglicemia Più del 50% dei soggetti con nuova diagnosi di diabete mellito hanno già una cardiopatia ischemica Il rischio di eventi cardiaci avversi è da 2 a 4 volte superiore nei diabetici rispetto ai non-diabetici Il diabete mellito è un altro importante fattore di rischio cardiovascolare. Nei diabetici l’aterosclerosi è precoce e si associa ad un rischio di eventi cardiovascolari 2-4 volte superiore a quello dei non diabetici. Garber AJ. Clin Cornerstone. 2003;5:22-37. Garber AJ. Med Clin North Am. 1998;82:931-948. National Diabetes Data Group. Diabetes in America. 2nd ed. NIH;1995.

Mortalità per diabete mellito L’aterosclerosi spiega almeno il 70% dei decessi nel diabete mellito Percentuale di decessi 10 20 30 40 50 Cardiopatia ischemica Altre cardiopatie Diabete Cancro Ictus Infezioni Altri Il diabete è una delle più importanti cause di morte, ma anche di complicanze, quali la nefropatia e la retinopatia. E’ da sottolineare che le alterazioni vascolari nel diabetico iniziano a svilupparsi già prima dell’insorgenza o della diagnosi vera e propria della malattia. L’aterosclerosi spiega almeno il 70% dei decessi nel diabete mellito (45% per cardiopatia ischemica, 15% per altra malattia cardiovascolare, 10% per ictus) Geiss LS et al. In: Diabetes in America. 2nd ed. 1995; chap 11.

Glicemia dopo 2 ore da un carico orale (75 gr di glucosio a digiuno) Criteri diagnostici: diabete, alterata glicemia a digiuno (IFG) ed alterata tolleranza ai carboidrati (IGT) Diabete Glicemia Normale IGT IFG + IGT IFG Glicemia dopo 2 ore da un carico orale (75 gr di glucosio a digiuno) Glicemia a digiuno 140 mg/dL 200 mg/dL 126 mg/dL 100 mg/dL La diapositiva mostra i criteri diagnostici del diabete. Oltre al diabete vero e proprio si riconoscono alterazioni come l’alterata glicemia a digiuno e l’alterata tolleranza ai carboidrati, che sono associate ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari. Il riconoscimento di alterazioni “minori” del metabolismo glucidico (IFG e IGT) è di grande importanza ai fini di una ottimale stratificazione del rischio in pazienti con malattia vascolare aterosclerotica. IFG = alterata glicemia a digiuno; IGT = alterata tolleranza ai carboidrati American Diabetes Association. Diabetes Care 2004;27(suppl 1):S15-S35.

Diabete Mellito Tutti i pazienti con malattia vascolare aterosclerotica dovrebbero essere sottoposti a screening per la eventuale presenza di diabete mellito In caso di dubbio diagnostico procedere alla prova da carico orale con glucosio. Il controllo dell’emoglobina glicosilata non è utile ai fini diagnostici, ma è necessario per valutare lo stato di compenso metabolico nel paziente con diabete mellito: il target è mantenerla al di sotto del 7% Oggi si riconosce che tutti i pazienti con malattia vascolare aterosclerotica dovrebbero essere sottoposti a screening per la eventuale presenza di diabete mellito. In caso di dubbio diagnostico bisogna procedere alla prova da carico orale con glucosio, mentre il dosaggio dell’emoglobina glicosilata non è di alcuna utilità a fini diagnostici, ma è necessaria per valutare lo stato di compenso metabolico nel paziente con diabete mellito.

Anomalie “minori” del metabolismo glucidico ed eventi cardiovascolari The Funagata Diabetes Study: sopravvivenza cardiovascolare cumulativa Normale IGT (2 ore PG 140-200) DM (2 ore PG > 200) 1.00 0.98 0.96 0.94 1 2 3 4 5 6 7 Anni tasso di sopravvivenza 0.92 IFG (FPG 110-126) DM (FPG >126) IGT=impaired glucose tolerance; IFG=impaired fasting glucose Come abbiamo accennato, e come è mostrato in questa diapositiva, anche le anomalie “minori” del metabolismo glucidico (IFG e IGT) si associano ad un’aumentata incidenza di eventi cardiovascolari. Tominaga M et al. Diabetes Care 1999;226:920-924.

Ipercolesterolemia: livelli di colesterolo e rischio coronarico 140 260 180 220 300 ≤204 265-294 206-234 235-264 ≥295 Multiple Risk Factor Intervention Trial (MRFIT) (n=356.222) Studio di Framingham (n=5.209) Colesterolemia (mg/dL) 8 16 4 12 Morti per coronaropatia in 10 anni per 1.000 pazienti 50 150 25 100 Eventi cardiovascolari ogni 1.000 pazienti 125 75 Vi è poi un altro importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari: il colesterolo. Sul piano epidemiologico, la correlazione tra aumento dei livelli del colesterolo plasmatico ed aumento della probabilità di eventi coronarici è chiara e definita. La maggior parte degli studi condotti, infatti, mostra come al crescere della colesterolemia totale si associ un progressivo aumento del rischio di tali malattie. Come per la pressione, la relazione appare priva di un livello “soglia”; non esiste, infatti, alcun valore della colesterolemia al di sotto del quale la correlazione con il rischio di eventi coronarici venga meno. La correlazione, quindi, è “continua e crescente”: una situazione che implica una riduzione del rischio coronarico conseguente ad una riduzione della colesterolemia, qualunque sia il valore di partenza della stessa. Stamler J et al. JAMA 1986;256:2823-2828 Castelli WP et al. JAMA 1986;256:2835-2838

Colesterolo HDL, colesterolo LDL e rischio di malattia coronarica: lo studio di Framingham 25 35 45 55 1,0 2,0 3,0 Rischio relativo Colesterolemia HDL (mg/dL) 65 75 85 Colesterolemia LDL (mg/dL) 220 160 100 Analizzata con maggiore dettaglio, come è noto la correlazione tra colesterolo ed eventi coronarici può essere scomposta in una componente negativa, correlata al valore del colesterolo aterogeno LDL, e in una componente viceversa protettiva, correlata al valore del colesterolo antiaterogeno HDL. Questa diapositiva, tratta da osservazioni condotte nello studio Framingham, mostra come all’aumentare del valore del colesterolo HDL si associ una progressiva diminuzione del rischio coronarico. Tale diminuzione si osserva per qualunque valore di colesterolo LDL, che la contrario correla direttamente con il rischio di malattia. E’ quindi necessario tener conto contemporaneamente di questi due parametri per definire con precisione il rischio lipidico di malattia coronarica. Castelli WP et al. Can J Cardiol 1988;4(Suppl.A):5A-10A

Effetti antiaterogeni delle HDL LDL Endotelio Lume Vasale Monociti LDL Ossidate Macrofagi MCP-1 Molecole d’Adesione Citochine Intima HDL Inibiscono Espressione di Molecole Adesione Foam Cell HDL Inibiscono Ossidazione delle LDL HDL Promuove Efflusso di Colesterolo Per prevenire efficacemente gli eventi cardiovascolari non è sufficiente agire sulle LDL. Nella patogenesi dell’aterosclerosi anche le HDL giocano infatti un ruolo fondamentale, a diversi livelli. Molteplici effetti ateroprotettivi sono stati attribuiti e dimostrati nei confronti delle HDL nell’arco degli ultimi vent’anni, alcuni dei quali sinergici tra loro. Tra i più importanti: 1) il ruolo centrale delle HDL nel processo di trasporto inverso del colesterolo dalle cellule periferiche (ad es. macrofagi nella placca aterosclerotica) al fegato; 2) la capacità delle HDL di proteggere contro lo stress ossidativo, che comprende non solo la protezione delle LDL dalle modificazioni ossidative, ma la protezione contro i danni cellulari provocati dalle LDL ossidate stesse; 3) gli effetti antinfiammatori delle HDL sui monociti e più in generale sulla componente cellulare della parete vasale; 4) la capacità delle HDL di influenzare positivamente la vasodilatazione arteriosa tramite la loro azione di prolungamento sull’emivita plasmatica della prostaciclina; 5) la capacità delle HDL di ridurre l’aggregazione piastrinica; 6) la capacità delle HDL di ridurre la produzione di molecole di adesione da parte dell’endotelio (VCAM-1, ICAM-1, selectina-E) e diminuire il reclutamento di cellule infiammatorie all’interno della parete arteriosa. Cockerill GW et al. Arterioscler Thromb Vasc Biol 1995;15:1987-1994 29

Livelli di LDL ed HDL e rischio coronarico 10 20 30 40 50 Incidenza di IMA a 10 anni (%) <100 100-129 130-159 160-189 ≥190 Colesterolo LDL (mg/dL) ≥60 46-69 31-45 <31 Colesterolo HDL (mg/dL) Le HDL sono altamente correlate con i livelli di LDL e con il rischio cardiovascolare. Studi epidemiologici hanno dimostrato una stretta correlazione tra livelli di colesterolemia HDL e rischio di eventi cardiovascolari, indipendente dai livelli di colesterolemia LDL. Nello studio PROCAM, a parità di livelli di colesterolemia LDL, l’incidenza di infarto miocardico a 10 anni era maggiore nei soggetti con livelli più bassi di colesterolemia HDL. Assmann G. Eur Heart J 2006;8(Suppl):F40-F46 30

Raccomandazioni generali per la gestione dell’ipercolesterolemia in prevenzione secondaria Valutare il profilo lipidico a digiuno in tutti i pazienti I IIa IIIb III Se il colesterolo LDL è ≥100 mg/dL, iniziare la terapia farmacologica Se in corso di terapia il colesterolo LDL è ≥100 mg/dL, intensificare il trattamento aumentando i dosaggi. Se il colesterolo LDL è da 70 a 100 mg/dL, ridurre i valori al di sotto di 70 mg/dl. I IIa IIIb III Numerosi studi, che discuteremo nelle prossime relazioni, hanno dimostrato il beneficio della riduzione colesterolo LDL<100 mg/dl e, nei casi a rischio molto elevato <70 mg/dl. Queste sono le indicazioni delle moderne Linee Guida. I IIa IIIb III Si deve procedere ad una riduzione minima della colesterolemia LDL del 30-40% AHA/ACC Guidelines for Secondary Prevention for Patients With Coronary and Other Atherosclerotic Vascular Disease: 2006 Update Circulation 2006;113:2363-2372.

I fumatori più facilmente diventano cardiopatici Il fattore di rischio fumo è responsabile della maggioranza degli infarti che colpiscono prima dei cinquanta anni. Si è calcolato che la presenza del fumo tra i fattori di rischio di aterosclerosi anticipa di dieci anni il verificarsi del primo evento cardiovascolare. Parish, S et al. BMJ 1995;311:471-477 Parish, S et al. BMJ 1995;311:471-477

Studio INTERHEART: rischio di infarto miocardico con l’associazione di più fattori di rischio Fumo Diabete Ipert. APoB/A 1+2+3 1+2 +3+4 +Obes. +PS Tutti 1 2 4 8 16 32 64 128 256 512 Odd ratio (99% CI) 2,9 2,4 1,9 3,3 13,0 42,3 68,5 182,9 333,7 Come dimostrato dallo studio InterHeart l’associazione tra più fattori di rischio aumenta in maniera considerevole il rischio di infarto miocardico (Odds Ratio=13.01; IC 99%:10.69–15.83) rispetto a coloro che non sono esposti e spiega insieme il 53% del rischio attribuibile di popolazione (PAR) per infarto. L’aggiunta dell’obesità addominale (i due terzili superiori vs. il terzile inferiore) o dei fattori psicosociali (PS) incrementava ulteriormente il PAR). Se s’incorporavano tutti i nove fattori di rischio indipendenti (fumo, storia di diabete o ipertensione, obesità addominale, fattori psicosociali, consumo saltuario di frutta e verdura, assenza di consumo di alcol, mancanza di esercizio fisico regolare ed iperlipidemia) si spiegava pressoché completamente il rischio d’infarto miocardico nella popolazione osservata. In questo studio sembrerebbe dunque che il rischio raddoppia per ogni nuovo fattore di rischio aggiuntivo a partire dai primi tre (fumo, ipertensione, diabete); tuttavia i 5 fattori di rischio principali (fumo, iperlipidemia, ipertensione, diabete e obesità, o meglio adiposità addominale), presenti nella maggior parte degli individui, spiegavano oltre l’80% del rischio di popolazione. Yusuf S et al Lancet 2004;364:937-952.

Impatto della variazione dei fattori di rischio sugli eventi cardiovascolari Fattore Variazione Riduzione eventi PA 1 mm 2-4% Colesterolo 2,5 mg/dL 2% Fumo Prevalenza 1% 0,5% Controllare simultaneamente ed efficacemente i vari fattori di rischio è importante ed utile. Nella diapositiva sono riportati ad esempio i benefici in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari derivanti dalla riduzione anche minima dei livelli dei maggiori fattori di rischio. E’ ovvio come una riduzione più efficiente ed a target abbia benefici maggiori.

Marcatori “emergenti” di rischio cardiovascolare Caratteristiche ideali Indipendenti dai fattori tradizionali nel predire il rischio cardiovascolare Correlabili a specifici endpoint Misurabili in modo standardizzato e in sottogruppi eterogenei di individui Misurabili in modo ragionevolmente economico Potenziali target terapeutici Oggi tuttavia un adeguata riduzione del rischio cardiovascolare si può attuare anche attraverso il controllo di altri fattori di rischio, cosiddetti “emergenti”, che però dovrebbero possedere delle caratteristiche ideali, elencate nella diapositiva.

Nuovi fattori di rischio Lipoproteina (a) o Lp (a) Omocisteina PCR Infezioni Inquinamento ambientale Sindrome Metabolica Microalbuminuria Fibrinogeno Polimorfismi genetici Sono qui riportati alcuni tra i cosiddetti fattori di rischio emergenti. Alcuni di essi sono più studiati e di maggior peso, altri invece sono ancora oggetti di studio Per alcuni di essi non è stata dimostrata l’efficacia della loro riduzione determinata dalla terapia, per altri ancora mancano i valori di riferimento e non sono stati definiti i valori target.