Elementi di linguistica sarda

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Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 2

Tavola delle abbreviazioni camp. = campidanese (sardo); centr. = centrale (sardo); lat. = latino; log. = logudorese (sardo); sd. = sardo. Gli etimi latini sono riportati in MAIUSCOLO. Il simbolo > significa “diventa, passa a”; < “deriva da”.

Inquadramento genealogico del sardo Il sardo appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea. Di questa importante famiglia fanno parte, oltre ad alcune lingue antiche e moderne dell’Asia, la maggior parte delle lingue europee: il latino e le lingue romanze (di cui si dirà più nel dettaglio); le lingue germaniche (fra esse l’inglese, il tedesco, l’olandese, il danese, lo svedese, il norvegese, l’islandese); le lingue slave (fra esse il russo, il bielorusso, l’ucraino, il polacco, il ceco, lo slovacco, lo sloveno, il serbocroato, il bulgaro, il macedone); le lingue celtiche (fra esse l’irlandese, lo scozzese, il gallese, il bretone); le lingue baltiche (il lituano e il lettone); il greco, l’albanese.

Le lingue romanze Della famiglia indoeuropea faceva parte anche il latino, da cui sono discese le lingue romanze o neolatine, che ne rappresentano la continuazione sino ai giorni nostri. Esse sono: il portoghese, lo spagnolo o castigliano, il catalano, l’occitanico, il francese, il franco-provenzale, il sardo, l’italiano, il ladino, il dalmatico (oggi estinto) e il rumeno.

Una data fondamentale: il 238 a.C. Dire che il sardo discende dal latino (meglio: dal latino volgare, o latino parlato) significa individuare una data e un episodio centrali nel lungo processo di formazione di questa lingua: il 238 a.C., con la conquista romana e la conseguente massiccia diffusione del latino (si parla di romanizzazione linguistica o latinizzazione della Sardegna). L’impronta fondamentale della lingua sarda – che dopo un percorso carsico si manifesterà attraverso documenti solo dopo il 1000 d.C. – è data dunque dalla sua matrice latina.

Sostituzione linguistica e contatto Dopo la conquista romana non si sono verificati in Sardegna altri episodi di sostituzione linguistica: ciò vuol dire che, mentre il latino ha gradualmente soppiantato le parlate utilizzate in precedenza nell’isola, la lingua che è nata dal latino permane tuttora. Le lingue dei vari dominatori che sono sbarcati in Sardegna si sono affiancate al sardo e ne hanno modificato la fisionomia, in modo più o meno profondo, ma non lo hanno sostituito: ciò vale anche per un concorrente sempre più temibile quale è l’italiano.

Il nucleo centrale: il latino Lo scheletro – per così dire – del sardo, come delle altre lingue romanze, è dunque costituito dagli elementi ereditati dal latino e variamente modificati nel corso della sua evoluzione. In generale, infatti, derivano dal latino la compagine morfologica (ossia i meccanismi grammaticali) e il lessico fondamentale, cioè quell’insieme di parole che in un idioma si rinnova con maggiore difficoltà e che comunque viene sostituito con un ritmo più lento rispetto a quello con cui si modifica il resto del vocabolario.

Il lessico fondamentale Circa il lessico fondamentale, ne fanno parte «termini dal significato “elementare” e “universale”, che si riferiscono alle parti del corpo, ai parenti stretti, ai numeri digitali [quelli sino al dieci], agli oggetti naturali comuni a tutte le culture, alle azioni più frequenti e abituali» (A. Nocentini). Ecco qualche esempio: lat. MANU > sd. mánu “mano”; lat. DENTE > sd. log. dènte, camp. dènti “dente”; lat. FRAT(R)E > sd. bittese fráte, log. fráđe, camp. fráđi “fratello”;

lat. FILIU > sd. log. fídzu, camp. fíllu “figlio”; lat. DECEM > sd. centr. dèke, log. dèǥe, camp. dèži “dieci”; lat. MONTE > sd. log. mònte, camp. mònti “monte”; lat. VOCE > sd. centr. bòke, log. bòǥe, camp. bòži “voce”; lat. ESSERE > sd. log. èssere, camp. èssiri “essere”; lat. MAGNU > sd. mánnu “grande”.

La frammentazione della Romània Col termine Romània si indica nel suo complesso il mondo neolatino in cui si parlano le lingue romanze che costituiscono la diretta continuazione del latino. Spesso si parla di Romània perduta a indicare quelle regioni (per es. l’Africa romana) che, seppure romanizzate in qualche misura, persero col tempo l’uso del latino o delle nascenti lingue romanze. Per converso si parla anche di Romània nuova, a indicare quei territori mai romanizzati in cui solo in tempi recenti è stata portata una lingua neolatina (si pensi all’America del Sud).

L’argomento cronologico La Sardegna (con la Corsica) e la Sicilia divennero province romane dopo la I guerra punica (264-241 a.C.), la Dacia (che occupava in parte il territorio della Romanìa attuale) solo nel 107 d.C. Fra questi due estremi cronologici, separati da quasi 350 anni, si colloca tutta una serie di tappe intermedie dell’espansione romana. Tutto questo ci porta a pensare che le regioni conquistate per prime (come la Sardegna) possano conservare, in generale, tracce di stadi più antichi della latinità (e viceversa).

Una domanda che vale la pena di porsi è la seguente: com’è che dalla relativa unità del latino si è giunti alla pluralità delle lingue romanze? Si possono invocare soprattutto tre argomenti, tre fattori che hanno agito in modo differente nelle diverse zone della Romània: 1) un argomento di natura cronologica, di cui già si diceva; 2) un argomento legato ai cosiddetti “sostrati” linguistici; 3) un argomento legato ai cosiddetti “superstrati linguistici”.

In effetti, nel sardo si incontrano numerosi elementi arcaici, per es In effetti, nel sardo si incontrano numerosi elementi arcaici, per es. nel lessico. Ecco qualche esempio significativo: lat. DOMO (caso ablativo) > sd. log. dòmo, camp. dòmu “casa” (l’it. duomo ha significato speciale); lat. CITIUS, CITO > sd. centr. kíϑo, log. kítto, camp. kíttsi “presto, di buonora”; lat. IUBA > sd. fonnese júva, log. e camp. ğúa “criniera del cavallo”; lat. AGASONE > sd. bittese aǥaṡòne, log. baṡòne, aṡòne, camp. aṡòni “guardiano di cavalli”; lat. (PORCU) APRU > sd. centr. porkápru, log. porkáƀru “cinghiale”.

L’argomento dei sostrati Quando un idioma si estende su un territorio molto vasto, in cui sono presenti differenze di vario tipo (in particolare etniche), si sviluppano o possono svilupparsi varietà dialettali. Il latino fu impiegato, oltreché in Italia e nelle grandi isole del Mediterraneo, nelle terre che circondano il Mediterraneo occidentale, in alcune regioni dell’Europa centrale e nei Balcani. In particolare, possiamo pensare che le popolazioni indigene acquisirono gradualmente il latino, sicché si ebbero periodi più o meno lunghi di bilinguismo.

Man mano che il latino “sommerse” le lingue locali, queste divennero lingue di sostrato (è un tema sul quale avremo modo di tornare). Una lingua di sostrato non scompare nel nulla, ma tende a lasciare qualche traccia di sé nella nuova lingua che si impone, soprattutto a livello fonetico e lessicale. Ecco un esempio tratto dalla fonetica del sardo: secondo M. L. Wagner, il colpo di glottide che incontriamo in alcuni paesi della Sardegna centrale (ad es., a Oliena si dice lóçu per “luogo”) sarebbe il relitto di antiche abitudini di pronuncia delle popolazioni locali. Ecco ora un esempio dal lessico: in Ogliastra e in alcuni paesi della Sardegna centrale il nome del tasso (la pianta) è éni, di probabile origine prelatina.

L’argomento dei superstrati Dopo la caduta dell’Impero, i vari territori un tempo sottoposti al dominio di Roma ebbero varie sorti e subirono diverse dominazioni che esercitarono influssi linguistici, più o meno profondi: non si arrivò però – almeno in molti casi – a sostituire le lingue derivate dal latino. Indichiamo le lingue responsabili di tali influssi come lingue di superstrato. In una delle lezioni successive vedremo nel dettaglio l’influsso di queste lingue sul sardo: qui basterà porre in evidenza che il sardo attuale è ricco di parole lasciate dalle lingue dei dominatori di turno che si affacciarono nella nostra isola.

Giusto per fare l’esempio di un superstrato importante, si può ricordare l’influsso del catalano e dello spagnolo sul sardo (che è il corrispettivo linguistico di una dominazione protrattasi per circa 400 anni). Ecco alcune parole sarde di origine catalana: camp. aíči “così”; log. diṡidzare, camp diṡiğğai “desiderare”; camp. léğğu, centr. lédzu “brutto”; log. tankare, camp. tankai “chiudere” (e anche tánka “podere chiuso”). Eccone alcune di origine spagnola: nuor. adjóṡo, log. e camp. adjóṡu “addio”; log. féu “brutto”; log. luègo, luègu, camp. luègu(s) “subito”; log. olvidare, camp. olvidai “dimenticare”.

Breve bibliografia A. Nocentini, L’Europa linguistica. Profilo storico e tipologico, Firenze 2004. C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna 1972. M. L. Wagner, Dizionario etimologico sardo, Heidelberg 1960-64. M. L. Wagner, Fonetica storica del sardo, Cagliari 1984. M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia, spirito e forma, Nuoro 1997.