Guicciardini L’Antimachiavelli.

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Guicciardini L’Antimachiavelli.
Transcript della presentazione:

Guicciardini L’Antimachiavelli

Guicciardini e Machiavelli In Machiavelli si avverte, pur sullo sfondo di una visione pessimistica, l’entusiasmo di un pensiero che crede nel controllo razionale della realtà In Guicciardini, di poco più giovane e testimone del crollo definitivo della situazione italiana, prevale il senso dello scacco, dell’impossibilità di dominare gli eventi.

La vita (1483-1540) Guicciardini iniziò ancora giovane una carriera diplomatica di alto livello Fu ambasciatore della Repubblica fiorentina presso il Re di Spagna Dopo la caduta della repubblica, ebbe incarichi importanti dai i due papi medicei, Leone X e Clemente VII Nel 1526-27 fu a capo dell’esercito pontificio nella guerra della lega di Cognac contro l’imperatore Carlo V che si risolse nel disastro del sacco di Roma Dopo il 1530 si ritirò a vita privata in una sua villa di campagna, dove scrisse la Storia d’Italia

I Ricordi Sono una raccolta di massime e brevi riflessioni, destinate a trasmettere ai figli il succo della propria esperienza come era d’uso nelle famiglie mercantili fiorentine “Ricordo”, infatti, propriamente significa “ammonimento”, “consiglio” Il titolo si richiama a un genere di scrittura privato

Guicciardini e Machiavelli Guicciardini condivide con Machiavelli la visione realistica e disincantata della realtà, ma non ha la stessa fiducia nella possibilità di formulare delle leggi generali di comportamento “E’ grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per così dire, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circustanze” (Ricordi, 6) E’ impossibile dunque nell’insieme degli eventi cogliere regole generali che siano di guida per l’uomo politico Un evento è irriducibile a ogni analogia e somiglianza: l’eccezione è la norma, la condizione prevalente e comune

Guicciardini e il mondo classico Non è possibile valersi degli esempi storici perché le circostanze non si ripetono mai uguali. “Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e Romani!” (Ricordi, 110) La storia romana dunque, a differenza di Machiavelli, non conserva per Guicciardini alcun valore esemplare Non servono a nulla le conoscenze tratte dai libri (“l’esperienza delle cose antique”)

Guicciardini e la “fortuna” La varietà e l’imprevedibilità dei casi rende il potere della “fortuna” pressoché incontrastabile. “Nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà, perché si vede che a ognora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potere degli uomini né a prevedergli né a scifargli (evitarli) (Ricordi, 30) Per Guicciardini dunque la “fortuna” esercita un dominio totale sulle vicende umane: né la prudenza, né la capacità di adattarsi alle situazioni consentono agli uomini di dirigere gli eventi o di prevederli. I personaggi che nella storia hanno avuto successo non lo devono alla loro capacità di dominare gli eventi, ma al fatto di aver agito in circostanze storiche favorevoli

La “discrezione” In mancanza di regole assolute e generali, non resta che affidarsi alla “discrezione” Il termine deriva dal latino dis-cerno, “separo”, “distinguo” Per Guicciardini la storia è del tutto imprevedibile, le regole generali non servono a nulla e così pure le conoscenze tratte dai libri La sola qualità da cui può scaturire una chiara visione dei fatti politici e sociali è dunque la discrezione, cioè la capacità di cogliere il carattere peculiare – unico e irriducibile – di ogni situazione e di adeguarsi ad essa

“Discrezione” e “virtù” La “discrezione” è principio ben diverso dalla “virtù” di Machiavelli La “virtù” machiavelliana è costruttrice di nuove realtà politiche Guicciardini non ha in mente grandi disegni da realizzare. Il suo punto di riferimento non sono tanto le sorti dello stato, quanto quelle del singolo.

Il “particulare” “Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi l’interesse proprio, e tutte le azioni sue misurano con questo fine” (Ricordi, 218) E’ il criterio del “particulare”. Di fronte all’instabilità del mondo, è necessario mantenersi aderenti alla situazione concreta, operando per il proprio “particulare” (per il proprio personale e privato interesse), senza affidarsi a valori o ideali astratti. Ciò è parso a moti puro cinismo, ma Guicciardini in fondo è un moralista, preoccupato di come un individuo possa salvarsi materialmente e moralmente in mezzo al fluttuare di eventi ingovernabili.

La Storia d’Italia (1561) Lo stesso realismo disilluso dei Ricordi ispira l’opera più impegnativa di Guicciardini, la Storia d’Italia. L’opera narra in 20 libri le guerre che portarono alla fine dell’indipendenza italiana, dalla morte di Lorenzo il Magnifico (1492) a quella di papa Clemente VII (1534). Sono eventi che l’autore aveva visto da vicino e di cui era stato in parte protagonista Nell’opera domina il senso di una grande tragedia politica e dell’inevitabilità degli eventi che determinarono la fine dell’indipendenza degli stati regionali italiani.

La novità della “Storia d’Italia” L’opera si basa su un’attenta ricerca e valutazione dei documenti. Questo segna uno sviluppo rispetto alla storiografia precedente Incluso Machiavelli che non si preoccupava del vaglio critico delle fonti. Guicciardini riduce al minimo gli ornamenti retorici tradizionali nella storiografia (ampi discorsi messi in bocca ai protagonisti – sull’esempio classico – commenti e massime generali). Mira invece a ricostruire col massimo di lucidità lo sviluppo di avvenimenti intricati La Storia d’Italia segna dunque una tappa importante nella formazione della moderna metodologia storica (cioè della raccolta e dell’attenta indagine critica delle fonti)