Storia della lingua italiana: le origini della letteratura Diana Dragoni a.s. 2012-2013
«Fecisti patriam diversis gentibus unam» (Rutilio 415 d.C.) «Hai fatto di genti diverse una patria unica». Rutilio si rivolge a Roma.
I popoli dell'Italia antica nell'età del ferro (dal 1200 a.C.) Dal III sec. a. C. si parla in latino in tutta la penisola Dal II sec. d. C. si parla latino in quasi tutta Europa e molte zone dell’Oriente
Il latino non era unico e indifferenziato Si differenziano per: Modifiche nella pronuncia di alcune parole (domina, domna) Parole diverse per indicare lo stesso significato (ignis, focus) LATINO LETTERARIO CLASSICO (100 a.C. – 100 d.C.) LATINO VOLGARE parlato dal vulgus in tutti i periodi Diverso da zona a zona perché sovrapposto ogni volta a una LINGUA DI SUBSTRATO che aveva lasciato residui nella pronuncia, nei procedimenti morfologici e sintattici, nella conservazione di alcune parole. Dal V sec. l’isolamento linguistico progredisce. Quando, nel Trecento, i grandi scrittori toscani diedero forma letteraria alta alla lingua che molto più tardi la società italiana, dalle Alpi alla Sicilia, avrebbe fatto propria, sono già parecchi secoli che, anche in Italia, come nelle altre nazioni europee romanizzate, il latino aveva fatto posto negli usi quotidiani ai cosiddetti volgari, cioè a lingue parlate che da esso discendono, molto diversificandosi specialmente tra il Nord e il Centro-Sud della penisola (➔ volgari medievali), come ancor oggi si vede dalla gamma dei ➔ dialetti italiani. Le differenze non escludono molte somiglianze, dovute alla comune lingua madre, il latino appunto (➔latino e italiano), o alla circolazione estesa di apporti di lingue straniere alla Penisola. Ma la carta linguistica italiana all’altezza del IX secolo è un mosaico di lingue diverse, a volte trapiantate le une dentro le altre (le comunità alloglotte, come quelle greche del Salento e della Calabria; ➔minoranze linguistiche). Queste lingue premono alle spalle del latino, lingua degli usi scritti e di quelli ufficiali dei vari stati che formano la convulsa geografia politica italiana (Sabatini 1997). LATINO LETTERARIO della DECADENZA DELL’IMPERO E DEL MEDIOEVO
Lingue neolatine o romanze Il latino volgare darà luogo alle lingue neolatine o romanze (= parlate nei territori un tempo dominati da Roma). Infatti dal V – VI sec. tornano a galla le lingue di substrato e contemporaneamente prendono piede le lingue dei nuovi dominatori (per lo più di origine germanica) che davano il loro contributo sul piano del lessico e della pronuncia. Sono lingue romanze: Rumeno Ladino Sardo francese Franco-provenzale Catalano Spagnolo Portoghese italiano
Nella sola penisola italiana convivono numerosi volgari, le lingue parlate nelle diverse regioni (DIALETTI). Secondo Sensini i dialetti sono una realtà dal VI-VIII sec., ma solo dal 1200 cominciano a essere usati in testi orali e scritti, di carattere pratico e letterario.
Dal latino all’italiano VOCALISMO Es. Capillum > capello CONSONANTISMO Es. somnus > sonno MORFOLOGIA e SINTASSI Es. comparsa dell’articolo, creazione di tempi verbali composti, sintassi in cui domina la paratassi
L’indovinello veronese (VIII ?) Se pareba boves Alba pratalia araba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba. Occorre tempo perché i volgari emergano alla scrittura, per secoli e secoli saldamente in mano al latino. Ma qua e là e poi sempre di più, per ragioni diverse, i documenti scritti recano tracce dei diversi volgari. L’emersione dei volgari avviene in documenti di tipo notarile e in testi pratici, giuridici, mercantili, religiosi, che si faranno via via più numerosi dal XII secolo e specialmente dal XIII, con lo sviluppo dei comuni toscani. Indovinello Veronese Uno dei più antichi testi in volgare italiano (8°-9° sec.) o misto di volgare e latino, rinvenuto nel 1924 da L. Schiaparelli in un codice della Biblioteca capitolare di Verona. Secondo la ricostruzione più vicina all’originale, consiste in 4 brevi versi a rima incrociata, significanti per metafora l’atto dello scrivere.
L'Iscrizione della catacomba di Commodilla (IX sec.) Non dicere ille secrita a bboce Col passare del tempo, in tutte le parti d'Italia vi sono documenti e testi scritti interamente o parzialmente in volgare. Fra queste testimonianze: L'Iscrizione della catacomba di Commodilla in Roma (metà del secolo IX). È un graffito: «Non dicere ille secrita a.bboce» [«Non dire quelle cose segrete a voce (alta)»]. Con questa formula si invitava il celebrante a non recitare a voce alta quelle preghiere della messa, dette secrete. Dal punto di vista linguistico si noti, oltre alla forma dell'imperativo negativo (non + infinito) diversa da quella latina (ne diceas, con congiuntivo esortativo), dicere, volgare a Roma, dove s'è usato in modo esclusivo per tutto il medioevo; ille con valore di articolo femminile plurale e secrita, non neutro, ma un plurale in -a (l'articolo sarebbe la conferma); a-bboce, con raddoppiamento fonosintattico e betacismo.
Placito capuano (960) Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parti Sancti Benedicti Indubitabilmente volgare meridionale, pur con persistenti residui formulari e grafici del latino, è quello delle testimonianze rese a Capua nel 960 e nei dintorni, nel 963, in cause di usucapione (Castellani 1973). Tre testimoni, comparsi a Capua davanti al giudice Arechisi, tenendo una carta in cui erano segnati i confini del luogo discusso e toccandola con l'altra mano, deposero a favore del monastero. Vera o fittizia che sia stata la lite (è sembrato, infatti, a taluni che fosse preoccupazione dall'abate avere una carta notarile in cui si dichiarasse il possesso trentennale di quelle terre), il documento di Arechisi registra l'atto di nascita della lingua italiana scritta, pur se in una varietà dialettale, in cui il tratto più appariscente è la sparizione dell'appendice labio-velare u in ko (latino quod), kelle, ki (italiano quelle, qui; ma resta in que). «So che quelle terre per quei confini che qui sono descritti, per trent’anni le ha possedute la parte di San Benedetto».
La Postilla amiatina Ista cartula est de caput coctu. Ille adiuvet de illl[u] rebottu qui mal consiliu li mise in corpu La Postilla amiatina (San Salvatore di Monte Amiata, non molto distante da Grosseto; 1087): «Ista cartula est de caput coctu. / Ille adiuvet de illl[u] rebottu / qui mal consiliu li mise in corpu». Tre versi (forse endecasillabi), con assonanza, misti di latino e volgare, scritti dallo stesso notaio che redasse la cessione dei beni fatta da Micciarello e la moglie, Gualdrada, in favore dell'abbazia di San Salvatore. Controverso è il significato della postilla. La donazione sarebbe stata fatta per evitare guai, e magari sortilegi (la Postilla sembra un breve, un talismano), che un mal consiliu di rebott/u/ (il diavolo? un avversario? un «consigliere fraudolento»?) poteva procurare a caput coctu (o Caput-coctu «testa-cotta», evidente soprannome). Qualcuno pensa anche ad una donazione fittizia, per evitare aggravi fiscali (il «mal consiglio» sarebbe dunque la frode). Per la lingua, si possono mettere in evidenza almeno le finali in -u.
L’iscrizione di San Clemente (fine XI sec.) Sisinium: "Fili dele pute, tràite". Gosmarius: "Albertel, trai". "Fàlite dereto colo palo, Carvoncelle". (San Clemente:) "Duritia(m) cordis vestri(s), saxa traere meruistis" L'Iscrizione di San Clemente (fine XI secolo). L’affresco della Basilica di San Clemente a Roma rappresenta un frammento della Passio Sancti Clementis. Sisinnio, prefetto di Roma, volendo eliminare certi suoi dubbi, segue non visto la moglie Teodora, la quale, infatti, diventata cristiana, entra in una catacomba per assistere ad una Messa celebrata da papa Clemente (88-97). Ivi la raggiunge l'irato marito, ma nello stesso istante egli viene colpito da cecità; e rie ottiene la vista solo per intercessione del santo pontefice. Invece di dimostrargli gratitudine, Sisinnio ordina ai suoi soldati di catturare il papa, ed essi obbediscono. Ma, miracolo!, i soldati sono convinti di aver preso e legato il papa, e lo stesso prefetto ne è testimone, mentre invece essi hanno semplicemente legato una pesante colonna che non riescono a trascinare; donde l'ira e l'imprecazione di Sisinnio: "Fili de le pute, trahite!". Si leggono, a mo’ di fumetto, queste espressioni (la cui attribuzione ai singoli personaggi è fortemente discussa). Due personaggi, Albertello e Gosmari, trascinano una colonna, mentre un terzo, Carboncello, la spinge; Sisinnio sta in atto di chi comanda. Accanto ai protagonisti sono scritte brevi frasi. San Clemente si esprime in latino, quasi con le parole della tradizione, mentre gli altri personaggi usano il volgare: «Sisinium: "Fili dele pute, tràite» = Figli di puttana, tirate « Fàlite dereto co lo palo Carvoncelle» cioè "Fagliti dietro col palo, Carboncello» Il latino serve a spiegare l'affresco e funge da giudizio: « Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis » cioè « La durezza dei vostri cuori vi ha fatto meritare di trascinare pietre ». Le parole di Clemente spiegano perché egli è rappresentato con un sasso. Già nel latino si osservi la necessità di espunzione in duritiam e vestris, e la mancanza dell'h in trahere (e si dovrebbe anche trovare Sisinius, al nominativo), segno che chi scrisse aveva scarsa conoscenza del latino. Per lo stile, nelle frasi in volgare, si rilevi il realistico insulto di Sisinnio, che parla non da patrizio ma da vero popolano (nonostante l'affresco sia in una chiesa e l'argomento sacro); e si noti ancora Albertel, con forma troncata com'è nell'uso parlato; e, in Carvoncelle, la B > v, oltre alla -e finale (non vocativo).
Fonti C. DEL POPOLO, Primi documenti della lingua e della letteratura italiana, in Storia della letteratura italiana, dirr. E. Cecchi - N. Sapegno, Garzanti, Milano 2001. www.treccani.it MIGLIORINI B., Storia della lingua italiana, Bompiani, 1997. SENSINI M., Parole come strumenti, Mondadori, 2010. BOTTIROLI G., CORNO D., Comunicare come, Paravia, 1988.