Chiar. mo prof. Bruno Tonoletti Correlatore:

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Chiar. mo prof. Bruno Tonoletti Correlatore: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA CORSO DI LAUREA INTERFACOLTÀ IN COMUNICAZIONE INTERCULTURALE E MULTIMEDIALE LA RESPONSABILITÀ DEL SERVICE PROVIDER: IL CASO GOOGLE-VIVIDOWN Relatore: Chiar. mo prof. Bruno Tonoletti Correlatore: Chiar. mo prof. Paolo Costa Tesi di Laurea di Giada Di Giovanni ANNO ACCADEMICO 2009/10

Il web 2.0 Anni ’90: Internet si evolve e arriva il cosiddetto web 2.0 Vengono offerti agli utenti nuovi servizi interattivi che permettono loro di creare contenuti e diffonderli in rete: Facebook, Wikipedia, Twitter, MySpace, YouTube e simili

La gestione degli User Generated Content Nasce una nuova figura: l’ aggregatore di UGC che offre i propri spazi e i propri strumenti per la diffusione in rete dei materiali prodotti dagli utenti

YouTube Il più famoso gestore di UGC è YouTube, servizio gratuito di video-sharing che ospita contenuti di ogni genere: spezzoni di programmi, film e serie TV video girati per strada dagli utenti spot pubblicitari montaggi audio/video…

I problemi legati alla gestione degli UGC Tutela dei diritti fondamentali della persona (all’onore, all’immagine, alla reputazione) e del diritto d’autore vs diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.)

I problemi legati alla gestione degli UGC Internet: mezzo diverso da ogni altro per la facilità con cui chiunque diffonde i propri contenuti in tempi strettissimi Il gestore di UGC non può effettuare alcun tipo di controllo preventivo perché: a) è un lavoro tecnicamente e umanamente impossibile; b) non ha le competenze giuridiche per verificare l’effettiva liceità dei dati trasmessi

Un caso giuridico concreto: il giudice italiano condanna

Il fatto 24 febbraio 2010: il Tribunale di Milano condanna Google Inc. Per aver permesso la diffusione in rete di un video lesivo della privacy di un ragazzo disabile, raffigurato mentre veniva vessato e offeso dai compagni di classe

Il video Viene girato da uno dei compagni del ragazzo e caricato su Google Video l’8 settembre 2006, dove rimane per 2 mesi, totalizzando 5500 visualizzazioni. Si vedono quattro bulli che percuotono e insultano il ragazzo, che subisce immobile, mentre il resto della classe sta a guardare, in silenzio.

Una sentenza ‘interessante’ È il primo procedimento al mondo con cui si ritiene penalmente responsabile un Internet Service Provider per contenuti diffusi da terzi attraverso i suoi servizi Google ha già annunciato di voler fare appello alla decisione, definendola una ‘minaccia per il web’.

L’accusa “La tutela della persona umana deve prevalere sulla logica d’impresa”

La difesa di Google “un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito Internet” I dirigenti condannati “non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poiché non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato” Essi sono stati dichiarati “penalmente responsabili per attività illecite commesse da terzi”.

Motivazioni del giudice “Non esiste la 'sconfinata prateria di Internet' dove tutto è permesso e niente può essere vietato” "L'informativa sulla privacy era del tutto carente o comunque talmente nascosta nelle condizioni generali del contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge"

Il fine di profitto La violazione della privacy sussiste perché l’attività di Google è condotta in virtù di un interesse economico

Il fine di profitto il Giudice Magi: “La scritta sul muro non costituisce reato per il proprietario del muro. Ma il suo sfruttamento commerciale può esserlo, in determinati casi e determinate circostanze”

Reazioni alla sentenza In Italia: Beppe Grillo: “Senza il video il bambino sarebbe ancora vittima dei suoi seviziatori” Alessandro Gilioli: “nella sentenza salta il principio fondamentale della responsabilità individuale” Vittorio Zambardino: “sentenza politica…espressione della paura di molti che Internet possa far perdere il controllo sull’informazione”

Reazioni alla sentenza A livello internazionale: Commenti per la maggior parte duri e preoccupati per le sorti del nostro web. Critiche alla sentenza arrivano da giornali quali Le Figaro, il Financial Times, il New York Times, il Wall Street Journal. Gli unici apprezzamenti sembrano venire dalla Spagna (El Paìs, El Mundo)

Un passo indietro: Chi è l’Internet Service Provider?

L’ Internet Service Provider Lett. “fornitore di servizi in Internet”, l’Internet Service Provider (ISP) è un soggetto che offre agli utenti della rete servizi di vario tipo: dalla semplice fornitura di connessione creazione di contenuti di vario genere erogazione di spazi che ospitano contenuti creati dagli utenti hosting provider

L’art. 17 del d. lgs. 70/2003 Il d. lgs. 70/2003 attua la direttiva comunitaria 31/2000 sul commercio elettronico. Art. 17: Assenza di un obbligo generale di sorveglianza a carico del prestatore dei servizi telematici sulle informazioni che trasmette o memorizza, a condizione che collabori con l’autorità per l’individuazione dei responsabili di eventuali attività illecite perpetrate attraverso i suoi servizi

Domande spontanee Perché Google è stata condannata? Come potevano i dirigenti sapere che il contenuto di quel video caricato sulla sua piattaforma l’8 settembre 2006 fosse lesivo della privacy dello sfortunato ragazzo disabile, se non è tenuta a controllare i contenuti prima di renderli accessibili? Basta il fatto che Google sia un’azienda che vuol fare soldi per accusarla di un reato commesso da altri?

Google…un content provider? Il fine di profitto ha portato il giudice a considerare Google come un content provider (quindi equiparabile agli editori dello stampato), e non come un hosting provider (quale è). Per questa ragione è stata esclusa l’applicabilità al caso dell’art. 17 del decreto 70/2003

Perplessità Sarà forse che nel nostro paese qualcuno teme che si possa perdere il controllo sull’informazione? O una sorta di ‘antipatia’ nei confronti del miliardario gigante americano? Domande cui non è proprio semplicissimo dar risposta…

Conclusioni Un caso che apre questioni attuali e di grande interesse per tutti noi Una conferma in appello della decisione potrebbe portare alla FINE di servizi come YouTube in Italia È vero che il guadagno comporta responsabilità, ma bisogna stare attenti a non fare di questa evidenza un pretesto per mettere in difficoltà gli ISP

Conclusioni È necessario usare cautela nel bilanciamento degli interessi – tutti importanti – in gioco, ristabilendo l’importanza del principio di responsabilità personale La libertà d’espressione è alla base di ogni democrazia si possa definire tale A questo punto, non ci resta che attendere la discussione del caso in appello.

Grazie per l’attenzione!