La bioetica e il diritto di morire con dignità

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La bioetica e il diritto di morire con dignità Eutanasia, accanimento terapeutico, suicidio assistito, cure palliative di Giampiero Tre Re

Che cosa c’insegna il caso Welby L’ambiguità dei termini: la vicenda di Welby è stata letta, di volta in volta, come un’uccisione, un suicidio o una semplice “morte” per effetto di una malattia. Il massiccio investimento di tecnologia sulla vita mette in evidenza non solo i limiti della natura ma anche quelli del linguaggio “naturale”. L’ambiguità dei cosiddetti principi della “sacralità della vita” e della “qualità della vita”: nel caso di Welby non hanno consentito di giungere a conclusioni univoche nel giudizio pratico. L’ambiguità di atti umani, per loro natura finalizzati a tutelare la vita e la dignità della persona (dar da mangiare, da bere): un eccessivo impiego di tecnologia dà a questi atti il senso snaturato di un insopportabile prolungamento della morte e di una privazione della dignità del morire.

L’ambiguità semantica della “dolce morte” distinzioni della deontologia medica classica Atti Impiego di mezzi tecnologici Eutanasia diretta/indiretta Eutanasia attiva/passiva Eutanasia volontaria/involontaria proporzionati/sproporzionati ordinari/straordinari

L’ambiguità semantica della “dolce morte” equivocità del termine “eutanasia” Interruzione di accanimento terapeutico Sospensione di cure futili Somministrazione di cure palliative Suicidio medicalmente assistito

La fondazione delle norme In materia etica la scelta dei termini, definizioni, classificazioni e delle argomentazioni in bioetica è tutt’altro che casuale; al contrario, rivela le opzioni preliminari delle diverse teorie di fondazione delle norme. Allo stesso modo, la confusione terminologica e il disordine argomentativo sono indici di una inconsapevolezza dei propri presupposti epistemologici e teorici. basata sulla gravitas materiae, ossia sull’intrinseca natura, sul significato intrinseco dell’atto umano basata sul giusto ordine di mezzi rispetto al fine ultimo, rappresentato dalla persona umana Basata sulla capacità delle conseguenze di un atto di ottimizzare il rapporto costi benefici Teoria deontologica Teoria teleologica Teoria consequenzialista

Teorie bioetiche a confronto Un esempio di teoria deontologica Antonio Spagnolo, docente di Bioetica alla facoltà di Medicina dell'Università Cattolica di Roma Un esempio di teoria consequenzialista Demetrio Neri, Ordinario di Bioetica all’Università di Messina

Teorie bioetiche a confronto Teoria consequenzialista (autonomia) “Ognuno ha il diritto di vivere la propria vita in base a valori molto personali: non vedo perché questo diritto non debba essere esteso anche alla morte” (D. Neri, ordinario di Bioetica all'Università di Messina) Teoria deontologica (rispetto) “La vita è un dono che riceviamo, e come tale va rispettata. Allo stesso modo va rispettata la morte” (A. Spagnolo, docente di Bioetica alla facoltà di Medicina dell'Università Cattolica di Roma).

Teorie bioetiche a confronto Teoria deontologica (dovere oggettivo) Un intervento medico dev'essere proporzionato al beneficio oggettivo che il soggetto ricava, anche se egli non fosse in grado di richiederlo perché incosciente in quel momento”. (A. Spagnolo). Teoria consequenzialista (preferenze soggettive) “Non bisogna "aggiungere giorni alla vita ma aggiungere vita ai giorni", intesa come vita di cui gioire. Non si tratta di fissare uno standard uguale per tutti, poiché ognuno è giudice della qualità della sua vita, ma di ribaltare il modo in cui si tende a vivere. E a morire". (D. Neri)

Teorie bioetiche a confronto Teoria consequenzialista (relativismo) "E’ difficilissimo tracciare una linea di confine tra rifiuto della cura (che a volte diventa accanimento terapeutico) e desiderio "suicida" più o meno conscio. Tutto dipende da come noi, spettatori esterni, concettualizziamo il problema. (D. Neri) Teoria deontologica (assolutismo) “A nessuno è richiesto di continuare a tutti i costi la vita solo per la sua "fisicità", in quanto non è un valore assoluto, ma il fondamento di altri valori" (A. Spagnolo).

Eutanasia: interrogativi sugli scopi un esempio di ragionamento teleologico A chi spetti il potere di decidere se operare l’eutanasia e perché al medico anestesista, allo psichiatra, al magistrato, ai congiunti ad un comitato di bioetica Se un tale immenso potere non sia del tipo “tutto-o-niente” renda impossibile qualsiasi politica pubblica annulli l’autonomia morale di chi è chiamato ad esercitarlo; Competenza e capacità del paziente: chi abbia diritto ad un’eventuale assistenza medica al suicidio ed alla piena “informazione” come accertare competenza e la capacità come prevenire circostanze che accentuino, a suo svantaggio, l’asimmetria di potere esistente nel rapporto col medico Criteri oggettivi di applicazione Dolore Condizioni terminali Carattere letale dei processi patologici in atto

Eutanasia ed accanimento terapeutico Qualsiasi giudizio si ritenga di dover esprimere circa l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, una terza via, equidistante tra accanimento terapeutico e suicidio assistito, sarà comunque possibile trovarla solo smascherando quello che potremmo definire un nuovo pregiudizio, un pregiudizio indotto proprio dall’irruzione massiccia della tecnologia sulle fasi terminali della vita umana: l’idea che vi siano vite indegne di essere vissute e che persone costrette irreversibilmente al di sotto di certi standard qualitativi di salute non possano desiderare altro che smettere di vivere. La tentazione di rinunciare alla ricerca ed alla giustificazione etica di questa terza via, è legata non ad una qualche intrinseca impervietà metafisica del problema, ma al tentativo di respingere precisamente la domanda sull’essenza e il senso ultimo degli atti umani.