15.00 Lettera 124 Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

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15.00

Lettera 124

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce

Carissimo figliuolo, in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso, il quale sangue inebria l'anima sì e per siffatto modo, che al tutto perde sé medesima.

Di sé non vuole che rimanga alcuna particella, fuori del sangue: cioè né tempo né luogo, né consolazione né tribolazione, né ingiurie né scherni né infamie né villanie, né veruna altra cosa, da qualunque altro lato ella viene; né per sé né per altrui, non le vuole eleggere a suo modo, né con veruno suo parere; ma al tutto si sottopone alla volontà di Dio, la quale trova nel sangue di Cristo.

Perché il sangue manifesta la dolce sua volontà, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione; e ciò che dà e permette, è dato a noi per questo fine; per amore è dato, acciocché siamo santificati in lui. Così s'adempie la sua verità.

La sua verità è questa: che ci creò per gloria e lode del nome suo, e perché noi partecipassimo della sua beatitudine e la sua inestimabile carità, la quale perfettamente si gusta e riceve nella visione di Dio.

Or questo ha conosciuto l'anima, e veduto con l'occhio dell'intelletto la volontà del Padre eterno nel sangue del Figliuolo: e questa è la ragione che l'anima annegata nel sangue, illuminata della dolce volontà di Dio, la quale ha trovata nel sangue, non ha mai pena, e non va a suo modo, né sé né altrui vuole mandare secondo i suoi pareri.

E però non ha pena di chi non viva... perché li ha al tutto perduti. Ma a che attende di fare? Quel medesimo che trova nel sangue. Che trova nel sangue? L'onore del Padre eterno e la salute dell'anime. Perché questo Verbo non attese mai ad altro; Si pose in su la mensa della Croce a mangiare il cibo dell'anime, non schifando pene.

Adunque noi, membri, gettiamo a terra noi: nutriamoci del sangue dello svenato e consumato Agnello. Facendolo, abbiamo la vita, e gustiamo l'arra di vita eterna: abbiamo lume, e perdiamo la tenebra nel lume, perdiamo ogni scandalo e mormorazione; che non giudichiamo né con colore di male né con colore di bene.

Ma come noi siamo annegati e perduti nel sangue, così anneghiamo e perdiamo altrui, tenendo di fermo che lo Spirito Santo li guidi. Il contrario di coloro che hanno provato alcuna cosa, e non sono al tutto perduti; spesse volte stanno in grandi pene, facendosi giudici dei costumi e dei modi dei servi di Dio, vengono a scandalo e mormorazione; e fanno mormorare spesse volte, partecipando con altrui le pene e pareri loro.

I quali pareri si debbono smaltire nel sangue, o con la propria persona di cui gli pare, senza mettere mezzo di diverse creature. Se fosse illuminato e annegato nel sangue, lo farebbe: ma perché non è anco in quella grande perfezione della volontà annegata, che si richiede nel servo di Dio, poniamoché sia al tutto perduta nel mondo, gli rimane dei pareri spirituali.

E però non lo fa, si trova ignorante, e per lignoranza viene in molti difetti e inconvenienti. Adunque corriamo, carissimo e dolcissimo figliuolo; gettiamoci tutti nel glorioso e prezioso sangue di Cristo: e non rimanga punto fuori di noi.

E con debita riverenza e pazienza portate ogni fatica, ingiurie e mormorazioni e ogni altra cosa; i servi di Dio con amore e riverenza consigliando; e non mormorando né affermando verun nostro parere di loro. E per questo modo saremo materia e strumento di togliere le mormorazioni; e non di darle. Or così facciamo; e non si faccia altro che nel sangue.

Non vedo che altro si possa fare; e però dissi ch'io desideravo di vedervi inebriato del sangue di Cristo crocifisso, perché pare che sia di bisogno e di necessità. Così voglio che noi facciamo: e specialmente vi prego e costringo che ne preghiate la prima Verità per me (che n'ho bisogno), che mi vi anneghi e mi vi affoghi per siffatto modo, ch'io riceva lume perfetto a conoscere e vedere le pecorelle mie, le perdute e le acquistate; sicché io me le ponga in su la spalla, e ritorni all'ovile con esse.

Grande ignoranza della pecorella è a non conoscere il pastore suo alla voce. Tanto tempo avete udita la voce del pastore che quasi ne dovreste essere maestri; e pare che facciate il contrario, andando dietro alle voci vostre, belando, e non sapendo voi quello che vi diciate.

Andate dietro al giudizio e consigli umani: pare che tutti abbiate perduto il lume della fede, come se il pastore che v'ha data la voce, e vuole dare la vita per la salute vostra, vi chiamasse con altra voce, cioè con quella dell'uomo e non con la divina, e dolce volontà di Dio: dalla quale non si può scordare l'anima per verun detto di creature né per ignoranza delle pecorelle, che non la compia in sé e in altrui.

Così fece il dolcissimo Gesù, che non lasciò per lo scandalo e mormorazione dei Giudei, né per ingratitudine nostra, che non compisse l'onore del Padre e la salute nostra: così deve fare chi Dio ha posto, che séguiti questo Agnello; non volgere il capo addietro per veruna cosa che sia.

E se le inferme pecorelle, che devono essere sane, mormorano come inferme; non deve però il pastore lasciare coloro che stanno a fine di morte, vedendo di potere loro dare la vita, coloro che sono tutti ciechi, per loro che hanno male negli occhi. Non dovete fare così; ma imparate dai discepoli santi; che chi andava e chi rimaneva, secondo che vedevano più l'onore di Dio.

Dobbiamo credere che a chi rimaneva e a chi andava, si suscitavano infinite mormorazioni; e chi andava, non lasciava però d'adoperare l'onore di Dio; e chi rimaneva, non si scordava però della pazienza e del lume della fede, e non perdeva la memoria del ritenere e del ricordare della voce del suo pastore.

Anco, si fortificavano con allegrezza; perché quanto è maggiore lo scandalo, tanto è più perfetta l'operazione che si fa. Adunque siate pecorelle vere; e non temete dell'ombre vostre, né crediate ch'io lasci le novantanove, per l'una.

Io vi dico cotanto, che delle novantanove per ognuna delle novantanove io n'ho novantanove; le quali ora non si vedono se non dalla divina Bontà, che lo sa, Carità increata, il quale per occulto frutto fa portare la fatica dell'andare, la gravezza dell'infermità, il peso degli scandali e mormorazioni. Di tutto sia gloria e lode al nome di Dio. Sicché l'andare e lo stare non s'è fatto, se non secondo la sua volontà, e non secondo quella degli uomini.

La gravezza del corpo, che io ho avuta e ho, e principalmente la volontà di Dio, m'ha tenuta ch'io non sono tornata. Il più tosto che si potrà, e lo Spirito Santo ce lo permette, torneremo. Godete dello stare e dell'andare; e tutte le vostre cogitazioni si riposino qui su, tenendo che ogni cosa fa e farà la divina Provvidenza.

Se non ch'io sono colei che guasto ciò che Egli fa e adopera, per la moltitudine delle iniquità mie, e così fo danno a voi e a tutto quanto il mondo. Vi prego quanto io so e posso, che preghiate Dio che mi dia lume perfetto, sicché io vada morta per la via della verità. Altro non dico.

Confortatevi in Cristo dolce Gesù. E a tutti ci raccomandate, singolarmente al Baccelliere, e a frate Antonio.... Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.