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GIOVANNI PASCOLI A cura della Prof.ssa Maria Isaura Piredda.

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1 GIOVANNI PASCOLI A cura della Prof.ssa Maria Isaura Piredda

2 LA VITA

3 Era il quarto di dieci figli
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna (Forlì) il 31 dicembre 1855 Era il quarto di dieci figli Pascoli con il padre Ruggero ed i fratelli Giacomo e Luigi

4 Il padre era fattore nella vasta tenuta dei principi Torlonia
Villa Torlonia Il padre era fattore nella vasta tenuta dei principi Torlonia Nel 1862 entrò nel collegio dei padri Scolopi (fino al 1871)

5 Il 10 agosto 1867, giorno di San Lorenzo, il padre venne ucciso da sicari sconosciuti
Questo evento radicò nel poeta la sua ossessiva percezione della presenza in ogni cosa del mistero e della morte

6 In seguito la famiglia si trasferì nella casa materna (a San Mauro)

7 In pochi anni morirono la sorella maggiore Margherita (1868); pochi mesi dopo morì la madre; nel 1871 il fratello Luigi; nel 1876 il fratello Giacomo Pascoli con la madre

8 Nel 1872 concluse gli studi liceali (prima a Firenze e poi a Cesena) e si iscrisse (grazie ad una borsa di studio vinta con un concorso il cui esaminatore era Carducci) alla facoltà di Lettere di Bologna (dove insegnava lo stesso Carducci)

9 Nel periodo universitario aderì al movimento socialista rivoluzionario di Andrea Costa
Per avere partecipato ad una dimostrazione filoanarchica, nel settembre 1879 Pascoli venne arrestato e incarcerato Pascoli nel 1882

10 Dopo quattro mesi di prigione, venne assolto al processo (grazie ad una testimonianza favorevole di Carducci)

11 In seguito il socialismo di Pascoli si attenuò, trasformandosi in un generico umanitarismo (misto di vaghi ideali nazionalistici e patriottici) Si laureò nel 1882 con una tesi sull’antico poeta greco Alceo

12

13 ALKAIOS, tesi di laurea di Giovanni Pascoli. 17 giugno 1882

14 Nel 1883 cominciò una lunga carriera d’insegnamento come docente di latino e greco nei licei (a Matera, Massa e Livorno) In questi stessi anni scrisse le prime liriche di Myricae Cresceva la sua fama letteraria Collaborò a prestigiose riviste (“Vita nuova” e “Convito”, dove pubblica una serie di opere)

15 Nel 1895 Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio di Barga, in Toscana
Più tardi l’acquistò grazie alle medaglie d’oro vinte ai concorsi internazionali di poesia latina di Amsterdam

16 Sempre nel 1895 fu chiamato all’insegnamento universitario di grammatica latina e greca (a Bologna, Messina e Pisa) e poi nel 1905 alle cattedra di letteratura italiana di Bologna (come successore di Carducci)

17 Nel 1903 era stato pubblicato il suo secondo libro di versi, i Canti di Castelvecchio
La crescente fama lo mise in mostra anche come oratore ufficiale in momenti celebrativi (scrisse alcuni famosi discorsi, tra cui La grande proletaria si è mossa (1911)

18 Pascoli morì a Bologna nel 1912
Il giorno del funerale di Pascoli La tomba di Pascoli a Castelvecchio (Lucca)

19 Il “nido” domestico e la paura della vita
Pascoli con le sorelle Maria e Ida

20 La vita di Pascoli fu povera di eventi esteriori, dedicata a uno scavo intimo, a un continuo rifugiarsi nelle memorie, contro l’urto angosciante del presente Si svolse tra pochi luoghi (la campagna romagnola dell’infanzia, le diverse sedi d’insegnamento, la casa di Castelvecchio, dove il poeta tornava ogni volta che gli era possibile)

21 La sua tendenza a rinchiudersi nel “nido” domestico si spiega con la fondamentale paura del vivere, sentimento che ostacolò, tra l’altro, il rapporto con le donne e l’amore

22 Da qui la sua “disperazione” per il fidanzamento e il matrimonio (1895) della sorella Ida

23 A quel tradimento del “nido” Pascoli e l’altra sorella Mariù risposero rifugiandosi nella casa (“bicocca”) di Castelvecchio

24 Assieme a Maria Pascoli divenne il custode delle memorie della famiglia d’origine (che includeva genitori, fratelli e sorelle, vivi e morti)

25 Dedicò Myricae alla memoria del padre, i Canti di Castelvecchio a quella della madre e i Poemetti alla sorella Mariù

26 Poeta e società: la diversa posizione di Pascoli e D’Annunzio

27 Confronto tra Pascoli e D’Annunzio
Vive isolato È un brillante uomo di società È fedele a pochi luoghi È un avventuriero senza fissa dimora Introverso, avaro, pignolo e propenso all’invidia Prodigo nelle spese, capace di amicizie, uomo di molti amori e di molti debiti Vita trascorsa tra eventi quasi solo interiori Vita piena di colpi di scena e vissuta con l’intenzione di farne un’opera d’arte Idealizzò il mondo contadino e i valori comunitari Teorizzò il disprezzo della folla della gente comune

28 A un’analisi più approfondita, però, risulta chiaro che l’uno e l’altro incarnano, pur se da punti d vista opposti, la frattura che si stabilisce, proprio all’inizio del Novecento, tra il poeta e la società Incarnano la distanza che oppone la folla a chi è invece dotato di una sensibilità tutta individuale ed ha bisogno perciò di condurre un’esistenza separata e di parlare un linguaggio unico

29 IL PERCORSO DELLE OPERE

30 Lo sperimentalismo pascoliano

31 Nella casa di Castelvecchio (in provincia di Lucca) sono ancora conservati per i visitatori i tre tavoli da lavoro del poeta: il primo riservato alla poesia in italiano il secondo alla poesia in latino il terzo agli studi su Dante

32 I tre tavoli rappresentano la ricca sperimentazione di Pascoli, che ricercò più strade simultaneamente Pascoli non ebbe un’evoluzione progressiva nel tempo, ma ne coltivava diverse e tutte contemporaneamente Pascoli era un unico artista con tante facce: poeta, prosatore, critico; poeta in latino e poeta in italiano; poeta campagnolo e poeta nazionalista

33 La novità di Myricae

34 Pascoli esordì nel 1891 con la raccolta Myricae (cioè, dal latino, “tamerici”, alberi diffusi nella macchia mediterranea) Fin dal titolo presentò la propria poesia come un’arte fatta di cose semplici e umili

35 Infatti nel libro si succedono quadretti (in pochi versi) che delineano:
immagini della vita della campagna (Lavandare, Arano, Novembre) brevi memorie della propria terra e dell’infanzia (Romagna, X Agosto)

36 Myricae propone una vera rivoluzione per la poesia italiana, sia per i temi (soggetti umili e dimessi, sviluppi brevi) sia per lo stile (con l’uso di analogie e di simboli) Queste novità si riassumono nella poetica del “fanciullino” (che suggerisce lo sguardo “piccolo” sulla realtà, lo sguardo del poeta-fanciullo, opposto alla figura del poeta-maestro, del poeta-vate, alla maniera di Carducci)

37 I Poemetti

38 Nel 1897 furono stampati i Poemetti, destinati a crescere nel tempo
In seguito saranno divisi in due parti Primi poemetti (1904) Nuovi poemetti (1909)

39 Protagonista dei Poemetti è la campagna
Il “fanciullino” che è in Pascoli cerca nella natura elementi di poesia ingenua e spontanea Si tratta di componimenti più lunghi e “costruiti” rispetto a Myricae Sono scritti in terzine, sul modello di Dante

40 Un’ampia parte di questi componimenti costituisce una sorta di storia romanzata di una famiglia toscana, osservata attraverso i vari momenti della vita contadina

41 I Canti di Castelvecchio

42 Nel 1903 furono pubblicati i Canti di Castelvecchio
Il titolo richiama la casa dove Pascoli volle ricostituire con la sorella Mariù il “nido” degli affetti familiari Predominano ancora i temi tratti dalla vita della campagna, cui si mescolano liriche ispirate dai ricordi dell’infanzia vissuta a San Mauro e dai familiari scomparsi

43 I Canti di Castelvecchio costituiscono il libro più maturo di Pascoli
Nell’opera Pascoli fa un uso sistematico del simbolismo e dell’analogia (strumenti poetici più idonei a cogliere il misteri di cui il poeta si sente circondato)

44 L’originale classicismo dei Poemi conviviali

45 I Poemetti conviviali (1904) sono venti coltissimi poemetti, scritti in endecasillabi (sciolti o raccolti in strofette) in cui Pascoli imita il tono degli antichi carmina (= solenni poesie recitate durante i banchetti in onore degli eroi leggendari o di personaggi illustri) Pascoli canta figure derivate dalla storia e dalla mitologia greca (Alessandro Magno, Ulisse, Omero)

46 Neanche in questi componimenti, però, Pascoli rinuncia alle tematiche a lui più care, come la presenza del mistero Il classicismo pascoliano (a differenza di quello di Carducci che è rimpianto e nostalgia della virtù di un tempo) si sofferma su un mondo pieno di inquietudine e anche di dolore e di fallimento Nel linguaggio prezioso e raffinato del classicismo, Pascoli trasferisce le inquietudini della propria anima moderna

47 L’ultimo Pascoli

48 Le ultime raccolte (Odi e Inni del 1905; Le canzoni di re Enzio del rimaste incompiute; i Poemi italici del 1911; i Poemi del Risorgimento usciti postumi nel 1913) rappresentano una forte involuzione e un chiaro abbandono della poetica del fanciullino

49 Pascoli si presenta come il nuovo poeta-vate della nazione successore di Carducci
Canta temi storici, personaggi resi illustri dalle scoperte geografiche o scientifica o da gesta di valore, celebra il Risorgimento o le virtù civili, in un linguaggio ancora sperimentale, ma che applicato a quegli argomenti appare molto artificioso

50 Le poesie in latino

51 Pascoli fu anche autore di un centinaio di poesie latine, i Carmina, più volte premiate al concorso di poesia latina di Amsterdam a partire dal 1892 In particolare Veianus (1891), Gladiatores (1892), Fanum Apollinis (1904) Il latino usato non è quello classico (di Cicerone e Virgilio), ma il latino dei secoli della “decadenza” I protagonisti delle poesie sono per lo più figure di umili e oppressi

52 Le prose

53 Pascoli scrisse anche prose:
Il sabato (1896) = opera di teoria poetica Il fanciullino (1897) = opera sulla poetica La ginestra (1898) = saggio critico su Leopardi Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1901) = saggi critici sul simbolismo della Divina Commedia di Dante (che Pascoli amò moltissimo)

54 A uso delle scuole Pascoli compilò due antologie di poesia latina (Lyra romana ed Epos) e due di letteratura italiana (Sul limitare e Fior da fiore) Pascoli tenne anche discorsi ufficiali, tra questi in occasione della guerra di Libia (1911) La grande proletaria si è mossa, in cui il “nido” familiare sembra allargarsi all’intera nazione

55 LA POETICA DEL “FANCIULLINO” E IL SUO MONDO SIMBOLICO

56 Dalla visione oggettiva a quella soggettiva
La poetica pascoliana riflette la situazione culturale fra Otto e Novecento, caratterizzata dal rifiuto del Positivismo, dalla sfiducia nella scienza e nella ragione umana Per Pascoli la realtà non conta come realtà oggettiva, ma come l’uomo riesce a vederla e a “sentirla” dentro di sé, come realtà soggettiva

57 Le piccole cose, per esempio quelle della campagna o dell’infanzia, assumono per Pascoli più importanza delle cose grandi (per esempio i fatti della storia) Se le si guarda con attenzione, le piccole cose possono farci intuire i valori autentici della vita Non si può capire la realtà con il ragionamento ma soltanto immedesimandosi con essa, come fanno i bambini e i poeti

58 Incapaci di penetrare con la ragione i segreti della natura, gli uomini possono averne una percezione grazie alla poesia, a cui spetta, dunque, un compito di rivelazione

59 La teoria del “fanciullino”
Le concezioni di Pascoli sugli scopi della poesia sono espresse in un suo scritto Il fanciullino (pubblicato nel 1897 sulla rivista fiorentina “Il Marzocco”)

60 Secondo Pascoli, in ogni uomo c’è un “fanciullo”, capace di commuoversi e di sperimentare ogni giorno emozioni e sensazioni nuove Spesso il “fanciullino” è soffocato e ignorato dal mondo esterno, ma se si risveglia fa sognare a occhi aperti, fa scoprire i lato attraente e misterioso di ogni cosa, fa volare con la fantasia in mondi meravigliosi

61 Il “fanciullino” osserva le piccole-grandi cose della campagna con una prospettiva rovesciata:
le cose grandi le vede piccole le cose piccole le ingrandisce

62 Il fanciullo non è una condizione anagrafica, ma interiore
L’individuo cresce e invecchia, ma il “fanciullino” rimane piccolo dentro di lui L’importante è non soffocare questa voce che ancora vibra nella parte dell’anima rimasta “fanciulla”

63 Il poeta-fanciullo Chiunque riesca a conservarsi fanciullo può:
guardare la realtà circostante con stupore ed entusiasmo percepire il lato bello e commovente di ogni situazione oltrepassare, con la fantasia, le apparenze comuni e banali

64 Il fanciullino è colui che sa osservare poeticamente il mondo
Il poeta, per Pascoli, è colui che, come i fanciulli, ha mantenuto l’infantile capacità di meravigliarsi e d’intuire, piuttosto che di ragionare

65 Da lui nascerà una poesia “fanciulla”: senza eloquenza, senza dottrina né imitazione dei grandi scrittori del passato Sarà una poesia che si ispirerà allo stormire delle fronte, al canto dell’usignolo, all’arpa che tintinna

66 Il fanciullo (come il poeta) “vede” ogni cosa con occhio incantato
Le “vede” in maniera discontinua, slegata (come il poeta esprime le proprie immagini in maniera istintiva, non razionale) Il fanciullo vede solo i primi piani (non il vicino e il lontano, il prima e il dopo) e tutto gli appare parimenti importante, così al poeta-fanciullo sfuggono le giuste dimensioni perché egli giustappone le immagini e le sequenze una dopo l’altra, senza rielaborarle nel giusto ordine

67 Il fanciullo non si sente superiore rispetto alla natura, anzi si immerge con timore in essa, parla agli animali e alle nuvole, s’immedesima con i fili d’erba Anche le parole del poeta-fanciullo sono quelle incontaminate della gente semplice di campagna, sono parlate dialettali, gerghi di arti e mestieri, i versi degli uccelli

68 Il simbolismo pascoliano
La poetica del “fanciullino” fa di Pascoli un poeta simbolista In Pascoli la parola poetica si carica della soggettività dell’io-poeta, che dice le cose non come sono, ma come le sente L’intima conoscenza della realtà può essere espressa solo mediante il simbolo

69 Cose e presenze naturali sono viste come emblemi di altre realtà, rappresentazioni di un mondo ignoto e invisibile, messaggi da ascoltare e decifrare Lo sguardo del poeta-fanciullo si ferma incantato ora su una foglia ora su un fiore, rimane senza fiato davanti a nuvole, stelle, voli d’uccello, però ciascuna di queste cose per lui è un flash (un’immagine-simbolo) del mistero indefinibile del mondo

70 I simboli più ricorrenti in Pascoli sono:
le campane (che suonano per evocare un’atmosfera di sogno, o per accendere la memoria dell’infanzia, mimate da parole onomatopeiche) i fiori, talvolta intesi come simbolo della sessualità bloccata (perchè il mondo di Pascoli è privo di relazioni con gli altri) gli uccelli (i più citati) che si collegano al simbolo fondamentale del “nido”

71 L’immagine simbolica più importante è quella del “nido”, in senso metaforico:
“nido” è la casa, in cui rinchiudersi per sfuggire al male che sta fuori “nido” è la famiglia, oltre la quale, per il poeta-fanciullo, vi sono solo i malvagi “nido” è, per estensione, anche la patria, madre dei suoi figli

72 Gli studiosi ritengono che il motivo poetico del nido in Pascoli sia sintomo di:
“regressione all’infanzia” (cioè del desiderio di tornare alla condizione infantile di sicurezza) istintiva diffidenza verso ciò che è sconosciuto, verso il mondo esterno o adulto riflesso delle paure che un giovane della società rurale di fine Ottocento nutriva verso la civiltà industriale e borghese

73 Accanto al simbolo del nido, vi è la figura della madre, custode dei riti e dei sentimenti di quanti (vivi e morti, uniti indissolubilmente) si riconoscono nel nido o gli sono appartenuti Perciò all’immagine del nido si lega quella della culla, sorta di prolungamento del seno materno (il bambino si addormenta tranquillo in braccio alla mamma, dimentica ogni insicurezza anche se fuori infuria la tempesta)

74 La crisi dell’uomo contemporaneo
Le immagini del nido e della madre sono da interpretare come una reazione al male, a un contesto negativo Il nido è un rifugio contro il dolore, i lutti, le violenze del mondo

75 Tutto il pensiero di Pascoli prende il via dall’evento-choc consumatosi quando il poeta aveva solo dodici anni: il padre in una pozza di sangue, ucciso da una cieca violenza Da questo momento in poi, tutta la storia al poeta appare cattiva Infatti l’immagine del nido si accompagna regolarmente a quella dei pericoli che incombono sul nido stesso

76 Solo nel nido si può vivere, fuori ci sono solo solitudine e incomprensione
Perciò nella poesia pascoliana non compare la vita di paese (come negli idilli leopardiani) Il male più grande per Pascoli è la dispersione del nido (quando si deve lasciare la casa, quando muore un fratello o la madre, quando qualcuno si allontana per sposarsi)

77 Ogni partenza dal nido è un tradimento (come il fidanzamento della sorella Ida)
Lo stessa biografia di Pascoli testimonia che il poeta non è mai riuscito ad uscire dal “nido” (a vivere un’esistenza adulta) In definitiva il “nido” di Pascoli diviene il simbolo poetico dell’inettitudine, dell’incapacità di vivere raffigurata da molti autori del Novecento Le raccolte poetiche di Pascoli, dunque, danno voce al fondamentale disagio e alla crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo

78 LO STILE E LE TECNICHE ESPRESSIVE

79 Una “lingua speciale” per la poesia
La poetica del “fanciullino” comportava importanti novità rispetto alla poesia precedente Pascoli mette in versi sogni, incubi, visioni, in cui pone sullo stesso piano il reale e l’irreale, giungendo a inscenare impossibili colloqui fra vivi e morti

80 Tutto ciò implica nuove soluzioni formali sul piano:
Fonico (dei suoni) Semantico (le scelte lessicali) Ritmico e metrico Sintattico Retorico

81 I suoni Sul piano fonico Pascoli fa largo uso dell’onomatopea (cioè parole o espressioni che riproducono un rumore o un suono particolare), per es: “un bubbolìo lontano” per indicare un temporale “lo sciabordare delle lavandare” per indicare il lavoro ritmato delle donne al lavatoio “un gre gre” per indicare il suono emesso dalle rane “don, don” per indicare i rintocchi delle campane e poi i suoni degli uccelli (scilp, videvitt, chiù)

82 Le scelte lessicali Sul piano lessicale Pascoli sperimenta molteplici soluzioni: Talora un linguaggio prezioso e raro (che suscita nel lettore una sensazione di mistero) A volte vocaboli tratti dal linguaggio settoriale (o di qualche mestiere) Altrove utilizza un linguaggio “pregrammaticale” dei bambini e/o quello “agrammaticale” degli illetterati (es. il termine “bisini” per dire “business”)

83 La metrica Lo sperimentalismo pascoliano non abolisce la metrica tradizionale Riutilizza sistemi metrici e ritmici tradizionali o antichi (il sonetto, la terzina di endecasillabi danteschi, le strofe della poesia greca o latina), conservando anche l’uso della rima Però rivisita queste forme con accenti e ritmi del tutto inediti (spezzando il verso con puntini di sospensione, punti esclamativi o interrogativi) Talvolta rende il ritmo poetico simile a un singhiozzo, talora tende ad avvicinarsi alla nenia, alla cantilena dei bambini, etc.

84 Una sintassi soggettiva
Sul piano sintattico, Pascoli rifiuta costruzioni tradizionali Prevale in lui una visione soggettiva e incerta della realtà: l’uomo è circondato da mistero e il mondo è tutt’altro che chiaro e univoco (non offre cioè un solo significato) Da qui l’uso di frasi ellittiche (prive di soggetto o verbo, soprattutto dell’ausiliare “essere”), della coordinazione (anziché la subordinazione) I periodi (per lo più brevissimi) si accavallano, come a tradurre il punto di vista infantile Gli elementi della frase sono accostati senza congiunzioni, ma per analogia (in base a ciò che le parole stesse suggeriscono)

85 Analogia e sinestesia: la sperimentazione retorica
Pascoli usa l’analogia: soppressione del “come” (dei passaggi logici tra due termini) e accostamento di due concetti che fra loro non avrebbero un nesso logico (che viene fornito dall’immaginazione del poeta) Es. “soffi di lampi” o “sospiro di vento”

86 Pascoli, inoltre, usa le figure retoriche che si prestano ad evocare sensazioni suggestive, come la sinestesia (accostamento di parole appartenenti a sfere sensoriali diverse). Es.: “tremolio sonoro” (livello visivo/tattile e livello uditivo) “soffi di lampi” “pigolio di stelle” “odor di sole” “tacito tumulto” (che è un ossimoro, cioè un’associazione contraddittoria)

87 Arano (Myricae – Ultima passeggiata)
Al campo, dove nei filari della vite brilla qualche foglia di rosso, e la nebbia sembra uscir dai cespugli come un fumo, arano i contadini : qualcuno dà  grida prolungate, un altro spinge le lente vacche, altri seminano, uno ribatte le zolle di terra fra i solchi con la sua zappa che sostiene la sua fatica. Il passero astuto ( perché sa che dopo beccherà i semi)  osserva tutto dai rami spogli del gelso, già gode in cuor suo  mentre nelle siepi si sentono i versi  del pettirosso simile al tintinnio dell’oro Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, arano: a lente grida, uno le lente vacche spinge; altri semina; un ribatte le porche con sua marra paziente; ché il passero saputo in cor già gode, e il tutto spia dai rami irti del moro; e il pettirosso: nelle siepi s'ode il suo sottil tintinno come d'oro.

88 La lirica fu stampata per la prima volta nel 1886 in omaggio al matrimonio dell’amico Severino Ferrari Presente sin dalle prime edizioni di Myricae, fa parte della sezione “L’ultima passeggiata” È un madrigale di 2 terzine e 1 quartina di versi endecasillabi con rime incatenate nelle terzine (ABA CBC) e alternate nella quartina (DEDE) È dedicata alla scena campestre dell’aratura

89 La prima terzina è ricca di dettagli atmosferici e coloristici: la luminosità delle foglie rossastre, la nebbia mattutina che, nel freddo, sale fumando dai cespugli La sintassi è lenta, con un tono nostalgico ed evocativo

90 La seconda terzina è caratterizzata dalla frantumazione del discorso attraverso la punteggiatura
Emerge un senso di monotonia e di solennità, soprattutto nella ripetizione “a lente grida… le lente/vacche” e dall’aggettivo “paziente” alla fine del periodo

91 Nella quartina finale lo sguardo si distoglie dal lavoro umano ed è attratto dal passero avido di gettarsi sui semi e dal canto acuto del pettirosso

92 Ciò che il poeta descrive non è tanto l’aratura quanto le sensazioni che essa suscita nell’animo
Lo sguardo di Pascoli è sempre soggettivo e in ogni dettaglio descritto si rispecchia l’animo dell’autore

93 Il lessico è caratterizzato dall’alternarsi di vocaboli raffinati e colti (roggio, mattinal, saputo, irti, moro) e parole attinte dal mondo contadino (pampano, fratte, porce, marra)

94 Il ritmo irregolare del componimento era sconosciuto alla tradizione poetica ottocentesca:
lo spostamento al v. 4 del verbo principale arano l’enjambement fra i vv. 4 e 5 le pause e le fratture (accentuate dai segni di interpunzione) sono mezzi con cui imitare la stanchezza del lavoro campestre

95 A livello fonico è caratteristico l’uso dell’onomatopea (es
A livello fonico è caratteristico l’uso dell’onomatopea (es. “suo sottil tintinno” che riproduce il suono argentino del pettirosso)

96 Lavandare (Myricae – L’ultima passeggiata)
Nel campo mezzo arato e mezzo no (la metà grigia è quella non ancora arata, mentre la metà nera è quella in cui la terra è stata rivoltata dall’aratro) rimane un aratro abbandonato che sembra dimenticato, nella nebbiolina. Il ritmo cadenzato (rima con dimenticato del v.3 – rima interna – e indica il ritmo monotono e sempre uguale del lavoro delle lavandaie) proviene dal fossato (gora) dove le lavandaie sciacquano nell'acqua i panni con frequenti colpi sordi e lunghi  canti popolari. [In questa strofa Pascoli riprende quasi per intero il testo di un canto popolare marchigiano.] il vento soffia e dai rami le foglie cadono come fiocchi di neve  e tu non fai ritorno al tuo paese! Quando partisti sono rimasta abbandonata come l’aratro in mezzo al campo non arato Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggiero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l'aratro in mezzo al maggese.

97 Il componimento venne aggiunto a Myricae nella terza edizione del 1894 (nella sezione “L’ultima passeggiata”) È un madrigale (2 terzine e una quartina) di endecasillabi con schema ABA CBC DEFE

98 Nella prima strofa viene raffigurato l’aratro, insolitamente abbandonato nel campo che è avvolto da una nebbiolina leggera Nella seconda terzina si ode lo “sciabordare cadenzato” delle lavandaie e i “tonfi spessi” dei panni con “lunghe cantilene” che ritmano il lavoro La strofa finale riprende un canto popolare marchigiano L’ultimo verso ripropone l’immagine dell’aratro solitario

99 FIGURE RETORICHE (lo sciabordare = onomatopea e rima interna -are) spessi-tonfi/lunghe-cantilene = chiasmo, (sostantivo-aggettivo/aggettivo-sostantivo) vento soffia e nevica la frasca = chiasmo, come....aratro = similitudine

100 X Agosto (Myricae – Elegie)
San Lorenzo , io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto : l'uccisero: cadde tra i spini; ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!

101 parafrasi San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero di stelle nell’aria serena s’incendia e cade, perché un così gran pianto risplende nel cielo. Una rondine ritornava al suo nido: l’uccisero: cadde tra rovi spinosi: ella aveva un insetto nel becco: la cena per i suoi rondinini. Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e i suoi rondinini sono nell’ombra, che attendono, e pigolano sempre più piano. Anche un uomo tornava alla sua casa: lo uccisero: disse: Perdono; e nei suoi occhi sbarrati restò un grido: portava con sé due bambole per le figlie... Ora là, nella solitaria casa, lo aspettano, aspettano invano: egli, immobile, stupefatto mostra le bambole al cielo lontano. E tu cielo, dall’alto dei mondi sereni, che sei infinito, immortale inondi con un pianto di stelle quest’atomo opaco del male!

102 Questo componimento fu pubblicato per la prima volta sulla rivista “Il Marzocco” il 9 agosto 1896
Poi fu inserita in Myricae (quarta edizione 1897) La poesia è composta da sei quartine in cui si alternano endecasillabi e novenari piani in rime alternata. (ABAB CDCD…)

103 Questa poesia rievoca uno degli eventi più dolorosi della vita di Pascoli: la morte del padre (Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta La Torre dei principi Torloni), assassinato mentre tornava a casa il giorno di San Lorenzo L’assassinio del padre viene accostato alla morte di una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi rondinini (così come il padre che ritornava a casa portava due bambole alle figlie). Il nido e la casa svolgono il ruolo di metafora degli unici rapporti d'amore possibili in un mondo d'insidie e di contrasti. A soffrire per questo tragico evento non vi è solo Pascoli ma anche il Cielo che nella notte di San Lorenzo (famosa per il fenomeno delle stelle cadenti) piange

104 Successivamente la figura del cielo si contrappone a quella della terra: il cielo è infinito, immortale, immenso, mentre la terra non è altro che un piccolo atomo di dolore. In conclusione, secondo Pascoli, il cielo di fronte a questo triste fatto invade la terra con un pianto di stelle. Nella poesia il tema del nido è ribadito dal paragone con la rondine che torna al suo “nido”… ma sia il padre che la rondine sono attesi invano!

105 L’assiuolo (Myricae – In campagna)
Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù... Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com’eco d’un grido che fu. Sonava lontano il singulto: chiù... Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento: squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più?...); e c’era quel pianto di morte... chiù...

106 parafrasi Mi domando dove fosse la luna, visto che il cielo aveva un colore chiaro e il mandorlo e il melo sembravano sollevarsi per vederla meglio. Da nuvole nere in lontananza venivano dei lampi mentre una voce nei campi ripeteva: chiù. Solo poche stelle brillavano nella nebbia bianca. Sentivo il rumore delle onde del mare, sentivo un rumore tra i cespugli, sentivo un’agitazione nel cuore al ricordo di una voce che evocava un dolore antico. Si sentiva un singhiozzo lontano: chiù. Sulle vette dei monti illuminate dalla luna, soffia un vento leggero mentre il canto delle cavallette sembra il suono dei sistri funebri che bussano alle porte della morte che forse non si aprono più?… e continua insistentemente un pianto funebre … chiù.

107 Il componimento appare in Myricae nel 1897
È costituito da tre stanze (doppie quartine) di versi novenari con schema ABABCXCx (X corrisponde alla rima fissa “ù” e x alla parola-rima “chiù”)

108 Il componimento delinea un paesaggio notturno, animato da molti elementi naturali
Su tutto grava un diffuso senso di inquietudine e di mistero acuito dal verso dell’assiuolo (rapace notturno simile al gufo che i contadini chiamano “chiù” e ritengono annunziatore di disgrazie) La sua voce risuona nei campi come un singhiozzo, un lugubre annuncio


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