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Elementi di linguistica sarda
Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 16
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Il sardo: una lingua fra tante lingue
Secondo una stima per forza di cose approssimativa, nel mondo si parlano all’incirca lingue: una vera e propria Babele! Alcuni studiosi, però, hanno calcolato con cifre precise che un simile patrimonio dell’umanità è in grave pericolo: ogni anno, infatti, nel mondo scompaiono all’incirca 25 lingue. Andando di questo ritmo, fra 100 anni il loro numero sarà praticamente dimezzato: si tratta di un vero e proprio «olocausto che fluisce senza sosta, apparentemente nell’indifferenza generale» (C. Hagège).
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Lingue “forti” e lingue “deboli”
Per comprendere meglio il quadro linguistico del nostro pianeta e, per così dire, i rapporti di forza fra i diversi idiomi, occorre tenere a mente un altro dato: il 4% delle lingue è parlato dal 96% della popolazione mondiale o, si può anche metterla così, il 96% delle lingue è parlato dal 4% della popolazione mondiale. Ciò significa che nel mondo ci sono pochissime lingue che si dividono la gran parte dei parlanti, mentre alle restanti, assai più numerose, ne rimane un numero molto esiguo (si è stimato che sono quasi le lingue che hanno meno di parlanti).
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Spinte verso il monolinguismo?
Per provare a intendere più in profondità le dinamiche che governano l’attuale panorama linguistico mondiale, è utile esaminare anche la distribuzione delle lingue del mondo: il 4% ca. di esse è parlato in Europa, il 15% ca. nelle Americhe, il 31% ca. in Africa, il 50% ca. in Asia e nel Pacifico. Partendo da questi dati, lo storico Peter Burke ha commentato: «Dal punto di vista dell’intero genere umano, ogni lingua può essere considerata un tesoro, che fornisce un contributo al patrimonio culturale comune. Per una determinata regione, invece, questo tesoro non rappresenta necessariamente un vantaggio, almeno sul piano economico. Anzi, si potrebbe dimostrare l’esistenza di un rapporto inverso, per cui le regioni povere sono ricche di lingue e viceversa».
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La situazione del sardo
In attesa di esaminare più da vicino il quadro sociolinguistico della Sardegna (ove abbiamo visto che, oltre al sardo, si parlano anche varietà non sarde come il gallurese, il sassarese, il tabarchino e il catalano di Alghero), si può anticipare che recenti indagini parlano di un numero di dialettofoni superiore al milione. Al fianco di questo dato, che parrebbe indicare per il sardo una situazione non drammatica, ne va tuttavia considerato un altro assai meno incoraggiante: l’Atlante delle lingue del mondo in pericolo di scomparsa, pubblicato dall’UNESCO, classifica il sardo come endangered language, in quanto i suoi parlanti più giovani sono ormai dei giovani adulti.
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Lingua o dialetto? (1) Quando si cerca di fissare il numero delle lingue del mondo sorgono diversi problemi: uno di questi è dato, in alcuni casi, dalla difficoltà di distinguere ciò che è lingua a sé da ciò che è identificato come dialetto di una certa lingua. Ma come si fa a distinguere fra lingua e dialetto? Dal punto di vista strettamente linguistico, questa distinzione non ha alcuna ragione di essere, in quanto ciò che normalmente si intende per “lingua” ha le medesime caratteristiche strutturali di ciò che normalmente si intende per “dialetto”: funzionano, cioè, nello stesso identico modo (hanno un inventario limitato di suoni, una morfologia, una sintassi, un lessico etc.) e hanno le medesime potenzialità.
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Lingua o dialetto? (2) Posto che non esistono idiomi intrinsecamente superiori ad altri, in ogni caso nell’uso comune la distinzione fra lingua e dialetto è ben radicata: è facile udire, ad es., che l’italiano è una lingua, il lombardo o il veneto sono dialetti dell’italiano. Sebbene con incertezze, il dialetto appare di solito inteso nei termini di un sistema linguistico limitato dal punto di vista geografico e da quello culturale, subordinato, privo di una propria autonomia e meno prestigioso rispetto a un idioma ufficiale di riferimento, col quale, però, presenta una particolare affinità per il fatto di derivare da una comune lingua madre.
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Lingua o dialetto? (3) Alcuni dei parametri comunemente impiegati per definire il dialetto mostrano dei limiti evidenti, specialmente quando si provi ad applicarli a situazioni molto distanti fra loro. Dal punto di vista del prestigio, per es., in Italia esistono dialetti che vantano una tradizione letteraria e culturale notevole: basterà pensare al napoletano, al suo teatro (con figure del calibro di Eduardo De Filippo), alla sua letteratura (Giambattista Basile, Salvatore Di Giacomo), alla sua canzone (da Roberto Murolo ai 99 Posse).
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Lingua o dialetto? (4) A entrare in crisi di fronte all’uso concreto dei termini “lingua” e “dialetto” è soprattutto l’idea che l’affinità o l’intercomprensibilità fra due sistemi linguistici sia decisiva per stabilire relazioni dialettali. In effetti, assistiamo di frequente nel mondo a situazioni nelle quali sono considerazioni di ordine politico a determinare l’uso di un’etichetta piuttosto che dell’altra: per es., ci sono Stati in cui si parlano idiomi assai simili, considerabili tutt’al più dialetti di una stessa lingua, che però sono guardati come lingue separate; al contrario, ci sono idiomi profondamente diversi che, per il fatto di esser parlati all’interno di un medesimo Stato, sono considerati dialetti di una stessa lingua (qui gioca talora la preoccupazione di non incoraggiare spinte autonomistiche).
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Lingua o dialetto (5)? Un esempio concreto di ciò che si diceva in precedenza è offerto dal serbocroato, considerato dai linguisti un’unica lingua. Ragioni di ordine storico, culturale e religioso, tuttavia, hanno portato i parlanti ad accentuare le differenze fra il serbo e il croato: il primo, scritto in alfabeto cirillico, lingua dei Serbi (ortodossi), il secondo, scritto in alfabeto latino, lingua dei Croati (cattolici). I Serbi e i Croati sono dunque, come qualcuno ha detto, due popoli divisi dalla stessa lingua: le conseguenze tragiche di questa divisione sono note a tutti.
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Lingua o dialetto? (6) Un caso opposto è offerto dalla Cina: qui si parlano numerosissimi dialetti che possono essere ricondotti a 8 lingue principali, reciprocamente incomprensibili per i rispettivi parlanti. Tuttavia tali parlanti, oltre a una comune storia letteraria e culturale, condividono la stessa tradizione di lingua scritta: coloro che hanno appreso il sistema dei caratteri cinesi sono in grado di comunicare fra loro. Per questa ragione, a dispetto delle differenze linguistiche, il cinese è considerato dai suoi stessi parlanti un’unica lingua, con al suo interno 8 dialetti.
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Lingua o dialetto? (7) Come si vede, la distinzione fra lingua e dialetto è sfuggente e sfaccettata. Un aiuto di semplificazione, specie in riferimento alla situazione italiana e sarda (in cui la distinzione fra lingua e dialetto è molto avvertita), può arrivare adottando il punto di vista della sociolinguistica. «La distinzione fra lingua e dialetto si basa unicamente su criteri di tipo sociale. Dunque, solo collocando un determinato idioma all’interno di una collettività, in un dato momento storico, possiamo classificarlo come lingua o dialetto. Essenziali sono, infatti, le funzioni sociali a cui assolve, le regole d’uso all’interno della comunità e il prestigio di cui gode presso i parlanti» (M. D’Agostino).
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Lingua o dialetto? (8) In definitiva, si può affermare provvisoriamente che quando due o più idiomi sono in contatto presso una certa comunità, sono i parlanti, con l’uso che di essi fanno e con gli atteggiamenti profondi e le opinioni che maturano nei loro confronti, ad assegnare il ruolo di lingua o di dialetto. Tipicamente, la lingua è il codice giudicato – in base a una serie di ragioni di ordine storico, economico e culturale – più utile ai fini della progressione sociale, dunque utilizzato negli spazi di maggiore formalità; il dialetto, invece, è il codice meno prestigioso, relegato ad àmbiti più informali (soprattutto a quello familiare), spesso anche con una serie di funzioni simboliche (identificazione con un certo gruppo sociale etc.).
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Il sardo: lingua o dialetto?
Per rispondere a questa domanda, occorre scegliere una prospettiva: dal punto di vista della sociolinguistica, non v’è dubbio che il sardo, proprio per le funzioni sociali che ricopre nella comunità in cui è utilizzato, le modalità del suo impiego e il prestigio presso i parlanti, sia un dialetto, né più né meno come il siciliano, il veneto etc.; da un altro punto di vista, il sardo può essere considerato una “lingua per distanziazione”; come già rilevava Max Leopold Wagner, il padre della linguistica sarda, «il sardo si deve considerare una lingua per il fatto stesso che la lingua sarda non è confondibile con nessun’altra». In conclusione, converrà prendere coscienza del valore assolutamente relativo, e in alcuni casi anche della pericolosità, di simili etichette.
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La tutela delle lingue In tempi recenti, sono sempre di più le istituzioni (come l’UNESCO o l’Unione Europea) che considerano le lingue, qualsiasi lingua, un patrimonio che merita ogni sforzo per essere preservato, specie quando esse siano in pericolo di scomparsa e la loro sopravvivenza sia stata messa a rischio da condotte repressive nei confronti delle minoranze. Anche la scienza linguistica, con lo sviluppo di una branca giovane quale è la pianificazione linguistica, sta offrendo il proprio contributo alla tutela delle lingue “deboli”.
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Breve bibliografia P. Burke, Lingue e comunità nell’Europa moderna, Bologna 2006. D. Crystal, Language Death, Cambridge 2005. M. D’Agostino, Sociolinguistica dell’Italia contemporanea, Bologna 2007. C. Hagège, Morte e rinascita delle lingue. Diversità linguistica come patrimonio dell’umanità, Milano 2002. M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia, spirito e forma, Nuoro 1997. S. A. Wurm (ed.), Atlas of the World’s Languages in Danger of Disappearing, Barcelona 2001.
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