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MASSIMILIANO STRAMAGLIA AMORE È MUSICA. GLI ADOLESCENTI E IL MONDO DELLO SPETTACOLO, SEI, TORINO, 2011 ADOLESCENTI ALLO SPECCHIO: DELLA MADRE E DELLA MUSICA.

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1 MASSIMILIANO STRAMAGLIA AMORE È MUSICA. GLI ADOLESCENTI E IL MONDO DELLO SPETTACOLO, SEI, TORINO, 2011 ADOLESCENTI ALLO SPECCHIO: DELLA MADRE E DELLA MUSICA

2 PREMESSA Di crescita in crescita, i cicli di vita sono quasi assimilabili a delle canzoni: strofe, bridge e ritornelli, come linee rette, curve e tornanti, accompagnano il divenire incarnato al modo di una colonna sonora dalle cangianti tonalità emotive. La specificità evolutiva dell’amore per la musica è speculare al bisogno d’amore proprio di una fase in cui, abbandonate le certezze dei legami infantili, sorge l’esigenza di comporre in un disegno unitario la verità del Sé per mezzo di nuovi rispecchiamenti. Idea regolativa è che l’amore per la musica e per il mondo dello spettacolo sia una modalità adolescenziale, talora personale, di ritrovare, o eventualmente restaurare, la tenerezza della madre. Musica e spettacolo sono ingredienti fondamentali per il successo di un artista pop (cura dell’immagine, doti canore e coreutiche, esibizione come creazione di atmosfere magiche), ma la prima illusione o magia amorosa esperita dalla persona è l’idea di potere creare il mondo, riflesso dell’amore tenero della madre.

3 LA PERSONA COME SUONO-PER La persona, nella sua essenza, è un ri-suonare. La parola greca prósopon, infatti, indica ciò che si trova “davanti agli occhi”, il “volto”. L’essere “sguardo guardato” è ciò che fa della persona pura presenza. Il lemma “presenza”, con estrema probabilità, deriva non solo dal latino praesum (l’essere innanzi, il presiedere), ma anche da praesentĭo (il presentire, o il prevedere). Persona, pertanto, è colei che si trova “davanti a me”, in situazione (l’attore tragico), e di cui ho un presentimento (il coro dei satiri). E «com’è ben noto, la “persona” era, anticamente, la maschera dell’attore, e dalla maschera l’attore faceva risuonare la sua voce» (Vittorio Cigoli). La persona, di conseguenza, è suono-per, è colei che interiormente, e di là dalla maschera, ri-suona. La persona, nella sua essenza, è ri-sonanza, ricerca di accordo nei disaccordi, musica. La musica, in termini psicoanalitici, ha “a-che-fare” con l’area del piacere: con la ricerca, artisticamente o immaginativamente orientata, della madre.

4 CRESCERE IN MUSICA Il termine “adolescenza”, dal latino adolescĕre (crescere), non è unicamente interpretabile quale sinonimo di sviluppo puberale e di prima giovinezza: adolescente, in questa sede, è chiunque sperimenti nella quotidianità stili di vita, modalità relazionali, appartenenze e ritualità di marca adolescenziale. Una struttura di personalità adolescenziale può darsi quale clinicamente rinvenibile per l’intero arco di vita della persona. Dinanzi all’«adolescente che passa il tempo nella sua stanza a sentire con le cuffie la musica» (Massimo Ammaniti), che balla davanti a uno specchio, o che «se ne sta in cantina con la sua band a provare il proprio demo» (Gustavo Pietropolli Charmet), i genitori appaiono spesso spiazzati «perché non hanno chiaro se questa musica li riguardi o li scavalchi, rivolta ad altri interlocutori più competenti e capaci di apprezzarne e decifrarne il messaggio» (Ibidem). L’ascolto e la produzione di musica sono sostanzialmente un domandare, un ad-vŏcare la propria presenza a Sé per oltrepassare le presenze parentali. L’oltrepassamento, in tale accezione, necessita, però, di presenze.

5 LE METAFORE MUSICALI Enza Corrente Sutera definisce l’adolescente «musicista speciale» che, a volte, ricerca il senso del proprio esserci nel presenziare a concerti. In pedagogia interculturale, la famiglia è chiamata a percepirsi come un’orchestra «dove sono presenti strumenti anche molto diversi fra loro, accomunati da obiettivi condivisi e dalla consapevolezza che non nell’omologazione indifferenziata, ma solo nella piena valorizzazione delle diversità di strumenti, suoni, voci e colori, è possibile pervenire a quell’armonia suprema, gioiosa e sublime che talvolta, mediante l’amore gratuito e totale, può persino condurre all’estasi» (Agostino Portera). Anche per Vittorino Andreoli la famiglia è «una piccola orchestra, un trio d’archi, un quartetto», in cui ognuno è importante e ha una sua parte. Metafora pedagogica della condivisione familiare, in siffatta accezione, è lo spartito. «Il bello dell’insieme orchestrale è che ogni elemento si lega all’altro e tutti sono in funzione dell’insieme». Massimo Ammaniti ricorre alla «metafora della danza per descrivere gli scambi e le interazioni fra genitori e figli. La danza in famiglia non rimane sempre la stessa, perché il ritmo cambia nel corso del tempo». Nella famiglia con figli adolescenti, «il ballo familiare è ormai fuori tempo, è un ritmo del passato che piace soltanto ai genitori e non più al figlio, che sta cambiando profondamente».

6 HOMO SENTIENS La metafora dell’homo sentiens è adottata sia da Bruno Rossi, in ambito pedagogico, che da Franco Ferrarotti, in ambito sociologico, con due differenti valenze. Mentre il primo fa riferimento alla «permanenza strutturale degli affetti nei confronti dell’identità personale», il secondo declina il culto del sentire in termini giovanilistico-musicali: «i giovani [di oggi] hanno trovato nella loro musica la loro comunità». Secondo il sociologo, la musica è il luogo dell’essere dei nuovi giovani, la loro “ casa ”. In che misura l’adolescente “consuma” musica e in che misura, piuttosto, esprime un bisogno di attaccamento e contenimento?

7 DI IDOLO IN IDOLO Per esemplificare, l’attaccamento eccessivamente protratto e marcatamente ossessivo all’idolo musicale potrebbe manifestare uno specifico bisogno d’affezione a un modello parentale idealizzato che risarcisca il figlio dell’eventuale deprivazione subìta (Maurizio Quilici). Il meccanismo della compensazione affettiva induce, infatti, a identificarsi in modelli alternativi a quelli genitoriali, il cui successo acclarato qualifica come positivi rispetto ad alcuni desiderata sociali (la fama, la gloria, il potere). Alla base della «sostituzione» del padre o della madre presenti solo sullo sfondo, vi è sempre e comunemente una proiezione «dei propri desideri di onnipotenza infantile» (Andrea Smorti): una rimembranza, o eterno ritorno, dell’amore materno.

8 Gli «eroi-mito» sono una rivisitazione delle figure parentali che, come il padre e la madre assenti, sono distanti (è il cosiddetto “doppio vincolo”, o rischio concreto, connesso all’attaccamento immaturo), ma, al contrario degli stessi, riescono «a dare risposte», per quanto discutibili, «ai reali bisogni di crescita, che sono innanzitutto bisogni di ascolto e di guida» (Enza Corrente Sutera). Il mito musicale è la verità presentificata o nostalgica del Sé correlata all’insorgere del «timore che la crescita possa comportare il funerale del Sé creativo infantile», pensato quale «parte più vera», nucleo d’autenticità «di cui si era sempre sperato di poter realizzare le intenzioni e le aspirazioni» (Gustavo Charmet-Elena Rosci). Ritrovare nel proprio idolo un Sé maggiormente adulto, ma non per questo meno creativo, diviene un importante meccanismo di difesa contro il rischio circostanziale di annichilimento. In altri casi, il mito musicale ha una funzione transizionale e positiva: operare il doloroso distacco dall’idealizzazione dei genitori e favorire lo sviluppo di un Sé autonomo.

9 I MITI AFFETTIVI Una definizione corretta di “mito affettivo” potrebbe mutuarsi parafrasando le parole di Umberto Galimberti: esso è l’idea con cui l’adolescente interpreta le ferite infantili, ereditate dal passato. Gustavo Pietropolli Charmet ed Elena Rosci (ma anche Diego Miscioscia) descrivono i principali miti affettivi che caratterizzano la fase adolescenziale:

10 il mito materno è correlato alla nostalgia della tenerezza della madre o all’elaborazione del lutto per la perdita dell’«appartenenza al regno materno, che con le sue capacità bonificatorie riusciva ad effettuare un’importante donazione di senso a tutto ciò che lo circondava» (lutto); il mito del bambino messia è legato a condotte narcisistiche votate, invero, a «guarire la mamma, i genitori, cioè il mondo»; l’ideale ascetico perseguito dal bambino messia nasconde «una solitudine che non potrà mai essere risolta, poiché l’essere stati adorati e l’essere stati istituiti come bambini messianici non potrà mai ripagare il non essere stati amati e rispecchiati per quello che si era»; la versione negativa del mito del bambino messia è il mito dell’angelo vendicatore, del bambino che si sente tradito, «abbandonato da una madre egoista e indifferente», e che agisce, pertanto, l’aggressività, contro i sostituti simbolici della madre;

11 il mito della virilità onnipotente nasconde un «segreto appello alla tenerezza e al rispecchiamento» demarcato da una «cornice affettiva megalomanica»; il mito della femminilità onnipotente occulta, all’opposto, il desiderio inconscio di annientamento dell’«immagine materna» mediante «travestimenti in cui confezionare le armi della femminilità» e «lo sfoggio imponente di autonomia relazionale e sessuale»; il mito del bambino idolo si riferisce «all’idoleggiamento del bambino da parte della madre nelle prime fasi dell’accudimento», e, pertanto, all’integrazione della «sessualità arcaica» nella nascente «sessualità genitale»; il mito del genitore combinato è correlato alla paura infantile di «ritrovarsi al cospetto di una figura genitoriale combinata, le cui intenzioni» appaiono, pertanto, «imperscrutabili»; il mito paterno è legato all’insorgere di comportamenti ossessivi per la paura di essere sopraffatti da pulsioni sessuali «non ancora integrate con il proprio patrimonio etico e affettivo» (controllo).

12 Secondo Diego Miscioscia, «è a questi miti affettivi che alludono gli idoli musicali» dei giovani e degli adolescenti; «essi hanno successo poiché, oltre a rappresentare creativamente questi miti affettivi, interpretano adeguatamente lo spirito dei tempi». La centralità della figura materna nella strutturazione intrapsichica del mito affettivo è quantomeno lapalissiana, nonché centrale per elaborare un coerente quadro dell’attuale sistema sociale definito, non a caso, «Grande Madre» (Claudio Risé). L’attaccamento all’idolo musicale non si fonda, tuttavia, solo su aspetti regressivanti: al contrario, consente di ritrovare il tepore delle nenie infantili in forma più evoluta e socialmente accettabile. La musica, come ogni forma artistica, traduce in realtà la primigenia onnipotenza infantile: in ciò risiedono l’aspetto mitico e la magia dell’arte dei suoni. Come gli antichi riti magici, la musica conserva «l’onnipotenza del pensiero», e tale «illusione artistica» può dar luogo a vere e proprie «conseguenze affettive» (Sigmund Freud).

13 SEI GRANDE, GRANDE, GRANDE… Come il bambino si relaziona ai cosiddetti “grandi”, ritenuti depositari di verità assolute, così l’adolescente si rifugia nel dogma delle verità cantate dal big, che assume pertanto una funzione orientativa di natura parentale: nel mito vivente, l’adolescente ritrova un Sé massimamente rispecchiato.

14 LA DEVIANZA «POSITIVA» Sulle motivazioni al diventare un idolo, si potrebbero avanzare delle ipotesi storicamente fondate. I grandi artisti d’un tempo, le personalità più evolute nel mondo della musica, dell’arte e dello spettacolo, avevano, più spesso, dei trascorsi familiari infelici (si pensi, solo per citare alcuni esempi, ad Anna Magnani, a Mia Martini, o al caso dell’attrice americana Marilyn Monroe). “Dare” spettacolo era un mestiere senza scuola: diventare famosi, importanti, popolari, era una strategia di preservazione del Sé dinanzi al rischio di autodissolvimento, una sorta di riscatto sociale, o risarcimento affettivo, rispetto alle deprivazioni percepite o realmente subìte. Oggi, essere famosi è ambizione comune ai più. È la stessa famiglia, a volte, a motivare alla fama, a proporre i modelli della riconoscibilità totale, della lode narcisistica, della visibilità senza riserve. Forse è questo il motivo per cui, accanto a figure valide, trionfano talora l’immagine al potere, il presenziare fine a se stesso, la mediocrità.

15 L’interpretazione psicoanalitica fornisce un’ulteriore, affascinante chiave di lettura della motivazione allo spettacolo. La ribellione nei riguardi delle convenzioni sociali dovuta a uno smisurato eccesso pulsionale, in tale prospettiva, muove all’elaborazione di un’identità deviante “positiva”, comunemente accettata, che consente, nel medesimo tempo, la liceità della trasgressione e il rispetto della norme socialmente pattuite (Sigmund Freud). L’idolo ribelle si comporta come uno specchio della dissidenza giovanile, e contiene, trasfigurandole, le pulsioni prodotte da una siffatta contestazione. Nell’ambito della materialità familiare, i «nuovi padri alle prese con l’idolo del figlio» sembrano «trattarlo come la mamma tratta la copertina o l’orsacchiotto del bambino piccolo»: una sorta di «“oggetto transizionale”, come lo definirebbe la psicoanalisi, cioè un oggetto che viene creato nel momento in cui bisogna imparare a staccarsi da qualcosa» (Gustavo Pietropolli Charmet).


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