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Acquedotti e Fognature Romane
- Come costruire un acquedotto - Come funzionavano gli acquedotti - Gli 11 acquedotti di Roma - Cloaca Massima
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La civiltà romana rese possibile in epoca imperiale il rifornimento di una città come Roma che contava un milione di abitanti realizzando 11 acquedotti.
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CRITERI DI SCELTA DELLE SORGENTI l primo passo nella costruzione di un acquedotto era la ricerca di una sorgente copiosa, abbondante. L’acqua veniva scelta in conseguenza di molti fattori: la posizione delle sue sorgenti, la sua purezza, il suo sapore, la sua temperatura, e talvolta persino le sue supposte proprietà medicamentose attribuite ai sali minerali contenuti. Vitruvio ci indica i metodi di ricerca delle fonti basati sull’osservazione diretta della vegetazione, del terreno e dell’ umidità dell’aria. INDIVIDUAZIONE DEL PERCORSO L’acqua della sorgente veniva convogliata in un grande bacino che ne rallentava la velocità e permetteva una prima purificazione per decantazione; l’acquedotto era collegato a questo bacino.La scelta del percorso e la realizzazione dell’acquedotto stesso rappresentavano il lavoro più complesso. Il compito degli ingegneri era quello di mantenere i canali con una pendenza leggera e sempre costante per far defluire le acque naturalmente e a pelo libero.Si doveva tener conto con del rilievo topografico e delle distanze da percorrere,spesso considerevoli. Gli ostacoli naturali, come monti e valli, dovevano essere superati senza perdere quota. Se il monte interposto non era molto alto veniva perforato.Quando ciò non era possibile si ricorreva al suo costeggiamento a costo di un percorso più lungo e tortuoso.Problema simile sorgeva nel caso delle valli.Se la valle non era molto profonda e ampia si procedeva alla costruzione di arcate capaci di sostenere il canale; in caso contrario si costeggiava la valle.
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STRUTTURA L’impressionante fila di arcate che si stendono per chilometri e offre una spettacolare prova del prestigio e della capacità dei costruttori romani.Il canale di un acquedotto sia sopra terra che nel sottosuolo era generalmente una galleria sufficientemente ampia da permettere il passaggio di un uomo. A distanze regolari erano previsti pozzetti al fine di permettere ispezioni e riparazioni.Per lo stesso motivo il percorso di un acquedotto, segnalato da cippi che ne delimitavano la fascia di rispetto, era affiancato da strade di servizio. IMMAGINI
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Nìmes, Francia. Il pont du Guard.
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Sopra 3 immagini dell’acquedotto Nìmes in Francia
A sinistra l’ingresso dell’acquedotto Nìmes in Francia
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Nìmes in Francia. Il castellum che rappresenta il punto d’arrivo dell’acquedotto
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COME FUNZIONAVANO GLI ACQUEDOTTI ROMANI Gli acquedotti raccoglievano l'acqua da diverse sorgenti naturali situate a notevole distanza dalla città, inizialmente l'acqua passava attraverso una o più vasche dette piscinae limariae, dove la velocità di flusso rallentava, consentendo al fango e alle altre particelle di depositarsi. L'acqua si muoveva in direzione della città grazie a nessun'altra forza se non quella di gravità, cioè l'acquedotto agiva da continuo scivolo per tutta la distanza che separava le sorgenti dal punto del suo sbocco. Per ottenere tale risultato ciascuno di essi veniva progettato in modo tale che ogni singola parte del lungo tracciato corresse leggermente più in basso di quello precedente, e leggermente più in alto di quello successivo. Se si incontrava una parete scoscesa o una gola, una possibile soluzione era di costruire un ponte, o viadotto, per attraversare il salto e raggiungere il lato opposto ad un'altezza leggermente inferiore per permettere al flusso d’acqua di non rallentare.
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Un'altro modo di superare tali formazioni naturali era di attraversarle con il "sifone invertito", una tecnica basata su un semplice principio fisico. Appena prima del salto l'acqua veniva raccolta in una cisterna, dalla quale una tubatura la conduceva in fondo al dirupo per forza di gravità, e quindi la faceva risalire fino ad una seconda cisterna grazie alla pressione generata lungo la discesa. Un piccolo viadotto era spesso costruito a valle per ridurre l'altezza massima del salto, e quindi minimizzare la pressione richiesta per risalire la parete opposta. Dove il terreno si faceva piano, in vicinanza della città, il flusso veniva reso possibile costruendo le famose serie di arcate, alcune delle quali raggiungevano quasi 30 m di altezza. Attraversavano la campagna per delle miglia, mantenendo il livello dell'acqua sufficientemente alto da poter raggiungere l'area urbana.
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Tra le opere più grandi e vistose lasciateci dai Romani, sicuramente ricordiamo gli imponenti acquedotti. Solo a Roma, l'acqua era fornita da undici acquedotti; vediamoli nel dettaglio: Appio Il primo acquedotto, edificato nel 312 a.C.. Lungo 16 chilometri (le sorgenti si trovavano sulla via Collatina), raggiungeva, con un percorso quasi tutto sotterraneo, Porta Maggiore, si dirigeva poi verso l'Aventino per terminare al foro Boario, a porta Trigemina (attuale Monte Savello). Anio Vetus Così chiamato per la sua provenienza dalla valle dell'Aniene, sopra Tivoli. Il suo percorso era di 63 chilometri, sotterranei fino a Porta Maggiore, per poi terminare nella zona dell'attuale stazione Termini; un ramo secondario portava acqua alle terme di Caracalla. Acqua Marcia Così chiamato da Q. Marcius Rex, pretore urbano, che nel 144 a.C. realizzò quest'acquedotto la cui acqua scaturiva dalle sorgenti Rosoline presso Marano Equo al Km della via Tiburtina Valeria.
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Acqua Tepula Il nome deriva dalla sua temperatura, che rimaneva sempre intorno ai gradi, anche d'inverno.L'acquedotto, costruito nel 126 a.C. scaturiva tra Marino e Castel Savelli, nella valle Preziosa, e scorreva in un condotto sotterraneo di cui non si sa nulla. Nel 33 a.C le sue acque furono miscelate con quelle dell'acquedotto della Giulia, sensibilmente più fredde. Acqua Giulia Costruito nel 33 a.C. da M. Vipsanio Agrippa, scaturiva da sorgenti a Squarciarelli, presso l'omonimo ponte, sopra a Grottaferrata. L'acqua era ottima e leggermente frizzante. Insieme alla Tepula, a cominciare dalla zona di Capannelle l'acquedotto incontrava l'acqua Marcia (proveniente dalla valle dell'Aniene), sulle cui sostruzioni ed arcate si appoggiava fino a Porta Maggiore e nel successivo percorso di distribuzione in città. Acqua Vergine Condotto a Roma da Agrippa nel 19 a.C., le sue sorgenti sono ubicate nella tenuta della Rustica; il condotto, tutto sotterraneo è ancor oggi in uso; durante i suoi duemila anni di storia ha subito un numero enorme di restauri e modifiche. La distribuzione a Roma dell'acqua Vergine era garantita da 18 castelli di distribuzione, dei quali uno era sotto il Pincio, ed uno presso l'attuale chiesa di S. Ignazio. La parte alta di tre arcate dell'acquedotto sono parzialmente conservati e visibili in via del Nazareno. Di fronte una porticina, esattamente corrispondente allo specus dell'acquedotto è sormontata da uno stemma della famiglia della Rovere.
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Alsietino Condotto a Roma sotto Augusto nel 2 d. C
Alsietino Condotto a Roma sotto Augusto nel 2 d.C. in occasione dell'inaugurazione della naumachia in Trastevere. La naumachia, un circo che veniva allagato e dove si svolgevano battaglie navali era un'ellisse con il diametro maggiore pari a 533 metri, situato tra le attuali piazze S. Cosimato e S. Maria. L'acqua veniva captata dal lago di Martignano (ancora è visibile il taglio nella roccia ad un'altezza superiore al livello attuale del lago). Data l'origine lacustre dell'acqua, è immaginabile che essa venisse usata unicamente per le naumachie o per l’irrigazione dei campi. Non è escluso un utilizzo come forza motrice per i mulini di Trastevere. Claudio L'acquedotto, inaugurato nel 52 d.C., sotto l'imperatore Claudio, ma iniziato da Caligola nel 38 d.C., è uno dei più monumentali di Roma; gia' da Frontino denominato magnificentissimus, per l'importanza e la monumentalita' dell'opera. Le sorgenti erano poste nella valle dell'Aniene, presso l'odierna Arsoli; dopo un percorso di 69 km, in gran parte fiancheggiando gli altri grandi acquedotti romani (Acqua Marcia, Anio Vetus e Novus), giunge a Porta Maggiore. Qui le sue acque venivano mescolate con quelle dell'Anio Novus e quindi distribuiti, attraverso una fitta rete in tutta Roma. A sud di Porta Maggiore ancora oggi possiamo ammirare una importante diramazione dell'acquedotto, voluta da Nerone, per portare l'acqua alla Domus Aurea, presso il Colosseo.
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Anio Novus Iniziato da Caligola nel 38 d. C
Anio Novus Iniziato da Caligola nel 38 d.C. e terminato, insieme all'acquedotto Claudio nel 52 d.C., prendeva l'acqua direttamente dal fiume Aniene, da cui il nome, all'altezza di Agosta, nei pressi di Subiaco. E' senza dubbio l'opera piu' imponente dell'architettura idraulica romana; 87 km di cui 14 su arcuazioni, una portata di metri cubi al giorno ed il maggior livello rispetto al suolo all'arrivo a Porta Maggiore che permetteva la distribuzione dell'acqua anche alle zone piu' alte della citta'. Traiano Edificato da Traiano nel 109 d.C. allo scopo di portare acqua a Trastevere, convoglia a Roma le acque che scaturiscono lungo le pendici del lago Sabatino (Bracciano). Un castello di distribuzione dell'acquedotto, che entrava a Roma dal Gianicolo, è stato rinvenuto nel 1850, nella villa Lais, presso porta S. Pancrazio; sui tubi erano annotati i nomi degli utenti, tra cui l'imperatore Traiano stesso. Alessandrino Edificato da Settimio Severo nel 226 d.C.; le sorgenti erano ubicate presso Colonna, nella tenuta detta di Pantano. Molti resti rimangono lungo il suo percorso, che attraversava la valle dell'Osa, Torre Angela, Tor Bella Monaca, Tor Tre Teste ed il fosso di Centocelle.
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Cloaca Massima Il più grande dei collettori romani ancora funzionante, la Cloaca Maxima ebbe origine dalla canalizzazione di un corso di acque di scolo che dal Foro Romano si dirigeva verso il "vicus Tuscus", seguiva un percorso serpeggiante attraverso il Velabro, il Foro Boario e, dopo aver disegnato un'ampia curva, andava a sboccare nel Tevere all'altezza di Ponte Emilio. Generalmente la tradizione mette in collegamento la realizzazione del tratto iniziale della Cloaca con la bonifica della valle del Foro Romano attuata dalla famiglia dei Tarquini. Le pareti del primo tronco del manufatto sono in blocchi di pietra gabina, in esse, lungo il percorso, si immettono gli imbocchi di fogne minori ricoperte a cappuccina. Originariamente il condotto correva a cielo aperto, in un secondo tempo, II - I sec. a.C. fu realizzata la volta in conci di tufo litoide, interrata in vari punti da restauri in opera a sacco o in cortina laterizia; allo sbocco nel Tevere la fogna mostra una triplice armilla in peperino. La sezione del condotto è all'argine di m.2,70 di altezza per m.2,12 di larghezza, aumenta quindi progressivamente fino a raggiungere, alla fine del percorso, l'altezza di m.3,30 e la larghezza di m.4,50. Il tratto finale fu rettificato in relazione alla costruzione di un muro che fiancheggiava la sponda del fiume. Il tratto di proprietà comunale del condotto è quello che va da via del Velabro allo sbocco. Manca uno studio organico sulla Cloaca Massima: le difficoltà presentate dal percorso inducono gli archeologi, oggi come nel secolo scorso, ad indagare soltanto il primo tragitto visitabile.
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Bibliografia BIBLIOGRAFIA www.Acquedottiromani.it
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