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Nonostante nel corso dei secoli le realtà storiche e culturali si modifichino radicalmente, e con esse il modo di essere ed il pensiero dell’uomo, alcuni.

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Presentazione sul tema: "Nonostante nel corso dei secoli le realtà storiche e culturali si modifichino radicalmente, e con esse il modo di essere ed il pensiero dell’uomo, alcuni."— Transcript della presentazione:

1 Nonostante nel corso dei secoli le realtà storiche e culturali si modifichino radicalmente, e con esse il modo di essere ed il pensiero dell’uomo, alcuni sentimenti e stati d’animo rimangono inalterati. Ritroviamo certi pensieri in epoche lontanissime e differenti fra loro, come se i poeti che danno voce ad essi e che vivono in epoche tra loro davvero distanti, si incontrassero e si accorgessero di essere legati da un’unica sensibilità. Accade quindi che vengano creati a distanze enormi di tempo e spazio opere che racchiudano gli stessi sentimenti ed idee. Uno dei temi più cari è sicuramente la fugacità del tempo, che ha affascinato particolarmente autori di tutte le epoche: dai latini ed i greci fino ai giorni d’oggi. L’idea comune di tutti i poeti che hanno scritto a proposito di questo, è che il tempo scorra troppo velocemente e distrugga tutte le cose più belle della vita, soprattutto la giovinezza e la bellezza, che molti considerano i doni più preziosi della vita dell’uomo; molte volte capita quindi che l’autore esorti il lettore a godere del presente, non essendo a conoscenza del futuro. Il tema del tempo è stato comunque interpretato con sottili differenze dai diversi poeti.

2 La testimonianza più antica è sicuramente il poema “Come le foglie” di Mimnermo, poeta greco che paragona il ciclo delle foglie alla vita umana. Un altro componimento molto antico è quello latino del “Carpe diem”, di Orazio Flacco, che esorta ognuno, ed in particolare Leuconoe, la fanciulla che interroga gli oroscopi babilonesi circa il futuro, a cogliere l’attimo fuggente e a godere intensamente ogni attimo, senza essere angosciati dall’incertezza del domani. Secoli più tardi il tema viene ripreso da Lorenzo De’ Medici che nella sua ballata più famosa, “Il trionfo di Bacco e Arianna”, unisce l’idea di Orazio a quella di Catullo, altro poeta latino che invita a godere a fondo di ogni piacere, soprattutto in amore. Nell’Ottocento infine la fugacità del tempo è trattata da Leopardi, in “Il tramonto della Luna”. Il poeta accosta la vita dell’uomo al tramonto della luna, ma esprime tutta la sua malinconia nell’affermare che, a differenza della luna, che ogni giorno rinasce, l’uomo è destinato a vivere una sola e breve vita. Leopardi inoltre, diversamente dalla maggior parte dei suoi colleghi, è lontano dall’esortazione al piacere ed al godimento. Il tema della fugacità del tempo quindi, pur essendo comune a tutte le epoche, è analizzato in modo differente a seconda del poeta. Ciò perché ognuno ha il suo carattere ed i suoi sentimenti, ma anche per le varie epoche in cui gli autori vivono, dato che ogni periodo storico e culturale influenza, anche se in maniera sottile, ciascuno di noi.

3 Orazio nacque nel 65 a.C. a Venosa, in Puglia, da una famiglia modesta. Il padre, di origine servile, dopo essersi trasferito a Roma, esercitò la professione di esattore delle tasse. Qui Orazio fu istruito dai migliori maestri. In seguito studiò a Napoli alla scuola dei filosofi epicurei Sirone e Filodemo di Gadara, insieme ai futuri grandi amici Virgilio e Vario Rufo. Verso il 45 a.C. fece il rituale viaggio in Grecia, dove venne a contatto con la jeunesse dorée romana. Questo periodo di intensi studi fu interrotto dallo scoppio della guerra civile: Orazio prese posizioni filorepubblicane, non tanto per autentiche motivazioni politiche, quanto per la sua formazione filosofica. In seguito alla sconfitta di Filippi (avvenuta nel 42 a.C.) tornò a Roma con le "ali mozzate", a causa della fuga ingloriosa durante la battaglia e della confisca dei beni. Per sopravvivere cominciò ad esercitare l'incarico di scriba quaestorius (segretario), in una condizione di paupertas e di sofferenze, che lo spinsero a dedicarsi a forme di poesia giambica e satirica. Questi componimenti piacquero particolarmente agli esponenti del circolo di Mecenate; l'incontro con quest'ultimo, nel 38 a.C., segnò una svolta nella vita di Orazio, che riottenne un'agiatezza sia economica che sociale. Fu amico personale anche del princeps Augusto, con il quale ebbe rapporti cordiali, devoti ma non servili. Infatti anche nella poesia civile e celebrativa non rinunciò mai alla sua autonomia di uomo e di poeta. Nell'ultima parte della sua vita si chiuse nella riflessione filosofica rinunciando alla poesia; morì nell'8 a.C.

4 Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati, seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri, o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà: se molti inverni Giove ancor ti conceda o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo e fugge il tempo geloso: carpe diem, non pensare a domani.

5 Francesco Petrarca (1304-1374) nacque ad Arezzo e venne avviato agli studi giuridici, mai veramente amati, preferendo quelli umanistici che diventeranno il suo primo impegno dopo la morte del padre e la decisione di abbracciare la carriera ecclesiastica per garantirsi una fonte di reddito. Petrarca rappresenta per molti aspetti la figura del letterato professionista: sceglie di vivere al seguito di alti ecclesiastici in grado di apprezzare il suo ingegno e i suoi studi, e poi, una volta ottenuta una vasta fama, diviene ospite riverito e protetto di signori e repubblIche. L'intensità con la quale sentì il fascino della letteratura classica, l'attenzione agli studi che dedicò ad essa, e ancora la scoperta della lacerazione interiore e il dialogo con la propria coscienza nel Canzoniere, fanno di lui un intellettuale per molti versi precursore del pensiero umanistico del Rinascimento. Egli fu autore di molte opere religiose, filosofiche e poetiche in latino, ma i suoi libri più importanti -I Trionfi e Il Canzoniere- furono scritti in lingua italiana. Nella collezione di poesie Il Canzoniere Petrarca prende in esame i suoi sentimenti, analizza il suo amore non corrisposto per Laura (chiunque sia stata questa donna) ed esplora le sue crisi più profonde e irrisolte.

6 La vita fugge, et non s'arresta una ora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi danno guerra, et le future ancora; e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora, or quinci or quindi; sì che 'n veritate, se non ch'i' ho di me stesso pietate, i' sarei già di questi pensier' fora Tornami avanti, s'alcun dolce mai ebbe 'l cor tristo; et poi da l'altra parte veggio al mio navigar turbati i venti; veggio fortuna in porto, et stanco omai il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, e i lumi bei, che mirar soglio, spenti. La vita fugge e non si arresta un attimo e la morte viene dietro a grandi tappe, mi tormentano i ricordi della vita passata, le circostanze di quella presente, le previsioni di quella futura; e il ricordar e l’aspettar mi angosciano sia che mi rivolga al passato che all’avvenire, così che in verità, io mi sarei già liberato di questi affanni, se non avessi pietà della mia anima. Cerco di ricordarmi se il mio triste cuore ebbe mai alcuna gioia; e per quanto riguarda il futuro, vedo gli affanni che mi attendono; vedo tempesta anche in porto: pesino la morte, che avrebbe dovuto essere il mio porto di tranquillità, mi si preannuncia agitata, e stanco ormai il mio spirito, vedo rotti gli alberi e le funi della mia nave e vedo spenti per sempre i begli occhi di Laura che solevo contemplare.

7 Le notizie biografiche su Mimnermo sono piuttosto scarse e contraddittorie. Secondo il lessico Suda, egli sarebbe nato a Colofone, città ionica dell’Asia Minore, al tempo della trentasettesima Olimpiade, e cioè negli anni fra il 632 e il 629 a.C.; secondo altre fonti, più attendibili, sarebbe stato contemporaneo di Semonide di Amorgo, e nato a Smirne verso la metà del VII secolo a.C. Quest’ultima informazione troverebbe conferma nel fatto che la tradizione attribuiva a Mimnermo un poema elegiaco di ampie dimensioni, intitolato appunto Smirneide, che trattava della lotta fra la città e la vicina Lidia, al tempo del re Gige. Oltre alla Smirneide, Mimnermo avrebbe scritto anche un’altra raccolta di versi, intitolata Nannò, dal nome di una suonatrice di flauto cantata dal poeta. Fu probabilmente di origine aristocratica, come gli altri poeti lirici. Dell’opera di Mimnermo ci sono giunti solo una quindicina di frammenti piuttosto brevi, in cui egli appare soprattutto come il poeta della giovinezza e dell’amore, che tuttavia non disdegna argomenti mitologici. E’ comunque probabile che Mimnermo prediligesse una poesia della riflessione e del sentimento: il suo ambiente di elezione sarà stato quello del simposio, che gli offriva un’atmosfera ed un pubblico particolarmente adatti ai temi dominanti nella sua poesia.

8 Al modo delle foglie che nel tempo fiorito della primavera nascono e ai raggi del sole rapide crescono, noi simili a quelle per un attimo abbiamo diletto del fiore dell’età, ignorando il bene e il male per dono dei Celesti. Ma le nere dèe ci stanno a fianco, l’una con il segno della grave vecchiaia e l’altra della morte. Fulmineo precipita il frutto di giovinezza, come la luce d’un giorno sulla terra. E quando il suo tempo è dileguato è meglio la morte che la vita. Siamo simili alle foglie che nascono in primavera e crescono rapide ai raggi del sole: per un attimo proviamo il piacere della giovinezza, ignorando il bene e il male, per dono degli dei. Ma le dee nere ci stanno accanto, una con lo spettro della vecchiaia, l'altra della morte. La giovinezza è come un frutto che si esaurisce come la luce di una giornata sulla terra. E quando il tempo della bellezza è finito è meglio la morte della vita.

9 Lorenzo De' Medici è la figura chiave sul piano politico e culturale italiano del 1400. Fu signore di Firenze dall'età di vent'anni fino alla sua morte (1449-1492). Egli, nonostante la congiura ordita dalla famiglia dei Pazzi, ove cadde suo fratello Giuliano, riuscì a mantenere un periodo di stabilità e pace. Guicciardini e Machiavelli, storici tra i più attendibili del 1500 sostengono infatti che la personalità di Lorenzo abbia avuto enorme importanza per la stabilità italiana, con la sua morta definita > dallo stesso Guicciardini, si chiude il periodo di stabilità. L'educazione di Lorenzo fu curata dalla madre Lucrezia Tornabuoni, e dagli intellettuali più illustri del periodo, tra cui Marsilio Ficino, e grazie alla biblioteca costruita da Cosimo De' Medici, che verrà poi ampliata dallo stesso Lorenzo. Grazie all'amore per l'arte e per la cultura egli intraprese l'attività di mecenate, infatti egli volle attorno a sè gli artisti e gli intellettuali più in voga del periodo, componendo anche opere letterarie di vario genere.

10 Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia ! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Quest'è Bacco e Arianna, belli, e l'un dell'altro ardenti; perché 'l tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti. Queste ninfe ed altre genti sono allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Questi lieti satiretti delle ninfe innamorati per caverne e per boschetti han lor posto cento agguati; ora da Bacco riscaldati, ballon, salton tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Queste ninfe anche hanno caro da lor essere ingannate: non può fare a Amor riparo, se non gente rozze e ingrate: ora insieme mescolate suonon, canton tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Questa sòma, che vien drieto sopra l'asino, è Sileno: così vecchio è ebbro e lieto, già di carne e d'anni pieno; se non può stare ritto, almeno ride e gode tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Mida vien drieto a costoro: ciò che tocca, oro diventa. E che giova aver tesoro, s'altri poi non si contenta ? Che dolcezza vuoi che senta chi ha sete tuttavia ? Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Ciascun apra bene gli orecchi, di doman nessun si paschi; oggi siam giovani e vecchi, lieti ognum, femmine e maschi; ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore ! Ciascun suoni, balli e canti ! Arda di dolcezza il core ! Non fatica, non dolore ! Ciò c'ha a esser, convien sia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza.

11 Questi sono Bacco e Arianna belli ed innamorati l'un dell'altro: dato che il tempo scorre veloce, stanno sempre insieme. Queste ninfe ed altre genti sono tuttavia allegre. Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani. Questi allegri piccoli satiri innamorati delle ninfe, hanno organizzato contro di loro cento agguati nelle caverne e nei boschetti; ora, scaldati dal vino di Bacco, nonostante tutto, ballano e si divertono. Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani. Queste ninfe amano essere raggirate dai satiri; nessuno può rifiutare l'amore se non la gente non nobile e rozza; ora, mescolate a loro, nonostante tutto, suonano e cantano. Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani. Re Mida li segue: tutto ciò che tocca diventa oro. Ma a che cosa serve avere un tesoro, se gli altri non sono felici? E poi, che piacere della riocchezza vuoi che senta un uomo come Mida, che ha sete perché non può bere: l'acqua si trasforma in oro? Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani. Donne e giovani amanti, viva Bacco e viva Amore! Ognuno suoni, balli e canti! Il cuore diventi dolce! Nessuna fatica! Nessun dolore! Ciò che deve accadere è bene che accada. Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani. Com'è bella la giovinezza che comunque se ne va! Chi vuole essere felice, lo sia: non c'è alcuna sicurezza del domani.

12 Drammaturgo e poeta inglese, Shakespeare è universalmente considerato uno degli scrittori più importanti della letteratura mondiale. Terzo di otto figli, egli nacque a Stratford nelle Midlands inglesi, il 23 aprile del 1564, il giorno di san Giorgio, santo patrono dell’Inghilterra. Suo padre, John Shakespeare, originariamente un coltivatore, apparteneva alla corporazione dei pellai e dei guantai di Stratford ed esercitava commerci legati a tale attività; egli divenne una figura importante nella sua città, e nel 1568 fu eletto bailiff (sindaco), ossia presidente della giunta municipale di Stratford. Sua madre, Mary Arden, apparteneva a una classe sociale più elevata di quella del marito; ella discendeva, infatti, da un’antica famiglia di possidenti. Da giovanissimo Shakespeare frequentò la Grammar School del luogo dove studiò, come era consuetudine per i figli dei cittadini benestanti, grammatica, logica, retorica e i primi rudimenti della lingua latina. Forse in seguito frequentò l'Università di Oxford per un trimestre o due, ma di ciò non si ha notizia certa. Nel 1583 Shakespeare sposò, a soli 18 anni, Anne (o Agnes) Hathaway, di otto anni più anziana. Sei mesi dopo nacque Susan, la prima figlia. Due anni dopo, nel febbraio del 1585, nacquero alla coppia due gemelli, Hamnet e Judith. Shakespeare lasciò Stratford probabilmente intorno al 1586 per recarsi a Londra. Secondo una tradizione orale, Shakespeare cominciò a lavorare nella capitale come guardiano di cavalli, quindi a mettere insieme e cucire parti di vecchi drammi che poi rappresentava, facendo egli stesso l'attore. Tuttavia, non si ha certezza della sua presenza a Londra prima del 1592, anno in cui era già un attore e drammaturgo affermato. Dopo aver lavorato per più committenti, si associò saldamente alla compagnia di Burbage, detta dei Lord Chamberlain's Men, che dopo l'ascesa al trono di Giacomo I (1603) prese il nome di King's Men. Nel 1599 la compagnia di Burbage e di Shakespeare aprì il teatro The Globe, ma a partire dal 1609 cominciò ad occupare il teatro coperto di Blackfriars che ne divenne la sede principale. Nel corso degli anni che trascorse a Londra, Shakespeare guadagnò bene e investì i suoi guadagni oculatamente, comprando case sia nella capitale che al suo paese natale. Intorno al 1610 lasciò Londra e si ritirò a Stratford, ricongiungendosi alla famiglia e occupando la dimora più sfarzosa della città. Acquistò, non senza difficoltà, uno stemma gentilizio, coronando così un vecchio sogno di suo padre, le cui ambizioni di carriera nell'amministrazione municipale di Stratford erano state frustrate a suo tempo da disavventure economiche. Si spense all'età di 52 anni, il 23 aprile del 1616, senza che la notizia suscitasse particolare clamore.

13 When I do count the clock that tells the time, And see the brave day sunk in hideous night; When I behold the violet past prime, And sable curls, all silver'd o'er with white; When lofty trees I see barren of leaves, Which erst from heat did canopy the herd, And summer's green all girded up in sheaves, Borne on the bier with white and bristly beard; Then of thy beauty do I question make, That thou among the wastes of time must go, Since sweets and beauties do themselves forsake, And die as fast as they see others grow; And nothing 'gainst Time's scythe can make defence Save breed, to brave him when he takes thee hence. Quando conto i colpi dell’orologio vhe conta le ore E vedo il giorno superbo che affonda nella notte odiosa, Quando osservo la violetta a fine primavera, E i riccioli biondi inargentati di candore; Quando vedo alberi immensi denudati dele foglie Che erano state il baldacchino dei greggi durante l’estate, E il grano verde dell’estate tutto legato in fasci Portati su carri di spighe pungenti: Allora m’interrogo sulla tua bellezza, Perché tra i guasti del tempo tu dovrai passare, Perché dolcezze e bellezze disertano sé stessi: La loro morte ha il ritmo di ciò che cresce intorno a loro, E nulla può difenderti dalla falce del Tempo Se non un figlio, che gli tenga testa quando lui ti prenda.

14 Let me not to the marriage of true minds Admit impediments. Love is not love Which alters when it alteration finds, Or bends with the remover to remove: O no! it is an ever-fixed mark That looks on tempests and is never shaken; It is the star to every wandering bark, Whose worth's unknown, although his height be taken. Love's not Time's fool, though rosy lips and cheeks Within his bending sickle's compass come: Love alters not with his brief hours and weeks, But bears it out even to the edge of doom. If this be error and upon me proved, I never writ, nor no man ever loved Nulla, a nozze di veri sentimenti sia d'ostacolo: amore non è amore se muta quando scopre mutamenti, tende a morire se nell'altro muore. Oh no, l'amore è un faro costante che guarda alla tempesta e non si spezza; è la stella per ogni nave errante, di pregio ignoto è nota elevatezza. Il Tempo falcia guance rosee, e labbra, ma l'amore del Tempo non ha paura; un'ora o un giorno breve non lo cambia, e fino al giorno del Giudizio dura. Se questo è amore, e mi sia provato, non scrissi mai, nè mai alcun uomo ha amato.

15 DI: BUZZICHELLI LISA DELL’AQUILA VINCENZO GUALTIERI MARTINA


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