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PubblicatoAldo Manzoni Modificato 8 anni fa
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LA NASCITA DELLE LETTERATURE EUROPEE E L’EGEMONIA FRANCESE
Fra le letterature romanze la letteratura francese comincia nel secolo XI, quella spagnola nel secolo XII, quella italiana nel secolo XIII. La supremazia del provenzale e del francese è anche dovuta alla maggiore ricchezza e vitalità della società feudale e cortese, che in Francia raggiunge già nell’XI e nel XII secolo il massimo del suo splendore. Nei paesi di lingua non romanza i primi documenti linguistici e letterari dei volgari nazionali sono più precoci: intorno al 700 in Inghilterra, al 750 in Germania. Mentre infatti i volgari romanzi erano più vicini al latino e ciò rese possibile per molto tempo un terreno d’intesa formato da una sorta di latino imbastardito, la totale estraneità delle lingue germaniche al latino costringeva ad imparare questa lingua come una lingua straniera. Proprio questa estraneità tra latino scritto e lingua parlata indusse ad impiegare quest’ultima anche nello scritto e favorì così una nascita più precoce delle lingue e delle letterature nazionali. A partire dalla seconda metà del secolo XI, le letterature dell’area francese, quella in lingua d’oc e quella in lingua d’oïl, hanno una funzione egemone, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo unitario della civiltà europea. La letteratura in lingua d’oïl fu soprattutto epica e narrativa, quella provenzale in lingua d’oc soprattutto lirica. In Provenza la letteratura in lingua d’oc, già fiorente fra la fine del secolo XI e l’inizio del XII, raggiunse il massimo splendore nel trentennio fra il 1175 ed il Successivamente, la crociata del contro gli Albigesi colpì a morte la civiltà provenzale. Ciò favorì l’espansione politica, culturale e linguistica del Nord. Subito dopo la crociata, l’annessione del Mezzogiorno da parte del Nord nel 1229 decretò il tramonto della letteratura provenzale.
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L’apporto italiano fu invece minore: non ci fu in Italia uno sviluppo economico e politico del sistema feudale come in Francia, in Germania, in Inghilterra o nella Spagna del Nord, e anche per questo mancò nel nostro paese una grande letteratura cortese con caratteri originali. La nostra cultura si sviluppò dall’ambiente cittadino, per impulso non delle corti e dei castelli ma delle istituzioni comunali e dei nuovi ceti borghesi urbani che costituiscono, spesso fondendosi con i vecchi gruppi feudali, la nuova classe dominante. Dall’epicentro francese si diffuse la cultura cortese, detta così perché si sviluppava nelle corti dei signori feudali ed era espressione dell’aristocrazia feudale. La cultura cortese è eminentemente cavalleresca. I cavalieri, in origine, erano solo una corporazione di guerrieri professionali che combattevano a cavallo e dunque potevano permettersi di possederne uno. Essi esprimevano per lo più una nobiltà minore, priva di feudi e di grandi ricchezze. Talora si trattava di cadetti, figli non primogeniti esclusi dall’eredità del feudo, altre volte di ministeriales al servizio dei signori feudali (amministratori, membri del seguito e della guardia, scudieri ecc..). Essi esaltavano le virtù guerresche, la forza, la fedeltà al signore, la lealtà, ma anche le virtù spirituali, come la gentilezza o la nobiltà d’animo, la difesa della fede cristiana, dei deboli, delle donne. Nasce la figura laica del cavaliere-poeta che canta la donna amata ripetendo nei suoi confronti l’atto di vassallaggio prima dovuto al signore. L’amore cortese, che comporta una rivalutazione della figura femminile, risulta così in linea con l’ideologia feudale, anche se ha in sé una componente eversiva: l’amore cortese, infatti, è per definizione extramatrimoniale.
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L’innamorato ripete nei confronti dell’amata l’atto di vassallaggio feudale nel senso che chiede un beneficio che può essere uno sguardo o un saluto o addirittura la corresponsione piena dell’amore, ma più spesso è un atto simbolico di riconoscimento o di promozione sociale, ed offre in cambio il proprio servizio (è il “servizio d’amore”), e cioè le proprie lodi e la propria devozione. E’ possibile distinguere 4 momenti diversi di elaborazione letteraria, di rapporto dell’autore con il pubblico, di codificazione dei generi. Per quanto alcuni di questi 4 momenti possano essere anche contemporanei fra loro, essi esprimono in realtà un processo di svolgimento, una linea di evoluzione. In una prima fase si ha il poemetto agiografico in volgare. In questo genere è ancora evidente l’influenza del modello latino delle vite dei santi. Si tratta di poemetti presentati al pubblico da chierici-giullari o da giullari che sono portavoce dei chierici. Una seconda fase è costituita dal passaggio dall’agiografia alla narrazione epica. Quest’ultima si struttura sul modello stesso del poemetto agiografico, sia nella forma metrica, sia nel contenuto, perché si passa dall’esaltazione dei martiri a quella dei cavalieri attraverso una fase intermedia: il panegirico di un cavaliere morto per la fede. Il contributo dei chierici all’elaborazione di questo nuovo genere è ancora decisivo, ma il giullare ha già una maggiore autonomia. Probabilmente all’inizio egli è ancora al servizio della Chiesa, che usa la narrazione epica per intrattenere le folle durante i pellegrinaggi verso monasteri o luoghi sacri. L’epica non ha dunque un’origine popolare, anche se deve fare i conti con il gusto del popolo. Il capolavoro del genere è la Chanson de Roland.
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Un terzo momento, in parte contemporaneo, in parte successivo al precedente, è quello del giullare di corte e del trovatore. La trasmissione è ancora orale. Nella maggior parte dei casi il trovatore fornisce la musica ed un testo scritto al giullare che lo impara a memoria e, recitandolo più volte in pubblico, lo fissa nella memoria collettiva. In questo caso il testo è più stabile rispetto all’epica, ma può subire ancora alcune variazioni. Ben presto i testi cominceranno a essere riuniti in canzonieri d’amore, la trascrizione dei quali è affidata a copisti laici. Il giullare di corte è fortemente professionalizzato in senso specialistico, gode di un certo prestigio culturale, intrattiene il pubblico con un repertorio molto selezionato. Una quarta fase (da un punto di vista cronologico in buona misura coincidente con la precedente) è segnata dal prevalere della lettura. Sia la poesia agiografica, sia quella epica e lirica sono destinate alla recitazione ed all’ascolto. Invece questa fase è caratterizzata dal romanzo cavalleresco in versi, composto per la lettura. Nasce un tipo di poeta già “molto vicino allo scrittore moderno: non compone più versi da declamare, ma scrive libri da leggere” (Hauser). La destinazione alla lettura favorisce la diffusione di tecniche di narrazione più complesse rispetto all’epica delle Chansons de geste. Insomma, ha inizio una forma di scrittura narrativa moderna. Con essa nasce un vero e proprio pubblico letterario, che legge “per diletto”. All’inizio il pubblico del romanzo è esclusivamente quello cortese delle corti e dei castelli, e solo in un secondo tempo tende ad allargarsi anche agli strati mercantili e borghesi più elevati.
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L’EPICA FRANCESE E LA CHANSON DE ROLAND
Con il passare del tempo si modifica anche la condizione del poeta: quest’ultimo non è più un cavaliere-poeta o un giullare itinerante di corte in corte. Alla fine del Duecento il poeta è divenuto un menestrello, cioè un impiegato di corte retribuito dal signore: infatti “menestrello” deriva dalla parola latina ministerialem che indica un dipendente del signore feudale. Il menestrello non esegue testi altrui, è scrittore in proprio, dotato spesso di alto prestigio culturale e la sua opera è destinata alla lettura. L’EPICA FRANCESE E LA CHANSON DE ROLAND I poemi epici francesi sono chiamati canzoni di gesta. Il termine “canzone” indica che si tratta di testi interpretati da un cantore con accompagnamento musicale. Il termine gesta deriva dal participio passato del verbo latino gerere e significa “imprese realizzate”. Le canzoni di gesta si sviluppano fra l’XI ed il XIII secolo, quando vengono sostituite da rimaneggiamenti in prosa. Esse accolgono un’esigenza di narrazione e di epicità molto diffusa ad ogni livello della società, in un momento in cui il potere feudale sta passando da potere di fatto, basato sulla forza, a potere di diritto, basato sulle leggi e sul consenso. In questa nuova fase il potere feudale ha bisogno di essere legittimato socialmente.
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Le canzoni di gesta si organizzano in cicli
Le canzoni di gesta si organizzano in cicli. Quelli principali sono tre: il ciclo di Carlo Magno (il più antico), il ciclo di Guillaume d’Orange, il ciclo dei vassalli ribelli. Il primo narra le imprese di Carlo e dei suoi paladini contro i Saraceni; ne fa parte la Chanson de Roland che è il capolavoro del genere. Il secondo racconta le gesta del nobile cavaliere Guillaume, grande feudatario del Sud della Francia, e la Chanson de Guillaume ne costituisce il centro. Il terzo rappresenta la rivolta di un feudatario contro un principe indegno: esso esprime già un momento di crisi di legittimazione del potere feudale, che appare contestato dal suo interno (i baroni sono in conflitto tra loro e con il sovrano); la canzone più significativa è Raoul de Cambrai. Le canzoni di gesta non nascono da una tradizione orale e popolare, ma in un ambiente colto. Però sono trasmesse oralmente ad un pubblico anche popolare, ma di cui si dà comunque per scontata la solidarietà con la vicenda. I testi, essendo orali e per lo più anonimi, non sono stabili, ma soggetti ad interpolazioni e variazioni. La Chanson de Roland, formata da circa 4000 versi decasillabi, è stata composta nella seconda metà del secolo XI (intorno al 1080), ma il manoscritto più antico che la conserva, ad Oxford, è della prima metà del secolo successivo. Alla fine del manoscritto viene registrato il nome di Turoldo, ma è difficile dire se si tratta del nome dell’autore (come oggi si propende a pensare) o piuttosto di colui che ha copiato il poema.
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La composizione della Chanson de Roland risale ad un periodo successivo di tre secoli rispetto alla vicenda che narra: una spedizione di Carlo Magno contro i Saraceni spagnoli nel 778. La storia è volta in leggenda con chiara intenzione epico-religiosa. La narrazione è elementare, avanza per schemi ed opposizioni (Cristiani contro Saraceni, l’eroe contro il traditore, ecc..), per blocchi narrativi e scene unitarie. Come nella tradizione epica antica, ricorrono spesso le stesse formule e gli stessi moduli. IL CONCETTO DI CORTESIA E LE PREMESSE TEORICHE DEL ROMANZO CORTESE E DELLA LIRICA D’AMORE L’aggettivo “cortese” deriva dalla “corte” del sovrano e dei signori feudali e indica una condizione di gentilezza o “cortesia”, di nobiltà, di raffinatezza nell’educazione e nei costumi, di predisposizione alla “liberalità”: definisce, insieme, uno stato sociale reale, quello dei frequentatori della “corte” feudale, e una condizione ideale che implica piuttosto un programma, una tensione verso un modello di perfezione spirituale e culturale. Il concetto di “cortesia” è l’opposto di quello di “villania”, inteso quest’ultimo come sinonimo di grettezza, ignoranza, rozzezza di costumi ed avarizia.
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La parola “cortesia” si afferma nei secoli XII-XIII: essa definisce una nuova fase della civiltà feudale ed infatti soppianta il termine con cui prima si definiva l’ethos (cioè il mondo morale) feudale, vassallaggio, sottolineando così la nascita di un nuovo modello morale e culturale di vita. Nei secoli XI-XIII nasce una nuova concezione dell’amore che si prolunga sino ad oggi. L’amore cortese è al centro non solo del romanzo ma anche della lirica e dunque qualifica i due maggiori generi letterari della società cortese. Non è solo un motivo poetico, ma un argomento di trattazione scientifica, morale e filosofica. La trattatistica d’amore ha un grande sviluppo nel periodo che va dalla fine dell’Alto Medioevo ai primi secoli del Basso. Il trattato più noto e più importante è il De Amore di Andrea Cappellano, scritto in lingua d’oïl fra il 1174 ed il Esso da un lato accoglie le teorie d’amore più diffuse e dall’altro le codifica in modo originale, dando vita ad una tradizione che continuerà per tutto il Duecento e il Trecento e influenzerà profondamente la Scuola lirica siciliana, gli stilnovisti e Dante. Esso definisce i principali “comandamenti d’amore”.
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Il De Amore contiene i seguenti nuclei teorici:
si propone una definizione dell’amore in cui confluiscono aspetti istintivi e passionali e aspetti legati all’immaginazione ed alla riflessione (importanza della vista, ma anche della fantasia e della capacità di immaginazione); il rapporto innamorato-donna riflette quello feudale tra vassallo e signore; si prospetta una posizione inconciliabile fra amore libero e matrimonio e si teorizza che solo il primo è vero amore, ma si aggiunge anche che ciò non deve indurre al libertinaggio; si afferma l’esistenza di uno stretto rapporto tra gentilezza ed amore; lo spazio dell’amore e quello della poesia tendono a coincidere.
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