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PubblicatoErnesto Paoli Modificato 8 anni fa
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1 Cronaca di una partita a poker da Adam Fawer: Improbabile, Feltrinelli, 2004
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2 Stavano giocando a poker alla texana e le regole erano facili. A ogni giocatore venivano distribuite due carte, e a seguire c’era il flop, ovvero si scoprivano tre carte che tutti vedevano. Poi il mazziere girava una quarta carta chiamata turn, e poi la quinta e ultima carta, chiamata river. Ogni carta scoperta era seguita da un giro di puntate, dopodichè i giocatori mostravano le proprie carte. Chi aveva il punto più alto – tra le cinque carte scoperte e le due che ognuno aveva in mano – vinceva. Il bello era che in qualunque momento un giocatore intelligente poteva guardare le carte sul tavolo e capire quale era la mano migliore da fare. Quando Caine guardava il flop, non vedeva tre carte, bensì centinaia di probabilità, e quello che gli interessava di più era se aveva o meno la possibilità di vincere. Con le carte che aveva, riteneva che ci fosse un’elevata probabilità.
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3 Aveva in mano un paio di campioni: un asso di cuori e un asso di quadri. Il flop consisteva in un asso di fiori e due carte di picche, il jack e il sei. Il tris d’assi di Caine era il massimo – la maggior mano possibile sul tavolo – ma c’erano ancora molte carte utili nel mazzo da considerare. Si mise a calcolare la probabilità di ogni possibile sviluppo. Caine era noto per farsi a mente le complesse operazioni necessarie a calcolare le probabilità di tutto, o quasi. L’unica variabile che non poteva quantificare era la probabilità che i suoi avversari stessero bluffando, ma ci provava comunque. Chiunque avesse in mano due picche aveva un totale di quattro picche: due in mano, due sul tavolo. Quella persona avrebbe avuto bisogno di un’altra carta di picche sul tavolo per completare il colore. Caine fece i suoi conti, girandosi e rigirandosi i numeri nella mente con la stessa facilità di una bambina che recita l’alfabeto.
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4 C’erano un totale di tredici picche nel mazzo, quindi se qualcuno aveva due picche in mano (due erano sul tavolo) al massimo potevano essercene rimaste nove (in questo caso, le “carte utili”). La probabilità che una delle prossime due carte fosse picche erano de 38%. Alta, certo, ma in fondo le probabilità che a qualcuno ne fossero già capitate due erano soltanto del 6%. Nella sua testa Caine fece scattare la chiave per ottenere la risposta definitiva: le probabilità che fossero distribuite due carte di picche e che ne apparissero tre sul tavolo. Sospirò mentre il numero gli compariva in mente girando su se stesso come una gloriosa insegna al neon: appena 2,3%. Era un rischio che poteva correre. Ripetè l’esercizio, stavolta calcolando le probabilità che qualcuno ricevesse una carta di picche e completasse il colore: solo l’1,6%. Le probabilità che qualcuno centrasse il colore di fiori invece che di picche erano ancora più base: lo 0,2%. Niente di cui allarmarsi.
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5 La scala invece era più preoccupante. Con un asso e un jack scoperti e nessun’altra figura né un dieci in vista, c’erano dodici carte che avrebbero reso possibile una scala (uno qualunque dei quattro re, regine o dieci). Ma in ogni caso, c’era solo una probabilità del 3,6% che qualcuno avesse già in mano le altre due carte necessarie a far scala. Teoricamente, anche la scala reale era ancora possibile, ma così improbabile che Caine non si mise neppure a calcolarne la probabilità. Dato che aveva già tris d’assi, quello che gli serviva era un altro asso, un jack o un sei. Se gli fosse arrivato un asso avrebbe fatto poker. Con un jack o un sei avrebbe fatto full, o di assi con jack o di assi con sei. Con sette carte utili nel mazzo (un asso, tre jack e tre sei) le probabilità che gli capitasse una qualunque delle carte necessarie era del…28%. Niente male. Allungò una mano e buttò alla cieca quattro fiches nel piatto.
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6 “Rilancio di venti” “Vedo.” Sorella Scala ci stava: Caine sperò che avesse raddoppiato sul jack e che non stesse cercando la scala come suo solito. “Vedo.” Anche Stone ci stava e, come sempre, rimase seduto immobile come una statua. Stone rispettava sempre le regole, non restava mai per sfizio o per un presentimento, e calcolava sempre la probabilità. Era escluso che giocasse, a meno che non cercasse una scala o il colore. Caine si maledisse per non aver puntato di più prima del flop per scoraggiare tutti quelli che cercavano la scala. Non sarebbero rimasti se lui avesse puntato di più di apertura. Cercò di convincersi che no, aveva puntato basso solo per adescarli e poi spennarli, perché era avido. Walter giocherellava con le fiches. Per un attimo, Caine pensò che stesse rilanciando, ma invece vedeva e basta.
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7 Già, erano tutti in attesa del turn, non si sbilanciavano finché non avevano un’idea più precisa di cosa sarebbe arrivato. La carta successiva fu una vista gioiosa per Caine: un asso di picche. Con una coppia d’assi sul tavolo ed un’altra in mano aveva un poker. L’unica mano che poteva batterlo sarebbe stata una scala reale, ma era improbabile che qualcuno la centrasse. La carta successiva avrebbe dovuto essere un re, una regina o un dieci di picche, in più bisognava che qualcuno avesse già le altre due carte di picche necessarie per completarla. Impossibile. Eppure…Caine fece un rapido calcolo a mente, con le palpebre abbassate per nascondere i veloci movimenti degli occhi: le probabilità che uno dei giocatori avesse una qualunque delle tre combinazioni di picche (re-regina, re-dieci o regine-dieci) erano 1 su 150.
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8 Le probabilità che chiunque avesse una di quelle coppie e beccasse la terza carta erano 1 su 3500. Eh sì, proprio impossibile. Il piatto era suo: restava solo da vedere quanto riusciva a rimpinguarlo prima che finisse la mano. Se avesse puntato troppo avrebbe rischiato di spaventare tutti i pesci. Ma se decideva di fingersi addormentato e giocare lento, rischiava di sprecare una mano sicura. Doveva puntare in modo equilibrato: né troppo, né troppo poco … semplicemente il giusto. “Venti.” Walter buttò quattro fiches rosse e si appoggiò allo schienale, come se si stesse preparando a una lunga attesa. Caine guardò le proprie fiches e lentamente ne prese un paio verdi. “Facciamo cinquanta puliti.” “Passo” disse Sorella Scala disgustata. “Anch’io passo” disse Stone.
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9 “Quindi restiamo noi due” disse Walter, mangiucchiando una patatina fredda. “Perché non movimentarla un po’? Rilancio di cinquanta.” Che stava facendo Walter? Forse stava bluffando alla grande, ma Caine ne dubitava: non con un paio di assi sul tavolo. Inoltre, il sorriso compiaciuto e arrogante del vecchio lo spingeva a credere avesse qualcosa. Poi capì: Walter aveva in mano o una coppia di jack o una coppia di sei. Aveva un full, probabilmente di jack con assi: l’unico problema era che il suo full non batteva i quattro assi di Caine. “Più cinquanta.” Caine buttò una fiche da cento dollari. Poi il mazziere girò il river – un re di picche – e lo stomaco di Caine girò su se stesso. Con un asso, un re e un jack di picche la possibilità di una scala reale era più concreta che mai. Ragiona, ragiona, ragiona. Concentrati sulle carte, sui numeri.
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10 Era così che si faceva. I numeri l’avrebbero aiutato. L’avrebbero guidato. Li recitò a mente, convogliando tutte le sue forze nella litania delle probabilità. Aveva quattro assi. Poker. Che voleva dire? Ci sono 133 milioni di mani possibili che si possono fare con sette carte. Di questi 133 milioni, solo 224.848 risultano in un poker. Di conseguenza, c’è solo uno 0,16% di probabilità di centrare un poker, cioè 1 su 595. E la scala reale? Ci sono solo 17.238 combinazioni di carte che risultano in una scala reale. Solo una probabilità dello 0,013%. Una mano su 7761. E se vi fossero verificate entrambe contemporaneamente? Quante combinazioni sarebbero state? Non molte. Poche. Pochissime. Irrisorie. In quelle condizioni la matematica era al di là delle sue possibilità. Sapeva solo che era un qualche piccolo sottoinsieme di 17.238 mani che includeva un poker.
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11 Probabilmente qualcosa come cinquemila mani. Cinquemila combinazioni di sette carte su 13 milioni di possibilità, cioè 1 su 26.000. Era escluso … però era possibile.
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12 Lo studio del comportamento competitivo è esattamente analogo alla partita di poker che abbiamo appena letto. - Esistono delle regole del gioco che vanno rispettate (le regole del mercato, il codice civile, le convenzioni sociali, …) - Esistono degli obiettivi da perseguire (vendere/comprare). - Esiste una conoscenza comune (le carte sono scoperte: quello che tutti sanno/conoscono). - Esistono i giocatori (i venditori, i compratori; in concorrenza tra di loro). - I giocatori hanno un loro carattere (… era avido).
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13 - Esistono informazioni private (le carte che ciascuno ha e che solo lui può vedere). - I giocatori scelgono delle strategie di gioco per raggiungere l’obiettivo di vincere. - I giocatori ragionano (pensano alle proprie opportunità di scelta, immaginano le possibile scelte dell’avversario). - I giocatori calcolano (assegnano delle probabilità di successo al proprio comportamento, e alla reazione degli avversari). - Ciascun giocatore si pone sempre la domanda: “Cosa farei se fossi nei panni del mio avversario?”
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14 Analizzare il comportamento competitivo vuol dire percorrere tutti questi passaggi del ragionamento... Ma cominciamo dall’inizio.
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