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1 LA POLITICA ECONOMICA REGIONALE. 2 Argomenti principali Definizioni e rilevanza del problema regionale Le misure degli squilibri territoriali I principali.

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1 1 LA POLITICA ECONOMICA REGIONALE

2 2 Argomenti principali Definizioni e rilevanza del problema regionale Le misure degli squilibri territoriali I principali modelli interpretativi dei divari territoriali Obiettivi di politica economica regionale Strumenti di politica economica regionale

3 3 DEFINIZIONI DEL PROBLEMA REGIONALE Per politica economica regionale si intende: politiche regionali: l’insieme di tutte le politiche adottate per il riequilibrio territoriale in un’ottica e ad una scala sopranazionale e nazionale (es. UE e governo nazionale) politiche delle Regioni: l’insieme di tutte le politiche adottate per il riequilibrio territoriale in un’ottica e ad una scala regionale o sub- regionale (es. Regioni e altri enti locali) La distinzione è attribuita alla scala geografica, alle risorse utilizzate, ma soprattutto ai soggetti attuatori (in un caso organismi centrali, nell’altro le Regioni) e alle tipologie di intervento.

4 4 RILEVANZA DEL PROBLEMA REGIONALE Vi sono squilibri territoriali Le questioni a monte sono: perché alcune regioni sono più sviluppate di altre? perché le regioni crescono a ritmi diversi? quali sono i fattori che determinano il livello di attività economica e di benessere nelle diverse regioni? come si misura il divario economico tra le diverse regioni?

5 5 Le misure degli squilibri territoriali I principali indicatori delle disparità economiche regionali reddito pro-capite tassi di disoccupazione, di occupazione e di attività distribuzione settoriale dell’occupazione (distribuzione settoriale della formazione del reddito) produttività del lavoro complessiva e per settore dotazioni infrastrutturali dotazioni di strutture di servizi alle imprese e alle persone indicatori di welfare (assistenza sociale, indici di povertà relativa ed assoluta) Indicatori di tipo dinamico - colgono le tendenze in atto

6 PIL pro capite delle regioni italiane, 2007 6

7 PIL pro capite per aree geografiche, 2000 e 2007 7

8 Dinamica del PIL pro capite per aree geografiche 8

9 Tasso di disoccupazione per regione, media 2007 9

10 Tasso di occupazione per regione, media 2007 10

11 11 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI Il modello neoclassico Il livello di attività economica dipende dall’offerta di lavoro, dallo stock di capitale e dal progresso tecnico I lavoratori e il capitale si spostano verso le regioni che offrono remunerazioni e tassi di rendimento più elevati Lavoro e capitale si spostano in direzioni opposte nelle regioni con elevato rapporto capitale/lavoro, i salari sono relativamente maggiori e attirano lavoratori, mentre il rendimento del capitale è relativamente basso e vi è deflusso di capitali L’elevata mobilità interregionale dei fattori della produzione tende a ridurre le differenze di costi, prezzi e redditi tra regioni Tesi della convergenza

12 Un esempio Due regioni con differente dotazione iniziale di capitale per addetto (e quindi di reddito per addetto – reddito pro capite) Se i fattori capitale e lavoro sono sostituibili tra loro nella produzione (assumendo che si sostituiscano 1 a 1), e con rendimenti di scala costanti:  Se la regione arretrata ha un reddito pro capite di un decimo rispetto a quella avanzata, il rendimento del capitale sarebbe 215 volte più elevato  Se la regione arretrata ha un reddito pro capite dell’80% di quella avanzata, il rendimento del capitale sarebbe due volte maggiore 12

13 13 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI Il modello basato sul settore delle esportazioni  Lo stimolo per lo sviluppo economico di una regione deriva dalla domanda esterna alla regione (“esportazioni”) – insufficienza della domanda interna  Sfruttamento delle risorse naturali, oppure  specializzazione nella produzione di beni industriali o nei servizi  Aumenta la produzione interna, aumenta il reddito e la domanda interna, aumenta la domanda di lavoro e di capitale, aumentano i loro prezzi  La regione attira lavoratori e capitali dalle altre regioni  Fino a quando non ci sono limiti alla mobilità dei fattori e non ci sono regioni concorrenti, il livello di attività economica aumenta Tesi dell’aumento dei divari interregionali di crescita

14 La regione con specializzazioni nel settore manifatturiero può sfruttare economie di scala ed avere elevati guadagni di produttività Le economie di scala, o interne, sono legate alla possibilità di ridurre i costi di produzione con l’aumento della dimensione degli impianti I costi di produzione si riducono e la regione migliora la propria posizione relativa rispetto alle altre La regione ha un vantaggio concorrenziale ed espande il proprio settore di specializzazione attraverso le “esportazioni” La competitività del settore delle “esportazioni” influenza la crescita della regione, il che ha ulteriori effetti favorevoli sulla produttività e sulla competitività del settore delle “esportazioni” La regione gode di economie “esterne” che dipendono dallo sviluppo generale dell’industria (settore delle esportazioni e industrie sussidiarie) grazie alla divisione del lavoro, allo sviluppo dei trasporti, alla diffusione del progresso tecnico e dei servizi alla produzione 14

15 Tesi dell’aumento dei divari interregionali di crescita Tesi dell’aumento dei divari interregionali di crescita Appena sorgono delle differenze tra le aree nei rispettivi standard di sviluppo si metteranno in moto forze che, in una sequenza d’espansione cumulativa nella regione inizialmente favorita e di stagnazione cumulativa in quella inizialmente svantaggiata, faranno in modo che, in generale, le differenze di sviluppo persisteranno ed aumenteranno di anno in anno. Al fine di contrastare tali andamenti spontanei di un’economia lasciata a se stessa, si deve fare ricorso nelle regioni negativamente colpite dai meccanismi di causazione circolare cumulativa a misure di politica economica, che, nella forma dello stimolo e sostegno della domanda e dell’offerta di lavoro, di capitali, di prodotti, deve puntare a neutralizzare gli effetti negativi di tali meccanismi. 15

16 16 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI Il modello di crescita bilanciata Considera i rapporti reciproci tra coloro che producono, consumano,investono nei settori interdipendenti dell’economia A motivo dell’interdipendenza verticale ed orizzontale tra imprese e settori, l’investimento risulta più redditizio se effettuato in più settori collegati L’economia gode di “economie esterne dinamiche”  Le economie esterne sono considerate il perno fondamentale dello sviluppo e derivano dall’interdipendenza diretta e indiretta tra produttori, nel senso di servizi produttivi, di dimensione del mercato e di dimensione dei profitti realizzati – e quindi di possibilità di nuovi investimenti Big push o livello minimo “critico” di risorse investite in più settori, anche per creare domanda sufficiente per la produzione e per permettere di raggiungere la soglia minima di godimento delle economie di scala Troppe risorse necessarie per lo sviluppo equilibrato

17 17 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI Il modello di crescita sbilanciata  La capacità di investire è una seria strozzatura per le aree depresse e si acquisisce con l’esperienza, soprattutto nei settori più moderni  La complementarietà tra i diversi investimenti non viene negata, ma ne viene sottolineata la sequenzialità ed il ruolo del settore pubblico e della politica economica  Le decisioni di investimento devono essere coordinate temporalmente e concentrate in due settori: il settore del capitale fisso sociale (infrastrutture di base e di qualità sociale e produttiva) il settore direttamente produttivo, in comparti ritenuti strategici

18 18 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI Il modello dei “poli di sviluppo”  E’ uno sviluppo del precedente  Le misure di politica economica regionale devono prevedere la concentrazione degli investimenti anche territorialmente, in aree o poli di sviluppo, da dislocare strategicamente sul territorio  Nei poli devono essere concentrate attività produttive di rottura, in settori dotati di elevata tecnologia (per compensare con i minori costi di produzione i maggiori oneri localizzativi) ovvero iniziative produttive nei settori di base dei beni d’investimento  Il polo coinvolge poi nel processo di crescita produttiva un elevato numero di altre industrie, anche e soprattutto locali (il settore chimico, siderurgico e meccanico sono quelli che coinvolgono maggiormente il resto dell’economia)

19 I PRINCIPALI MODELLI INTERPRETATIVI La “nuova geografia economica” - Krugman Nella produzione vi sono rendimenti crescenti che spingono alla concentrazione geografica Conta la distanza spaziale, che comporta dei costi per essere superata:  La mobilità dei prodotti e dei fattori non è perfetta  Conta la localizzazione delle imprese fornitrici e produttrici e delle imprese rispetto ai consumatori Le localizzazioni attraenti per la produzione sono quelle vicine ai mercati di vendita e ai fornitori La concentrazione della produzione in questi luoghi attrae i fattori di produzione mobili (lavoro) La concentrazione dei lavoratori dà luogo ad una maggiore domanda di beni, che attira nuove imprese 19

20 Il livello della domanda di beni prodotti da un’impresa dipende dalla localizzazione degli altri produttori Non contano tanto le dotazioni iniziali di fattori, ma l’interazione spaziale tra produzione e domanda: la regione diviene attrattiva perché molte altre imprese vi si sono già installate Insieme di forze agglomeranti, che tendono a favorire la concentrazione delle attività produttive: Il successo alimenta il successo Forze antagoniste di tipo diffusivo:  Problemi ambientali (congestione)  Aumento dei prezzi (case, lavoro, ecc.)  Concentrazione dei fattori di produzione immobili nelle regioni periferiche In una regione arretrata, il recupero dovrà essere avviato sulla base delle risorse immobili Il processo di sviluppo di una regione è un processo difficile da innescare, ma – una volta avviato – può autoalimentarsi e accelerare, a meno che non sorgano ostacoli che possono rallentarlo fino a farlo finire 20

21 21 OBIETTIVI DI POLITICA ECONOMICA REGIONALE Occorre innanzitutto individuare le aree geografiche rilevanti per la politica regionale (che possono essere ridefinite nel tempo) Obiettivi riferiti alle aree “depresse”:  la promozione di uno sviluppo autonomo  il raggiungimento di livelli di reddito e di occupazione accettabili in confronto con quelli delle altre regioni di un paese  l’eliminazione di consistenti deflussi di popolazione dalle aree depresse attraverso i movimenti migratori  il contenimento nella divergenza tra i tassi di disoccupazione

22 22 STRUMENTI DI POLITICA ECONOMICA REGIONALE Rivolti a influenzare le decisioni di localizzazione di famiglie e imprese, oppure a modificare il livello del reddito e della spesa di determinate regioni Strumenti di tipo microeconomico:  influenzano la ripartizione del lavoro e del capitale tra le varie industrie e regio ni Strumenti di tipo macroeconomico :  influenzano il reddito e la spesa regionali variazione del tasso di cambio – regioni esportatrici; controlli sulle importazioni – regioni che producono beni sostitutivi; dimensione regionale nella politica macroeconmica; attribuzione di poteri macroeconomici alle autorità regionali

23 23 Strumenti di tipo microeconomico A) per la redistribuzione del lavoro politiche dirette ad aumentare la mobilità del lavoro  il lavoro non reagisce prontamente alle differenze regionali del saggio di salario, né a quelle relative ai tassi di disoccupazione  politiche di mobilità locale  politiche di mobilità interregionale dell’offerta di lavo ro B) per la redistribuzione del capitale  politiche rivolte sia allo spostamento di capacità industriale da altre regioni, sia a stimolare la crescita delle attività economiche locali  Incentivazione fiscale  controlli amministrativi  politiche del credito

24 24 Strumenti di tipo macroeconomico A) Attribuzione alle regioni e agli enti locali di poteri concernenti la politica fiscale, monetaria e commerciale In Italia: elementi di decentramento fiscale B) Controllo centrale delle politiche macroeconomiche Politiche di spesa e di imposizione che discriminano tra le varie regioni  Politiche automatiche (stabilizzatori fiscali)  Politiche discrezionali Politiche monetarie che discriminano tra le varie regioni Controlli sul commercio


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