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PubblicatoArnaldo Ricciardi Modificato 8 anni fa
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Coniugazione verbale Riccardo Cimaglia
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Contenuto 1. Definizione 2. Generalità 2.1 Classi di coniugazione 2.2 Categorie grammaticali espresse nella coniugazione 2.3 La flessione verbale: brevi considerazioni 3. Considerazioni diacroniche 4. Tendenze nell’italiano contemporaneo 4.1 Produttività delle classi 4.2 Spostamenti di classe 4.3 Peculiarità generali dei verbi irregolari 4.4 Peculiarità generali dei verbi irregolari 4.5 Ulteriori tendenze
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1. Definizione Per coniugazione si intende l’insieme delle variazioni morfologiche del verbo in relazione al modo, al tempo, all’aspetto, alla diatesi, alla persona, al numero e al genere.
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Il termine (dal lat. coniugatiōnem < coniugāre «azione del coniugare, del congiungere») può avere sia valore morfologico, facendo riferimento all’unione delle varie terminazioni con la radice del verbo durante la flessione, sia valore sintattico: il verbo, dovendosi ‘coniugare’ ad altri elementi (argomenti) per generare una frase, a seconda delle esigenze sintattiche, muta forma.
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Per es., volendo esprimere il contenuto «Paolo vuol bene alle cugine» con il verbo amare, a seconda che il soggetto grammaticale sia Paolo o le cugine, il verbo dovrà cambiare forma: rispettivamente, presente indicativo attivo terza persona sing. (Paolo ama le cugine), o presente indicativo passivo terza persona plur. con il participio al femminile (le cugine sono amate da Paolo).
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2. Generalità
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2.1 Classi di coniugazione In italiano, in relazione alla vocale tematica (che insieme alla radice forma il tema verbale, a cui si aggiungono le desinenze), i verbi sono tradizionalmente raggruppati in tre classi di coniugazione (o, più semplicemente, in tre coniugazioni):
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I coniugazione (tema in -a- e infinito presente in -are: amare) II coniugazione (tema in -e- e infinito presente in -ere: temére e lèggere) III coniugazione (tema in -i- e infinito presente in -ire: udire)
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Tali tre classi, di cui solo la prima è produttiva, rappresentano la continuazione delle quattro coniugazioni latine (amāre, timēre, legĕre, audīre); più precisamente le coniugazioni latine I e IV vengono, rispettivamente, continuate dalla I e dalla III coniugazione italiana, la II e la III coniugazione latina confluiscono nella II coniugazione italiana, nella quale, per tale ragione, sono distinguibili due sottoclassi di verbi:
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(a) quelli che hanno l’accento sulla vocale tematica dell’infinito (dalla II coniugazione latina: infatti, nel passaggio dal latino all’italiano, viene mantenuto l’accento su quella che nelle forme latine era la vocale lunga -ē-: tenére < tenēre, vedére < vidēre, persuadére < persuadēre);
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(b) quelli che hanno l’accento sulla radice (tecnicamente, rizotonici), provenienti dalla III coniugazione latina (in questo caso in latino la vocale della penultima sillaba era la breve -ĕ- e pertanto l’accento cadeva sulla sillaba precedente, come avviene anche in italiano: prèndere < prehendĕre, crédere < credĕre).
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In quest’ultima sottoclasse vanno inoltre distinti i verbi con infinito apparentemente irregolare, per sincope vocalica e successiva assimilazione (pórre < ponĕre, condùrre < conducĕre).
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Tuttavia, l’evoluzione sopra descritta ammette eccezioni; nel passaggio dal latino classico al latino volgare e poi all’italiano si registrano alcuni spostamenti di classe (metaplasmi): per es., ci sono verbi latini in -ēre che passano alla seconda sottoclasse con accento sulla radice (movēre > muòvere) e verbi in -ĕre che passano alla prima sottoclasse con accento sulla vocale tematica (sapĕre > sapére); alcuni verbi in - ēre, poi, sono passati alla III coniugazione italiana in -ire (florēre > fiorire, admonēre > ammonire), altri verbi latini in -ĕre (soprattutto quelli in -ĭo) sono passati alla III in -ire (fugĕre > fuggire, capĕre > capire).
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Alcuni casi di sincope hanno determinato, sempre tra i verbi in - ĕre, terminazioni all’infinito incoerenti rispetto al resto del paradigma (come facĕre > fare e dicĕre > dire; entrambi i verbi hanno come vocale tematica -e-).
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Anche nella III coniugazione italiana occorre operare una distinzione tra due sottoclassi di verbi in -i-: quelli che nel presente indicativo e congiuntivo (prima, seconda, terza persona sing. e terza persona plur.) nonché all’imperativo (seconda persona sing.) prendono l’aumento in -isc- (finire: finisco, finisci, finisce, finiscono; finisca, finiscano; finisci!; ma finiamo, finite, ecc.) e quelli che non prendono tale aumento (partire: parto, parti, parte, partono).
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Secondo alcuni (per es., Vincent 1988: 293; Simone 1993: 55) le classi del sistema verbale italiano potrebbero ridursi a due: quella in -a- e quella in -e-, considerate le forti affinità tra i verbi in - i- e quelli in -e-, rispetto alle affinità che le rispettive classi presentano con la prima classe in -a- (per es., la terza persona sing. e plur. del presente indicativo: crede, sente; credono, sentono; la prima, seconda, terza persona sing. e la terza plur. del congiuntivo presente: creda, senta; credano, sentano; la seconda sing. dell’imperativo: credi!, senti!).
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2.2 Categorie grammaticali espresse nella coniugazione La coniugazione italiana esprime le categorie di modo, tempo, aspetto, persona, numero, diatesi e, nelle forme composte con l’ausiliare essere, anche il genere.
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I modi, che servono ad esprimere la modalità con cui il parlante si pone nei confronti dell’azione (per es., certezza, possibilità, comando) si distinguono in:
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(a) modi finiti (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo), che indicano la persona e il numero; (b) modi indefiniti (infinito, participio, gerundio), che non indicano la persona e, salvo il participio, il numero (il participio passato è l’unica forma verbale che distingua anche il genere).
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I tempi, la cui principale funzione è indicare il rapporto tra momento dell’enunciazione e momento dell’azione descritta dal verbo (anteriorità, contemporaneità, posteriorità) si distinguono in:
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(a) tempi semplici, costruiti senza l’ausiliare; (b) tempi composti, costruiti con l’ausiliare (essere o avere).
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Proprio per questa loro funzione basilare, gli ausiliari essere e avere possono essere considerati come «le colonne portanti di tutta la coniugazione italiana» (Serianni 1988: 337).
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Per illustrare l’insieme combinato di modi e tempi dell’italiano, si riproduce nella tab. 1 lo schema approntato da Simone (1993: 58), con alcune modifiche (in maiuscoletto tondo sono riportati i modi finiti, in maiuscoletto corsivo i modi indefiniti; in minuscolo tondo sono indicati i tempi semplici, in minuscolo corsivo quelli composti).
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Nella flessione verbale l’aspetto non è marcato, come invece avviene per le altre categorie verbali. Per es., nel presente la momentaneità dell’azione viene espressa dalla radice del verbo (il puntuale addormentarsi rispetto al durativo dormire); per l’espressione della progressività è in espansione la perifrasi stare + gerundio (sto leggendo), anche con verbi già di per sé durativi (sta piovendo), per distinguere questo da altri valori del presente.
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È nei tempi del passato che l’aspetto trova maggiormente espressione: l’imperfetto, infatti, può indicare, oltre che l’abitualità, anche la duratività di un’azione; il passato remoto può fornire all’espressione dell’azione un carattere puntuale; si consideri la terzina dantesca:
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Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco (Inf. I, 61-63)
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Qui gli imperfetti rovinava e parea esprimono il carattere durativo dell’azione o della condizione espressa dal verbo, mentre il passato remoto mi si fu offerto suggerisce puntualità: «mi apparve, mi si offrì alla vista in quel preciso momento»). Il passato prossimo, infine, conferisce all’azione un carattere di compiutezza, come risulta dal famoso verso manzoniano di Marzo 1821: «han giurato: non fia che quest’onda / scorra più tra due rive straniere». Inoltre, rispetto al passato remoto che isola l’azione in un determinato momento del passato, il passato prossimo indica la permanenza degli effetti dell’azione nel presente.
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L’italiano presenta nei modi finiti la prima, la seconda e la terza persona, di numero sia sing. che plur., tranne nell’imperativo, che si presenta solo alla II persona, sing. e plur.
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Riguardo alla diatesi, si distinguono:
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(a) la diatesi attiva, quando il soggetto grammaticale corrisponde al soggetto logico (o agente) dell’azione: Mario lava / ha lavato l’automobile;
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(b) la diatesi passiva, quando l’agente non coincide con il soggetto grammaticale: l’automobile è lavata / è stata lavata da Mario;
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(c) la diatesi riflessiva, quando c’è coincidenza tra soggetto e oggetto: Mario si lava / si è lavato.
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2.3 La flessione verbale: brevi considerazioni Nella flessione le desinenze si aggiungono o alla radice o al tema, che varia, come si è visto, a seconda delle classi. Nella maggioranza dei casi un unico morfema esprime tutte le categorie grammaticali: per es., il morfema -o in amo indica insieme il tempo presente, il modo indicativo, la prima persona sing.; in chiamò il morfema -ò porta le informazioni grammaticali di terza persona sing., passato remoto, indicativo.
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Tuttavia, in alcune forme finite (come l’imperfetto indicativo) il morfema indicante tempo, modo, aspetto precede quello della persona e del numero: la forma lodavate, per es., può essere scomposta nei seguenti elementi (Berretta 1993: 197):
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lod- radice -a- vocale tematica della I classe -va- morfema dell’imperfetto indicativo -te morfema della seconda persona plur.
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A proposito della flessione verbale, infine, va segnalato che tra le forme si registrano scarsissime omonimie, limitate alla prima, seconda, terza persona sing. del congiuntivo presente (e passato), alla prima persona plur. del presente indicativo e congiuntivo; alla prima e seconda persona sing. del congiuntivo imperfetto (e trapassato); alla seconda persona plur. del passato (e trapassato) remoto indicativo e dell’imperfetto (e trapassato) congiuntivo. L’imperativo alla seconda persona sing. ha una sua forma specifica solo nella prima coniugazione, mentre nelle altre due coniugazioni la seconda persona sing. coincide con la seconda sing. del presente indicativo.
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3. Considerazioni diacroniche Alle considerazioni diacroniche svolte all’inizio (§ 1) si deve aggiungere che nel passaggio dal latino all’italiano si registrano altri fenomeni, che possono, nell’insieme, interpretarsi come «l’abbandono di una serie di tratti flessivi, con una conseguente semplificazione del sistema, tendente a ridurre la ricchezza desinenziale sostituendo a singole forme legate, morfologicamente complesse, strutture analitiche perifrastiche, costituite da forme verbali distinte» (D’Achille 2001: 90). Rimandando, per ulteriori approfondimenti, alle voci dedicate ai singoli tempi verbali, si segnalano qui alcuni fenomeni rilevanti:
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(a) La perdita del piuccheperfetto indicativo sintetico con la creazione del trapassato prossimo analitico (invece di amā-vĕram «avevo amato») e del futuro anteriore sintetico, sostituito dal futuro analitico perifrastico (da amāvĕro a avrò amato).
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(b) La perdita del passivo organico nei tempi semplici, sostituito dalle forme perifrastiche costruite col verbo essere + il participio passato del verbo principale (amātur > è amato). Queste ultime, nei tempi semplici italiani, ricalcano le forme analitiche dei corrispondenti tempi composti del latino (così il presente indicativo italiano ricalca il perfetto latino: amātus sum «sono stato amato» > sono amato; l’imperfetto il piuccheperfetto: amātus eram «ero stato amato» > ero amato; il futuro semplice, il futuro anteriore: amātus ero «sarò stato amato» > sarò amato; così come, al modo congiuntivo, il perfetto latino modella il presente italiano: amātus sim «sia stato amato» > sia amato; ma l’imperfetto congiuntivo passivo si costruisce con l’ausiliare al piuccheperfetto congiuntivo amātus fuissem (in luogo di essem) fossi amato, probabilmente per il fenomeno della perdita della forma congiuntivo imperfetto latino, sostituita da quella del congiuntivo piuccheperfetto, come si vedrà al punto successivo), mentre il passato remoto e gli altri tempi composti dell’italiano sono costruiti con la flessione dell’ausiliare essere al tempo corrispondente e l’aggiunta del participio: ero stato amato, fui stato amato, sarò stato amato, sia stato amato, fossi stato amato.
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(c) La perdita dell’imperfetto congiuntivo (amārem), sostituito da una forma costruita sul piuccheperfetto (amā(vi)ssem > amasse > amassi).
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(d) La perdita del futuro semplice sintetico (amābo, veniam) sostituito da una forma perifrastica (infinito + habeo), che poi evolve nel futuro semplice italiano (amāre habeo > * amare ao > amarò > amerò).
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(e) L’introduzione del modo condizionale, formato, analogamente al futuro dalla perifrasi infinito + habui (amāre habui > * amare ei > amarei > amerei).
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(f) La scomparsa dei verbi deponenti (e semideponenti) latini (verbi con forma passiva e significato attivo), regolarizzati in tutti i tempi e modi come attivi (exhortāri > esortare; mori > morire) e come pronominali.
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(g) La perdita dell’imperativo futuro, del participio futuro, dell’infinito futuro, del supino, di tutte le forme del gerundio, tolto il dativo/ablativo, e del gerundivo (quest’ultimo recuperato per via dotta: laureando, maturando, legenda).
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Rispetto al latino, l’italiano crea d’altronde nuovi tempi: per l’espressione dei valori del perfetto latino (amāvi), in italiano si formano ben tre tempi, tra loro differenti per il valore aspettuale: il passato remoto (amai), che continua morfologicamente il tempo latino in questione, e gli analitici passato prossimo (ho amato) e trapassato remoto (ebbi amato), possibile in antico anche nelle frasi principali (Rohlfs 1968; Tekavčić 1972).
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4. Tendenze nell’italiano contemporaneo
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4.1 Produttività delle classi Delle tre classi, l’unica produttiva è la prima, anche grazie alla sua regolarità. Vi si inseriscono (oltre ai succedanei dei verbi latini in -āre e dei verbi germanici in -on, come wardon > guardare):
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(a) i nuovi verbi formati da nomi e aggettivi in unione con i suffissi -izzare, - eggiare, -ificare (es., attualizzare, regolarizzare, criminalizzare; largheggiare, mercanteggiare, guerreggiare; nidificare, mercificare), o in unione con il suffisso zero, derivanti da nomi italiani (sgambetto → sgambettare, provino → provinare, biografo → biografare, commissario → commissariare), oppure da parole straniere (scroll → scrollare, dribble → dribblare, chat → chattare);
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(b) i verbi parasintetici (cioè risultanti dalla simultanea affissione di uno o più prefissi e di uno o più affissi a una base nominale) costruiti con i prefissi in- (burro → imburrare, pasticca → impasticcarsi, e già amore → innamorare), s- privativo (macchia → smacchiare, dogana → sdoganare, carcere → scarcerare, barca → sbarcare), s- intensivo (bollente → sbollentare, pennello → spennellare, largo → slargare, bandiera → sbandierare), ad- (dente → addentare, occhio → adocchiare, ira → adirare, celere → accelerare), de- (caffeina → decaffeinare, merito → demeritare), dis- (sale → dissalare, colpa → discolpare).
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Del resto la vitalità della I classe era propria già del latino arcaico (basti ricordare i plautini graecissāre «imitare i Greci», atticissāre «atticheggiare», sicilicissāre «sicilianeggiare» attestati nel prologo dei Menaechmi: Atque adeo hoc argumentum graecissat; tamen non atticissat, verum sicilicissat) e dell’italiano dei primi secoli.
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Si ricorderanno le celebri coniazioni parasintetiche dantesche dai numerali (adduarsi «accoppiarsi»: «sopra la qual doppio lume s’addua», Par. VII, 6; nella spiegazione del Mistero della Santissima Trinità i suggestivi disunarsi «disunirsi» e intrearsi «unirsi come terzo: «ché quella viva luce che sì mea / dal suo lucente che non si disuna / da Lui né da l’Amor ch’a lor s’intrea», Par. XIII, 55-57); incinquarsi «moltiplicarsi per cinque: «questo centesimo anno ancor s’incinqua», Par. IX, 40) e dai pronomi personali (inluiarsi «immergersi in lui»: «Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», Par. IX, 73; intuarsi «immergersi in te», inmiarsi «immergersi in me»: «Già non attender’io tua dimanda / s’io m’intuassi come tu t’inmii», Par. IX, 80-81).
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La II classe in -e-, comprendente verbi di derivazione latina e per di più spesso irregolari, non è mai stata produttiva.
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La III classe, produttiva fino al medioevo (si pensi ai germanismi garantire, guarire, smarrire, derivati da verbi germanici in -jan), oggi accoglie, nella sottoclasse con l’infisso -isc- (che tende a espandersi anche a spese dell’altra sottoclasse), alcuni verbi parasintetici, costruiti con i prefissi in- e ad-, aggiunti a nomi o aggettivi (inacidirsi, imbestialirsi, imbruttire, impoverire, imbufalire, impratichirsi, irrigidire, impigrire, illanguidire, abbellire, arricchire, appuntire, addolcire) e quindi, limitatamente a questa sottoclasse, ha una debole produttività.
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4.2 Spostamenti di classe Alcuni verbi della II classe in -e- e della III classe in -i- subiscono un processo di rielaborazione in nuove forme di I classe: stortare in luogo di storcere, spintonare in luogo di spingere, posizionare in luogo di porre, direzionare in luogo di dirigere, movimentare in luogo di muovere.
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Talora si arriva a forme improprie regolarizzate, retroformazioni come redarre da redigere, per analogia con alcune forme del paradigma (redassi, redatto) e con i derivati (redattore, redazione).
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4.3 Peculiarità generali dei verbi irregolari Per ragioni di spazio non è possibile elencare i verbi irregolari italiani, riguardo ai quali si troveranno delle tavole a fine volume. Tuttavia, si può ricordare (Simone 1993: 58) che nella coniugazione italiana:
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(a) nessun verbo (con l’eccezione di essere) è irregolare all’imperfetto indicativo;
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(b) la maggior parte delle irregolarità sono concentrate nel presente indicativo, nel presente congiuntivo (si pensi all’alternanza di due diverse radici nella flessione del verbo andare, al presente indicativo: vado, vai, va, andiamo, andate, vanno; al presente congiuntivo: vada per le prime tre persone del sing., andiamo, andiate, vadano), nel passato remoto e nel participio passato (ad es., volere → volli, voluto) (questi ultimi due sono strettamente collegati: è assai raro trovare un verbo irregolare al passato remoto e non al participio passato e viceversa, come dare → diedi, ma dato).
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4.4 Peculiarità generali dei verbi irregolari Altra peculiarità del sistema verbale italiano è l’allomorfia (cioè, la variazione formale durante la flessione), almeno in parte ereditata dal latino (scribo, scripsi, scriptum). I fenomeni più comuni sono:
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(a) il raddoppiamento (caso unico tra le lingue romanze) della consonante finale della radice nel passato remoto di alcuni verbi cado → caddi, bevo → bevvi, muovo → mossi, rompo → ruppi, tengo → tenni;
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(b) l’alternanza delle radici, fenomeno derivato dal latino, a volte limitata a sostituzioni o aggiunte di consonanti vincere → vinco, vincevo, vinsi; prendere → prendo, presi; correre → corro, corsi; tendere → tendo, tesi; e, caso più emblematico, togliere → tolgo, togli, tolsi, tolto;
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(c) lo spostamento di accento nella flessione vièni, veníte; telègrafo, telegrafáte; àltero, alteráte.
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Bisogna però sottolineare (D’Achille 2003: 117) che l’allomorfia era ancor più marcata nel passato, quando la variazione formale riguardava una stessa forma (in questo caso sarebbe più opportuno parlare di polimorfia): si pensi alle alternanze vedo, veggo, veggio per il presente indicativo di vedere; se ancora oggi si trovano alternanze come devo / debbo, visto / veduto, offrì / offerse, teméi / temétti, le prime forme sono nettamente più frequenti. Sono ormai uscite dall’uso forme poetiche come fè «fece», diè «diede», vo’ «voglio», morrà «morirà», mentre sono limitate alla varietà toscana forme ridotte come fo e vo per faccio e vado, come anderò per andrò, ecc.
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4.5 Ulteriori tendenze
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Nell’italiano contemporaneo, infine, si segnalano fenomeni, propri soprattutto delle varietà popolari, che possono arrivare alla varietà substandard, come l’indebita estensione dell’aumento -isc- ai verbi in -ire dell’altra sottoclasse (sfuggiscano per sfuggano), la preferenza per forme non rizotoniche nei composti di venire (intervenì e intervenìrono in luogo di intervénni e intervénnero), le irregolarità nei composti di fare (soddisfava in luogo di soddisfaceva) e, in alcuni participi passati (scuotuto in luogo di scosso, esigito in luogo di esatto, probabilmente perché quest’ultima forma viene avvertita come aggettivo autonomo con il significato di «giusto, preciso», anche per l’influsso del linguaggio televisivo: risposta esatta!; D’Achille 2003: 118).
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Tipiche della varietà diastratica bassa sono forme (che pure hanno, a volte, attestazioni letterarie) come vadi e vadino per vada e vadano, venghi e venghino per venga e vengano, dasse per desse, nonché, caratterizzate anche in diatopia, ponno e vonno per possono e vogliono, andiedi per andai (forma che dimostra come alcuni parlanti interpretino impropriamente il verbo andare come composto del verbo dare). Tendenze più significative si rilevano nella diversa distribuzione, nell’uso, dei modi e dei tempi verbali: il presente pro futuro; l’imperfetto indicativo con valore modale e non aspettuale; il presente indicativo con valore iussivo al posto dell’imperativo, ecc. (Berretta 1993: 209-222).
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Fonti Alighieri, Dante (1994), Commedia, con il commento di A.M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori, 1991-1997, 3 voll., vol 2º (Il Purgatorio). Manzoni, Alessandro (1957), Tutte le opere, a cura di A. Chiari & F. Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1953-1970, 6 voll., vol. 1º (Poesie e tragedie). Plauto, Tito Maccio (1968), Le Commedie, a cura di G. Augello, Torino, UTET, 3 voll., vol. 2º.
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Studi Berretta, Monica (1993), Morfologia, in Sobrero 1993, pp. 193-245. D’Achille, Paolo (2001), Breve grammatica storica dell’italiano, Roma, Carocci. D’Achille, Paolo (2003), L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino. Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, pp. 272-337. Rohlfs, Gerhard (1968), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti,Torino, Einaudi, 1966-1969, 3 voll., vol. 2° (Morfologia) (1a ed. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 2º, Formenlehre und Syntax). Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET. Simone, Raffaele (1993), Stabilità e instabilità nei caratteri originali dell’italiano, in Sobrero 1993, pp. 41-100. Sobrero, Alberto A. (a cura di) (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 1º (Le strutture). Vincent, Nigel (1988), Italian, in Harris, Martin & Vincent, Nigel, The Romance languages, London, Routledge, pp. 279-313. Tekavčić, Pavao (1972), Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2º (Morfosintassi).
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