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PubblicatoBianca Palmisano Modificato 8 anni fa
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Il mercato del lavoro in provincia di Parma andamento e prospettive bollettino n° 27 - giugno 2002 OML O SSERVATORIO SUL M ERCATO DEL L AVORO S ERVIZIO F ORMAZIONE P ROFESSIONALE- L AVORO A MMINISTRAZIONE P ROVINCIALE DI P ARMA
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2001: anche per Parma l’interruzione di un ciclo fra il 1999 e il 2000 gli occupati sono aumentati da 168.000 a 175.000 unità = 7.000 posti di lavoro in più fra il 2000 e il 2001 gli occupati sono diminuiti da 175.000 a 174.000 unità = 1.000 posti di lavoro in meno il 2001 segna l’interruzione di un periodo di crescita iniziato nel 1999
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Le variazioni più significative fra i microdati Istat 2000-2001 -1.490 unità occupati -1.406 unità maschi -3.000 unità nell’industria -4.476 unità dipendenti -5.366 unità con contratto a tempo indeterminato {
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Altri segnali di stallo nell’area dell’occupazione dipendente
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Un contesto nazionale e internazionale incerto la crescita prevista dal DPEF 2002 al 2,3% si ridurrà all’1,3% l’effetto «Euro forte»: 1 € = 1 $ il ciclo internazionale e l’11 settembre tendenze molto negative per la grande industria (la crisi Fiat) una ricerca spasmodica ed inedita dell’«effetto annuncio» sulla ripresa
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Un contesto locale ove, nonostante tutto, la disoccupazione è al minimo Parma u solo 5.611 disoccupati nel 2001 secondo l’Istat u tasso di disoccupazione al minimo storico = 3,4% u una disoccupazione che però diminuisce perché l’offerta di lavoro cala più velocemente della domanda di lavoro
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Il problema non sono 1.000 occupati in meno ma i limiti del «modello Parma» un livello occupazionale statico e molto condizionato dalla crisi demografica una riorganizzazione produttiva basata su un mix «fragile» d’immigrazione, lavoro temporaneo ed esternalizzazione produttiva la necessità di una continua crescita della produttività e i rischi di incubare fattori antagonisti a questa (segmentazione e scarso investimento in capitale umano)
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Non solo i giovani nel mercato del lavoro sono sempre di meno…
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… ma anche la partecipazione al mercato del lavoro è stagnante
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Vari fattori socio-demografici ancora deprimono la partecipazione femminile
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Come arrivare anche a Parma entro il 2010 al 70% di occupazione (Lisbona) +5.000 unità disoccupati +3.000 unità in cerca di lavoro non attivamente +5.000 unità disposti a lavorare solo a particolari condizioni = +13.000 occupati ( da 174.000 a 187.000 ) = +0,8% crescita annua dell’occupazione {
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Parma: una vasta riorganizzazione produttiva sul «filo del rasoio»... forte razionamento della manodopera industriale e ricorso all’immigrazione e alla mobilità Sud-Nord ricorso ciclico all’out-sourcing su vari livelli (cooperative di servizio, lavoro formalmente autonomo, ecc.) crescita dell’area del lavoro temporaneo e dosaggio scientifico del lavoro interinale
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Un disegno di riorganizzazione funzionale del lavoro dipendente… 109.000 core workers 9.000 contingency workers oltre 6.000 outsourced functions 37.000avviamenti a tempo determinato
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… che incamera una forte crescita del fenomeno «lavoro interinale»
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Un modello di flessibilità correlato al valore di mercato delle competenze…
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… in cui la flessibilità all’ingresso è la selezione dei lavoratori permanenti soglia di esclusione la flessibilità consente più entrate e più uscite
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Una struttura della disoccupazione molto diversa rispetto al passato…
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… e disoccupati con bisogni diversi dalla disoccupazione «da ingresso» giovani con titolo di studio «debole» o senza titolo di studio lavoratori marginali «intermittenti» donne adulte «in reingresso forzato» lavoratori permanenti adulti «espulsi»
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Ma l’eccesso di flessibilità prefigura un effetto boomerang per lo sviluppo il costante disincentivo alla stabilizzazione ha effetti negativi sull’accumulazione di capitale umano e sulla produttività le aziende che investono in formazione rischiano sempre di più di essere espropriate del loro investimento da altre aziende che attuano comportamenti opportunistici le famiglie pagano un conto salato alla flessibilità e comprimono i loro consumi
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Un’agenda «difficile» per le politiche del lavoro e dello sviluppo evitare che si instauri un circolo vizioso fra declino demografico e la perdita di «massa critica» della base produttiva locale evitare le degenerazioni deregolative della nuova flessibilità per lavoratori ed aziende ripensare all’intera popolazione come ad una risorsa su cui effettuare investimenti di formazione e per rafforzare il tessuto micro-sociale del mercato del lavoro
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