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PubblicatoSerafina Colucci Modificato 8 anni fa
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1 Effetto fotoelettrico e Compton
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2 Effetto fotoelettrico Scoperto nel 1887 da H. Hertz è il fenomeno per cui in opportune condizioni, la superficie di una sostanza, generalmente un metallo, esposta a radiazione e.m., assorbe la radiazione ed emette elettroni Nota: l’elettrone fu scoperto da J. J. Thomson nel 1897 Affacciando una seconda superficie alla prima e imponendo una ddp tra le due, è possibile raccogliere la corrente di elettroni e studiarne le proprietà 2
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3 Effetto fotoelettrico Se la ddp è positiva, gli elettroni vengono accelerati verso il secondo elettrodo Se questa ddp è abbastanza elevata, tutti gli elettroni vengono raccolti e ogni ulteriore aumento della ddp non porta ad alcun aumento della corrente Con una ddp negativa, è possibile rallentare gli elettroni, fino a annullare la corrente quando venga raggiunto il potenziale di blocco V b In tal modo, imponendo la conservazione dell’energia, è possibile risalire alla massima energia cinetica K max degli elettroni 3
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4 Caratteristiche sperimentali Per una data sostanza: 1)La radiazione deve avere una frequenza maggiore di una frequenza di soglia (corrispondente a luce visibile o ultravioletta) affinché il fenomeno si verifichi 2)L’intensità della corrente è proporzionale all’intensità della luce incidente 3)V b (ovvero l’energia cinetica massima degli elettroni) non dipende dall’intensità della radiazione 4)V b aumenta con la frequenza della radiazione 5)Il tempo intercorrente tra l’arrivo della radiazione e l’emissione di elettroni è molto piccolo e indipendente dall’intensità della luce 4
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5 Difficoltà della teoria e.m. classica Il fenomeno è importante perché esso non è spiegabile con la teoria ondulatoria della luce Il fatto che –l’energia cinetica degli elettroni non aumenti con l’intensità della luce –non ci sia addirittura emissione di elettroni per frequenze al di sotto di quella di soglia –l’energia cinetica degli elettroni aumenti con la frequenza della luce risultava inspiegabile dalla teoria di Maxwell Un altro fatto inspiegabile è che il ritardo di emissione degli elettroni è indipendente dall’intensità della luce 5
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7 La soluzione di Einstein (1905, Nobel 1921) Suppone che 1)l’energia della luce non sia distribuita con continuità nell’onda e.m., ma sia concentrata in ‘pacchetti discreti’ o quanti 2)l’energia di un quanto sia proporzionale alla frequenza della luce, secondo la costante di Planck 3)un elettrone del metallo assorba un quanto di luce, aumentando la propria energia a tal punto da poter sfuggire dalla superficie 4)questo possa avvenire se l’energia assorbita è maggiore del lavoro di estrazione W che deve compiere per superare l’attrazione del metallo 7
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8 La soluzione di Einstein (1905) Supponendo che l’energia si conservi, possiamo scrivere, ove W dipende dal metallo usato Questa formula spiega i seguenti fatti: –K max aumenta con la frequenza della radiazione (inoltre predice che l’aumento sia lineare) –K max non dipende dall’intensità della radiazione –l’esistenza di una frequenza di soglia: (l’elettrone può essere emesso solo se K è positiva) –l’intensità della corrente di elettroni emessi è proporzionale al numero di quanti assorbiti nell’unità di tempo e quindi all’intensità della radiazione luminosa –l’indipendenza dall’intensità della luce dell’intervallo di tempo tra irraggiamento e emissione: l’elettrone è emesso subito dopo aver assorbito il quanto 8
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11 Effetto Compton È la diffusione di raggi X da parte di elettroni (o atomi o altre particelle) in cui la lunghezza d’onda della luce diffusa (o la sua frequenza) è diversa da quella incidente Un fotone di lunghezza d’onda collide con un elettrone (considerato a riposo per semplicità) L’elettrone rincula ed un nuovo fotone ’ di lunghezza d’onda ’ emerge ad un angolo rispetto alla direzione di incidenza 11
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12 Effetto Compton La teoria e.m. classica non riesce a spiegare questo cambiamento di lunghezza d’onda L’effetto è quindi importante perché dimostra che la luce non può essere interpretata compiutamente da una teoria ondulatoria Per spiegare questo effetto la luce deve comportarsi come se fosse costituita di particelle (quanti) 12
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Effetto Compton 13 Arthur Holly Compton (Wooster, Ohio, 1892 † Berkeley, California,1962) Primo premio Nobel americano, per la fisica (1927).
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14 La soluzione di Compton Nel 1923 Compton spiegò il fenomeno – attribuendo ai fotoni quantità di moto – usando la fisica relativistica, in quanto le velocità acquisite dagli elettroni sono paragonabili a quella della luce – imponendo la conservazione dell’energia e della quantità di moto La formula trovata da Compton esprime la relazione tra il cambiamento di lunghezza d’onda e l’angolo di diffusione dei raggi X ove h è la costante di Planck e m e la massa dell’elettrone è detta lunghezza d’onda Compton dell’elettrone 14
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Derivazione della legge Con riferimento alla figura, diciamo p e P=0 le qdm del fotone e dell’elettrone prima dell’urto e p’, P’ quelle dopo l’urto Similmente siano , E=mc 2 le energie prima dell’urto e ’, E’ quelle dopo l’urto Imponiamo la conservazione della qdm longitudinale e trasversale Imponiamo la conservazione dell’energia 15 p P’ p’
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Derivazione della legge Avremo quindi Esplicitiamo le due componenti della qdm Isoliamo il termine dell’elettrone, eleviamo al quadrato e sommiamo membro a membro, otteniamo 16 p P’ p’
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Derivazione della legge Riscriviamo l’energia in termini di qdm Isoliamo la radice, eleviamo al quadrato Sostituiamo il valore della qdm dell’elettrone trovata in precedenza Troviamo ovvero 17 p P’ p’
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Derivazione della legge Se ora sostituiamo la relazione tra qdm e lunghezza d’onda del fotone Otteniamo la formula di Compton 18
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L’esperimento di Compton usava raggi X K del molibdeno, che hanno lunghezza d’onda di 0.0709 nm. Questi erano diffusi da un blocco di grafite e osservati a diversi angoli con uno spettrometro di Bragg Lo spettrometro consiste di una struttura rotante con un cristallo di calcite per diffrangere i raggi X e di una camera a ionizzazione per rivelare i raggi X Poiché la spaziatura dei piani cristallini nella calcite è nota, l’angolo di diffrazione dà una misura accurata della lunghezza d’onda
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La formula di Compton prevede che la lunghezza d’onda diffusa dipenda dall’angolo di diffusione e dalla massa del diffusore Per diffusione da elettroni fermi, in direzione 90°, la formula dà una lunghezza d’onda di 0.0731 nm, consistente con il picco di destra nella figura
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Il picco che sta vicino alla lunghezza d’onda originale è interpretato come diffusione dagli elettroni interni degli atomi di carbonio, che sono legati più strettamente al nucleo di carbonio Inserendo la massa di tutto l’atomo di carbonio nell’equazione di diffusione, otteniamo uno spostamento in lunghezza d’onda quasi 22000 volte minore che per un elettrone esterno, e di conseguenza la lunghezza d’onda di questi fotoni diffusi non è apprezzabilmente variata Ciò causa il rinculo di tutto l’atomo contro il fotone X, e la maggior massa efficace di diffusione riduce in proporzione lo spostamento in lunghezza d’onda dei fotoni diffusi
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22 La visione di de Broglie (Nobel 1929) “Quando concepii le prime idee base della meccanica ondulatoria nel 1923-24, fui guidato dal desiderio di una reale sintesi fisica, valida per tutte le particelle, della coesistenza degli aspetti ondulatori e corpuscolari che Einstein aveva introdotto per i fotoni nella sua teoria dei quanti di luce nel 1905” 22
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23 Onde di materia Il concetto di onde di materia, o onde di de Broglie riflette la dualità onda-particella della materia La teoria fu proposta da de Broglie nel 1924 e stabilisce che ad un oggetto materiale è associata una lunghezza d’onda, inversamente proporzionale alla quantità di moto dell’oggetto Inoltre alle onde di materia è associata una frequenza direttamente proporzionale all’energia dell’oggetto
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24 Diffrazione di elettroni Se gli elettroni hanno natura ondulatoria, è pensabile di eseguire un esperimento simile a quello utilizzato per indagare la struttura di un cristallo con i raggi X Si può applicare la condizione di Bragg per l’interferenza costruttiva
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25 Condizione di Bragg Ove d è la distanza tra i piani cristallografici, supposta nota da precedenti misure con i raggi X, la direzione in cui si ha un massimo d’intensità, n è l’ordine di diffrazione e è la lunghezza d’onda di de Broglie
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26 L’esperimento di Davisson e Germer Nel 1927 C. Davisson e L. Germer usarono elettroni lenti per studiare la struttura cristallina del nichel La dipendenza angolare degli elettroni riflessi risultò avere lo stesso andamento di quello predetto per la diffrazione di raggi X Per la prima volta era stato provato che particelle materiali (gli elettroni) mostravano diffrazione, e quindi che la materia aveva natura ondulatoria L’esperimento confermò l’ipotesi di de Broglie per gli elettroni Esperimenti successivi hanno mostrato che questa ipotesi è vera anche per atomi e molecole
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27 Diffrazione di elettroni
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