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PubblicatoPaola Ferrari Modificato 8 anni fa
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Comportamenti violenti in psichiatria: diagnosi e farmacoterapia. Prof. Dott. Vincenzo MANNA Medico Psicoterapeuta Specialista in Neurologia Specialista in Psichiatria Docente di Neurologia e Neuro Psicologia nel Corso di Laurea in Logopedia della Università degli Studi “ La Sapienza” di Roma Sede di Ariccia Dir. Resp. Centro di Salute Mentale - USL ROMA H - Genzano di Roma Tel 06.93273753 Cell. 333.3625218 e mail vi.manna@tiscali.it
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INTRODUZIONE I comportamenti violenti sono un tema di interesse centrale in psichiatria, per la loro costante rilevanza: 1. Clinica 2. Medico-legale 3. Sociale. Il primo aspetto rilevante riguarda l’analisi dei rapporti esistenti tra intensi vissuti emozionali (rabbia, ostilità, paura, etc.) e comportamenti violenti. I meccanismi di gestione e di controllo delle emozioni e le loro disfunzioni sono il principale focus di interesse di questo aspetto. Il secondo aspetto rilevante è quello dei confini tra “violenza normale” e “violenza patologica”. Lo psichiatra è spesso chiamato in sede giudiziale a rispondere al quesito se un atto violento può rientrare nella variabilità normale o è una conseguenza di un disturbo psichiatrico in atto che può aver compromesso la “capacità di intendere e volere”.
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INTRODUZIONE Il terzo aspetto rilevante è quello del possibile intervento terapeutico. Una terapia psichiatrica dei comportamenti violenti è giustificata, infatti, solo quando essi sono una manifestazione psicopatologica. Si pone in questi casi il problema delle modalità e delle condizioni per un intervento. Il quarto aspetto rilevante è rappresentato dal fatto che il comportamento violento, in presenza di necessità di cure e di rifiuto delle stesse, è una delle condizioni che possono comportare ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
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INTRODUZIONE Quando lo psichiatra chiamato a dare una risposta a questi problemi deve integrare a conciliare tre istanze fondamentali. L’istanza fenomenologica porta ad una spiegazione e ad una comprensione della sequenza di eventi intra ed extrapsichici che hanno spinto all’atto violento. L’istanza medica comporta la messa in atto di una terapia di fronte ad ogni disturbo inquadrato come psicopatologico. L’ istanza sociale, infine, richiede la protezione sia della comuntià sia dell’individuo che ha messo in atto comportamenti violenti. L’interagire di queste tre istanze nella valutazione dei comportamenti violenti da parte dello psichiatra rende particolarmente difficile ogni sua decisione operativa.
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INTRODUZIONE Specifiche linee guida sono state elaborate per semplificare questo compito. Queste linee sono guida sono centrate sui problemi del trattamento farmacologico, inteso come uno degli strumenti disponibili per il controllo dei comportamenti violenti. Vengono presi in considerazione, in particolare, i problemi relativi al trattamento di pazienti “a rischio di comportamenti violenti”. Non vengono trattati i problemi dell’agitazione- violenza in acuto che richiede l’utilizzo di mezzi con effetto sedativo rapido. Consensus conference. Comportamenti violenti in psichiatria. Diagnosi e farmacoterapia. Giornale italiano di psicopatologia. Suppl. Vol. 10 marzo 2004
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PRINCIPI GENERALI I comportamenti violenti di interesse psichiatrico sono una conseguenza di molti determinanti: familiarità, eventi traumatici in fase critica dello sviluppo, ambiente familiare, contesto socio-culturale, abuso/dipendenza da sostanze, presenza di patologie organiche cerebrali, presenza di disturbi psichiatrici. Ne consegue che ogni approccio diagnostico- terapeutico deve essere multimodale ed integrato. Vari fattori condizionano l’intervento terapeutico. Il fattore essenziale è l’inquadramento del comportamento violento come uno stato di interesse psicopatologico.
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PRINCIPI GENERALI Ogni intervento medico è, infatti, giustificato solo in presenza di una accertata diagnosi. Nel caso dei comportamenti violenti solo un limitato numero di casi può essere considerato di interesse psichiatrico ed essere quindi oggetto di terapia. Non è sempre agevole stabilire un confine tra normalità e patologia in quest’area comportamentale di confine ma può essere seguita la regola che i comportamenti violenti dipendenti da un disturbo psichiatrico sono, in genere, inscritti in una storia clinica e, spesso, già oggetto di un trattamento specialistico.
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PRINCIPI GENERALI Possibili rapporti causa/effetto esistenti tra Psico-Patologia (PP) e Comportamento Violento (CV) PP fattore causale determinante CV PP fattore concausale condizionante CV PP fattore interferente su CV PP fattore ininfluente su CV
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PRINCIPI GENERALI Condizione preliminare per ogni trattamento dei comportamenti violenti è il consenso informato del soggetto. Valgono, anche il questo caso, le condizioni generali per la validità del consenso informato, con le eccezioni previste dalla Legge (inabilitazione, interdizione, minore età, TSO). In particolare, un trattamento per comportamenti violenti in regime di TSO è subordinato a: 1. presenza di una “malattia mentale”, quindi, di una diagnosi psichiatrica; 2. necessità di un trattamento per tale malattia; 3. impossibilità ad effettuare tale trattamento se non in regime di ricovero. Ne consegue che non è lecito effettuare un TSO per comportamenti violenti se non nel caso che tali comportanti siano espressione di una “malattia mentale” non altrimenti curabile.
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PRINCIPI GENERALI Diversi fattori possono condizionare il piano terapeutico anche in presenza di un consenso informato valido o di una richiesta esplicita del soggetto: 1.il tipo e la gravità del disturbo mentale; 2.il livello di consapevolezza di malattia (insight); 3. l’aderenza al trattamento e la sua continuità (compliance); 4.il tipo la gravità e la frequenza degli atti di violenza. Il piano terapeutico, in fase esecutiva, va basato su interventi integrati farmacologici e non farmacologici. Gli interventi non farmacologici possono essere centrati sull’individuo (psicoterapia individuale), sulla relazione (psicoterapia familiare/relazionale), e sul contesto socio-lavorativo (interventi psico-sociali).
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PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA La violenza viene definita: in via primaria come la manifestazione di atti finalizzati a indurre un danno fisico ad un’altra persona; in via secondaria come comportamenti tesi a danneggiare o distruggere proprietà altrui. I comportamenti violenti sono un dato di osservazione costante in ogni contesto sociale ed in ogni periodo storico. Solo in alcuni casi possono essere inquadrati come espressione di una condizione di interesse psichiatrico.
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PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA I comportamenti violenti di interesse psicopatologico possono essere distinti, in una prospettiva di ricerca, di intervento clinico e di valutazione medico- legale in due categorie principali: 1. comportamenti violenti programmati; 2. comportamenti violenti impulsivi. I comportamenti violenti programmati sono la conseguenza di una pianificazione precedente l’atto. I comportamenti violenti impulsivi non sono preceduti da una pianificazione dell’atto e più frequentemente si associano ad una patologia psichiatrica.
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PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA Nelle nosografie attuali i comportamenti violenti non vengono considerati in genere quadri clinici sindromici indipendenti. La violenza impulsiva di conseguenza rappresenta un sintomo non un disturbo. Ciò ha importanti implicazioni sia sul piano diagnostico sia sul piano terapeutico. La principale implicazione riguarda la diagnosi differenziale tra comportamenti violenti che rientrano nella normalità e quelli che fanno parte del quadro sintomatologico di un disturbo psichiatrico che risponde a criteri diagnostici operativi. Teoricamente tutti i comportamenti violenti possono essere oggetto di studio e di valutazione psicopatologica. Nella prassi clinica e medico legale viene data rilevanza psicopatologica solo a quelli che rivestono il carattere di sintomo di un disturbo inquadrato nosograficamente. Ai fini operativi, può essere utile una distinzione tra comportamenti violenti definiti rispettivamente come dipendenti o non dipendenti da un disturbo psichiatrico riportato nei sistemi nosografici internazionali (DSM, ICD) oppure espressione di una condizione neuro-patologica cerebrale.
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PSICOPATOLOGIA DELLA VIOLENZA I comportamenti violenti possono essere riscontrati, con maggiore o minore frequenza, in molti disturbi psichiatrici, sia nell’età dello sviluppo sia nell’età adulta. Un’ulteriore questione aperta riguarda l’inquadramento dei comportamenti violenti nell’ambito dei disturbi di personalità. I comportamenti violenti in corso di disturbi psichiatrici sono relativamente poco frequenti ed hanno, in genere, un carattere “impulsivo”. Essi sono condizionati, inoltre, da determinanti multiple, non solo in rapporto alla condizione psicopatologica di base, ma anche in relazione a fattori ambientali e contestuali all’agito.
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LA DIMENSIONE PSICOPATOLOGICA DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI La sintomatologia di interesse psicopatologico può essere inquadrata e classificato con due diversi “principi organizzatori” generali. Il primo principio è alla base della nosografia categoriale espressa dai sistemi classificatori standardizzati (DSM, ICD). In questo contesto i comportamenti violenti sono visti come sintomi che possono fare la loro comparsa con varia frequenza nella gamma dei disturbi categoriali. Il secondo principio organizzatore è quello della classificazione-descrizione sulla base di alcune fondamentali “dimensioni psicopatologiche”. Le dimensioni psicopatologiche hanno un carattere “trans-nosografico” ed ogni singolo caso clinico può essere descritto sulla base del peso relativo delle varie dimensioni che lo caratterizzano.Ogni disturbo “categoriale” può essere descritto in termini dimensionali.
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LA DIMENSIONE PSICOPATOLOGICA DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI L’inquadramento della dimensione Aggressività - Violenza (A-V) ha una particolare importanza sia in ambito diagnostico-terapeutico sia in ambito medico-legale. Evidenze derivanti da modelli sperimentali su animali, evidenze cliniche e farmacologiche suggeriscono l’esistenza di una dimensione psicopatologica, nelle sue diverse varianti e manifestazioni, riconducibile alla definizione di “Aggressività - Violenza”. Questa dimensione coesiste con altre dimensioni psicopatologiche con un peso relativo variabile in funzione del tipo di disturbo e della variabilità interindividuale. Indagini su varie popolazioni psichiatriche hanno dimostrato che questa dimensione è presente con varia rilevanza in quasi tutte le categorie diagnostiche. Gli studi di correlazione hanno mostrato che tanto più rilevante è la componente dimensionale Aggressività - Violenza (A-V), tanto più sono evidenti a livello comportamentale gli atti corrispondenti. I comportamenti violenti usuali o frequenti si correlano ad una condizione psicopatologica in cui la dimensione A-V è particolarmente rilevante ed evidente.
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BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVO - VIOLENTI Sono noti da tempo i circuiti cerebrali e le aree che, nei mammiferi, vengono attivati nel corso dei comportamenti violenti. Le aree corticali, con funzioni prevalenti di coordinamento e di controllo sono la corteccia prefrontale, la corteccia orbito- frontale, la corteccia del giro cingolato anteriore e la corteccia dell’insula. Il principale organizzatore della risposta violenta è, però, rappresentato dall’amigdala che integra gli input sensoriali e percettivi, in stretta connessione con le strutture sottocorticali ed in particolare con la sostanza grigia peri-acqueduttale e l’ipotalamo.
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BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVO - VIOLENTI La psicobiologia dei comportamenti violenti nell’uomo, pur avendo queste basi anatomo-funzionali è ovviamente più complessa. In particolare, è di estremo interesse la conoscenza dei meccanismi patofisiologici sottesi ai comportamenti violenti di tipo impulsivo, che hanno maggiore interesse dal punto di vista psicopatologico e terapeutico. Gli studi effettuati sui comportamenti “programmati” non hanno mostrato, infatti, differenze rispetto ai soggetti sani di controllo.
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BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVO - VIOLENTI Le popolazioni studiate, in questo ambito di ricerca clinica, sono stati pazienti, con sintomatologia a prevalente espressione violenta, con diagnosi DSM di Asse I (disturbi psicotici e disturbi maniacali) o con diagnosi di Asse II (disturbo antisociale e borderline di personalità). Un altro gruppo valutato è stato quello di soggetti condannati per omicidio a seguito di comportamenti di tipo impulsivo. Alcuni dati, infine, sono stati ricavati da soggetti con comportamenti suicidari violenti.
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BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVO - VIOLENTI I risultati di queste ricerche possono così essere sintetizzati. 1. Ridotta attività 5HT encefalica globale, dimostrata dal dosaggio liquorale 5HIAA e dalle prove di stimolo con fenfluramina. E’ da ritenersi che ciò sia da porsi in rapporto principalmente ad una ipoattività dei recettori 5HT2 della corteccia prefrontale. Questi dati possono avere importanti implicazioni terapeutiche. 2. Ipoattività della corteccia prefrontale (CPF). La corteccia prefrontale ha il massimo sviluppo nella specie umana. Di conseguenza, è l’area di maggiore interesse per il controllo/discontrollo dei comportamenti violenti. 3. Iperattività delle strutture sottocorticali. Alcuni studi hanno messo in evidenza (con fRMN) come l’ipoattività inibitoria della CPF si accompagni ad un’iperattività funzionale dell’amigdala. Anche questo dato è di ausilio per la terapia farmacologica di pazianti a rischio di comportamenti violenti.
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BASI NEUROBIOLOGICHE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVO - VIOLENTI Gli studi morfologici, in alcuni casi, hanno mostrato una riduzione volumetrica della sostanza grigia della CPF. Gli studi funzionali (PET, fRMN) hanno concordemente dimostrato, nelle popolazioni a rischio, una ipoattività metabolica della CPF rispetto ai controlli, anche in assenza di alterazioni morfologiche. Anche questo dato può avere implicazioni terapeutiche. E’ da ritenersi, infatti, che l’attività metabolica della CPF possa essere un marker dell’efficacia di intervento di tipo psicosociale nei soggetti a rischio.
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I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI L’inquadramento diagnostico e le modalità del consenso sono presupposti per ogni trattamento. Ogni trattamento farmacologico dei comportamenti violenti va inquadrato in un piano terapeutico che prevede interventi integrati di tipo psico-sociale sia sull’individuo, sia sul contesto familiare ed ambientale. Se la decisione clinica prevede l’uso di farmaci il clinico deve affrontare alcuni problemi specifici. Il primo problema è quello del consenso. Un intervento farmacologico può essere accettato per la cura del disturbo psichiatrico di base ma può essere rifiutato per il controllo di comportamenti violenti nei confronti dei quali non vie è un sufficiente insight. Il secondo problema è quello dell’utilizzazione di farmaci specifici per il controllo dei comportamenti violenti. Non sempre la terapia per il disturbo psichiatrico di base permette un adeguato trattamento di questi comportamenti. Il terzo problema, unitamente a quello dei rischi/benefici, è dato da un’attenta valutazione dei rischi di una non trattamento.
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I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI Non esistono farmaci con indicazione specifica del trattamento della violenza. Ciò è dovuto al fatto che, almeno per quanto riguarda la psichiatria, le Agenzie Regolatorie ( FDA, EMEA ed altre) approvano per l’immissione in commercio solo farmaci sperimentati su pazienti con disturbi o malattie previste dalle nosografie ufficiali (DSM, ICD). La scelta del farmaco e le sue modalità di utilizzazione clinica devono tenere conto di ciò, alla luce delle conoscenze attuali della psicobiologia e della psicopatologia dei comportamenti violenti. Ogni decisione farmacoterapeutica dovrà inoltre basarsi sull’evidenza degli studi disponibili sull’efficacia specifica delle molecole a disposizioni sul mercato.
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I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI I comportamenti violenti sono oggi considerati sintomi e non entità nosografiche indipendenti. Di conseguenza non vi sono incentivi per le aziende per sintetizzare e/o sperimentare prodotti specifici per la violenza che non hanno possibilità di essere approvati al commercio con questa indicazione. Il trattamento farmacologico dei comportamenti violenti si basa di conseguenza sull’utilizzazione di molecole commercializzate con indicazioni per categorie nosografiche generali ma che hanno dimostrato in studi controllati post-marketing una specifica efficacia per la terapia dei comportamenti violenti.
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I FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEI COMPORTAMENTI VIOLENTI Gli studi controllati sono stati condotti su gruppi di soggetti considerati a rischio di comportamenti violenti sulla base della storia clinica a prescindere dal loro inquadramento nosografico. Alcuni degli studi più datati sono stati anche effettuati su popolazioni “non cliniche”, quali detenuti per omicidio con caratteri di impulsività. Nonostante alcune critiche metodologiche relative alla selezione dei gruppi sperimentali emergono dagli studi disponibili indicazioni abbastanza precise sull’efficacia antiviolenza di alcuni farmaci attualmente in commercio.
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ANTIPSICOTICI ATIPICI ( ANTAGONISTI 5HT2>D2) Gli antagonisti 5HT2>D2 sono farmaci per i quali esiste la maggiore documentazione per la loro relativa specificità nel trattamento dei comportamenti violenti. La Clozapina in 27 studi in aperto sui comportamenti violenti (di cui 14 nella schizofrenia, 3 nel disturbo borderline, gli altri nei disturbi in età evolutiva) ha evidenziato una specifica efficacia sulla violenza distante dall’efficacia antipsicotica. Risperidone (4 studi controllati), Olanzapina (2 studi controllati) e Quetiapina (solo studi in aperto) hanno confermato l’efficacia specifica di questo gruppo di molecole nel controllo specifico dei comportamenti violenti. L’efficacia trans-nosografica è stata dimostrata in gruppi di pazienti con varie diagnosi DSM. L’azione antiaggressiva appare indipendente sia dall’azione antipsicotica sia dall’azione sedativa aspecifica ed è probabilmente da attribuirsi al blocco 5HT2 in sede cortico-frontale. I dosaggi minimi efficaci per il controllo dei comportamenti violenti sono inferiori a quelli relativi all’azione antipsicotica.
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AGONISTI 5HT (SSRI) Il dato sperimentale di una ridotta attività 5HT associata al rischio di comportamenti violenti è alla base del razionale per il trattamento con SSRI. L’evidenza derivata da 5 studi controllati su gruppi di pazienti con comportamenti violenti è indicativa per una efficacia specifica di Sertralina, Citalopram e Paroxetina. L’efficacia è indipendente dall’azione ansiolitica ed antidepressiva di queste molecole ed ha carattere trans- nosografico.
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CARBONATO DI LITIO Sei studi controllati hanno valutato l’efficacia specifica dei Sali di Litio sui comportamenti violenti al di fuori della sua azione antimaniacale. Gli studi condotti su adulti con ritardo mentale e comportamenti aggressivi, su bambini con disturbi della condotta di tipo esplosivo-aggressivo e detenuti con comportamenti violenti hanno dimostrato l’efficacia del Litio nel controllo dei comportamenti violenti. Il trattamento con Sali di Litio a medio-lungo termine può essere considerato come caratterizzato da una dimostrata attività specifica antiaggressiva. Il tempo di latenza terapeutica relativamente elevato non lo rende indicato per trattamenti in acuto ed a breve termine.
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STABILIZZATORI DELL’UMORE Nella pratica clinica gli stabilizzatori (Valproato, Carbamazepina, etc.) sono spesso usati per il controllo sintomatico dei comportamenti violenti di tipo impulsivo. La loro azione indipendente dalla loro efficacia come antiepilettici e come stabilizzatori dell’umore non ha ancora ricevuto sufficienti conferme in studi controllati contro placebo. In studi in aperto la Carbamazepina ha evidenziato una certa efficacia antiaggressiva in add-on a trattamenti antipsicotici di base.
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ANTAGONISTI SELETTIVI D2 (NEUROLETTICI) Vari studi sia in aperto sia controllati hanno dimostrato la loro efficacia “antiaggressiva”, correlata tuttavia alla loro azione sedativa ed al loro effetto di rallentamento e/o inibizione motoria. In acuto la loro azione antiaggressiva va di conseguenza considerata come altamente aspecifica. Quando i comportamenti aggressivi e violenti sono secondari a vissuti psicotici possono avere un’azione “patogenetica” correlata all’azione antipsicotica. In questo caso va considerata una latenza terapeutica di alcune settimane. Nel trattamento a medio-lungo termine possono indurre un aumento paradosso dell’aggressività secondaria all’acatisia indotta da dosaggi troppo elevati. I bloccanti selettivi D2 possono essere considerati farmaci di pronto intervento sedativo aspecifico ma non sono consigliabili per il trattamento a lungo termine dei comportamenti violenti non dipendenti da disturbi psicotici.
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AGONISTI GABA (BENZODIAZEPINE) Hanno un’azione antiaggressiva aspecifica dipendente dal loro effetto sedativo. Utili come pronto intervento per via parenterale nelle condizioni di comportamenti aggressivi correlati a condizioni di “agitazione psicomotoria”, a dosaggi relativamente elevati. I tempi di latenza sono brevi ma l’azione sedativa-antiaggressiva aspecifica dipendente dal mantenimento di concentrazioni plasmatiche elevate e costanti. Nelle condizioni di rischio cronico di comportamenti violenti non hanno un’efficacia documentata.
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LA CONDOTTA TERAPEUTICA Nei soggetti a rischio di comportamenti violenti si raccomanda di seguire un algoritmo caratterizzato dai seguenti passi successivi: 1.inquadramento diagnostico del disturbo psico- patologico di base ( p. es. DSM Asse I, Asse II, Asse III); 2.valutazione anamnestica del rischio di comportamenti violenti; 3.valutazione di pregresso o attuale abuso di sostanze; 4.messa a punto di un progetto terapeutico integrato sulla base della diagnosi psichiatrica e del rischio di comportamenti violenti; 5.richiesta del consenso informato (con le eccezioni previste dalla Legge); 6.impostare la terapia farmacologica del disturbo psichiatrico di base, privilegiando i farmaci che, negli studi pubblicati, hanno dimostrato una maggiore specificità per il controllo dei comportamenti violenti;
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LA CONDOTTA TERAPEUTICA 7. valutare l’efficacia del trattamento dopo il periodo di latenza terapeutica previsto per i farmaci utilizzati e, in caso di inefficacia del trattamento sui comportamenti violenti, cambiare posologia del farmaco, tipo di farmaco utilizzato, oppure prevedere una terapia in “add on” utilizzando i farmaci specifici per il disturbo psichiatrico di base; 8.associare farmaci, a più specifico effetto antiaggressivo, alla terapia di base, qualora i farmaci specifici già prescritti ed assunti siano risultati inefficaci nel controllo dei comportamenti violenti; 9.prevedere un trattamento farmacologico per i comportamenti violenti a lungo termine, anche dopo remissione del disturbo psichiatrico di base; 10. integrare il trattamento farmacologico, per tipo di farmaco, durata e posologia agli altri interventi non farmacologici previsti.
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