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PubblicatoChiara Carli Modificato 8 anni fa
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Clemente Rebora La vita Nato nel 1885 a Milano, si laureò in lettere, dedicandosi poi all’insegnamento. Partecipa alla guerra in qualità di sottufficiale,ma per un trauma nervoso,viene congedato. L’esperienza in guerra gli procura idee e scrive delle poesie sparse. Clemente Rebora si avvicina sempre più alla chiesa e si converte poi alla fede cattolica,per questo avvenimento inizia a scrivere poesie religiose. A causa della sua malattia scrive “I canti dell’infermità”. Muore a Stresa il 1 novembre 1957.
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VIATICO O ferito laggiù nel valloncello, tanto invocasti se tre compagni interi cadder per te che quasi più non eri. Tra melma e sangue tronco senza gambe e il tuo lamento ancora, pietà di noi rimasti a rantolarci e non ha fine l’ora, affretta l’agonia, tu puoi finire, e nel conforto ti sia nella demenza che non sa impazzire, mentre sosta il momento il sonno sul cervello, lasciaci in silenzio grazie, fratello.
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Commento Si riferisce al primo conflitto mondiale e il suo tema è costituito dall’ orrore provocato dalla guerra. Il corpo di un soldato, ridotto “a un tronco senza gambe” che giace morente, e indica non solo l’ imminenza della morte ma anche la mutilazione e l’orrenda deformazione. Sottolinea il carattere disumano della guerra in cui ogni rapporto di fratellanza e solidarietà appare sconvolto e stravolto. Lo strazio e il tormento di cui è vittima il compagno caduto si traducono in una richiesta di pietà per i sopravvissuti,straziati a loro volta da un tormento indicibile a cui si mescolano sentimenti altruistici ed egoistici. L’orrore della sofferenza non risparmia nessuno rendendo uguali chi sta per morire e chi è costretto ad aggrapparsi alla speranza di una dolorosa sopravvivenza. Solo la morte può recare un momentaneo conforto e sollievo.
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Al compagno di trincea ridotto tronco senza gambe, agonizzante nel fondo di una valle, il poeta augura e chiede solo una cosa: «affretta l’agonia», ovvero di affrettare la sua morte in modo da non soffrire più. Nella crudeltà di queste parole c’è però la pietà per chi è votato ormai alla morte e per coloro che rimangono a rantolare condannati a vivere, a restare nell’ assurdità di eventi di cui quell’agonizzante è tragica testimonianza della trincea. Lasciaci in silenzio: questa è la preghiera che il poeta rivolge al ferito, che nell’ultimo verso è invocato come fratello. Per chi muore è finita, ma per chi ancora resta, quell’ esperienza di dolore rende ancora più disperato il vivere. Ispirati alla esperienza della guerra, alla quale Rebora partecipò combattendo sul Carso, questi versi hanno una forza drammatica, una disperazione e una scarnificazione dei mezzi espressivi, che ne fanno un esempio particolare nella produzione ispirata a quel tema.
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Commenti personali Come in tutte le poesie di guerra emerge un senso di dolore, pietà e rispetto per i compagni caduti Ad una prima lettura la poesia dimostra tutta la crudeltà della guerra, ma dopo un’ analisi si capisce anche la sofferenza terrena del ferito e quella spirituale dei sopravvissuti.
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