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Il mestiere più difficile
Essere genitori: Il mestiere più difficile
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Perché è un mestiere? Perché è un’attività a tempo pieno che richiede flessibilità e capacità di adattamento alle esigenze dei figli, in continua modificazione, man mano che crescono. Se all’inizio il genitore deve soddisfare in tutto e per tutto i bisogni del piccolo, via via che questo cresce, il genitore, pur mantenendo un saldo rapporto affettivo, deve saper abdicare alle funzioni genitoriali.
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Quando si diventa genitore?
Gli autori che hanno cercato di rispondere a questa domanda sono pochi, ma le loro idee non sono dissimili. Prendendo spunto in particolare da ZAVATTINI: «… essere genitore significa appartenere a una famiglia e questa funziona come un tutto…» ed è solo nell’interazione con un ambiente adeguato, secondo WINNICOTT sufficientemente buono, che si attivano i codici di comportamento innati che portano il bambino a svilupparsi in modo sano.
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I bambini sono tutti uguali?
NO, i bambini sono tutti diversi e ognuno nasce ed è aprioristicamente dotato della propria INDOLE; questa poi interagisce con l’ambiente e lo sviluppo cognitivo-etico/comportamentale- emotivo sarà il risultato finale di tutto ciò (es. culture che insegnano a rubare per sfamarsi)
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La funzione materna Per risultare adeguata richiede l’apporto di quella PATERNA e questo fin dal concepimento. Il futuro padre è fondamentale per contenere le ansie fisiologiche della madre e per aiutarla nella sopportazione dei bisogni del bambino.
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Quando le tensioni si fanno più difficili da sopportare?
In alcuni momenti particolari della crescita come: svezzamento, introduzione a scuola con inevitabile distacco dal nucleo famigliare, pubertà o i momenti critici come: nascita di un fratellino, malattia grave di uno dei genitori ( a volte anche nonni se figure di riferimento importanti per il bambino), lutto, cambio di residenza, conflitti genitoriali, separazione della coppia
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Compaiono i sintomi psicosomatici
Sono il risultato di meccanismi di difesa primitivi Segnali di disfunzionalità della diade madre-bambino Sono differenti nelle diverse fasi della vita In particolare fino ai 3 anni si manifestano sotto forma di disturbi del linguaggio, del sonno, dell’alimentazione. Dai 3 ai 6 anni sono prevalenti quelli del sistema gastroenterico associati all’enuresi, dopo i 6 anni rimangono i primi e compare la cefalea.
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Famiglia normativa e affettiva
Qual’ è la strada giusta?
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Ieri: la famiglia normativa
Era ed è basata sulla trasmissione dei valori dai genitori ai figli, senza che questi possano mettere in discussione i principi e gli stili di vita acquisiti dalla famiglia di origine. Il polo normativo prevale su quello affettivo e la cultura educativa è basta più sulla capacità di sostenere la frustrazione, che sulla soddisfazione dei bisogni, quindi per soddisfare questi ultimi i giovani rivolgevano i loro interessi all’esterno e tendevano procedimenti all’autonomia
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Oggi: la famiglia affettiva
E’ caratterizzata dalla volontà di aiutare e sostenere il figlio a diventare quello che interiormente desidera essere, per far questo i genitori si devono proiettare in una dimensione di ascolto attivo per iniziare un processo maieutico (=far nascere) sulla personalità del figlio. I genitori devono esercitare la leadership in modo paritario, ma questo implica confrontarsi continuamente e questo non è affatto facile
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NASCE UN NUOVO RUOLO PATERNO
La crisi del padre come depositario della autorità e del potere ha consentito l’emergere di un’inedita figura paterna: più amorevole e più pronto all’ascolto, che non disdegna di svolgere una funzione affettiva in passato di esclusivo appannaggio materno. Contemporaneamente la madre ha acquisito competenze in aree in passato di esclusivo presidio paterno, ma tutto questo ha come conseguenza una più faticosa assunzione di responsabilità di responsabilità di ruolo da parte dei figli che rischiano di prolungare indefinitamente il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
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NASCE UN NUOVO RUOLO MATERNO
La madre ha spostato parte dei suoi interessi all’esterno della famiglia pur condividendo con il partner un importante investimento sulla vita famigliare. È una madre attenta ,all’indipendenza, alla realizzazione, all’autonomia e alla ricerca di risultati sia per sé che per i figli. Ha assunto in parte la funzione di PONTE tra famiglia e società che in passato era esclusiva competenza maschile. Citando Goethe: « si diventa grandi soltanto quando siamo capaci di perdonare i nostri genitori»
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Che fare? Bisognerebbe tenere vitali i due modelli, non negare la differenza tra bambini e adulti. I bambini hanno bisogno della vita dei grandi. QUALITA’ DELLA FUNZIONE GENITORIALE IDEALE: AFFETTO e CONTROLLO Servono per promuovere l’autonomia e permettono di raggiungere la separazione: DARE REGOLE AI BAMBINI: significa far loro percepire l’adulto come un punto fermo, che fornirà una «scatola» entro cui stare e oltre alla quale non andare
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Le emozioni di cui il bambino si sente in balia sono contenute dal «NO» dell’adulto, il quale si guadagna così la sua fiducia. L’adulto deve essere fermo e convinto delle regole date al bambino, che devono essere motivate e giustificate: NO PERCHE’…, e così sarà un adulto che rappresenta stabilità, che lo aiuterà a trovare una bussola nella vita
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La difficoltà e le frustrazioni (nate da un «NO» e dalla negazione di un desiderio) aiutano i bambini a tirar fuori le loro risorse, le capacità che hanno nel loro KIT di base e che li aiutano una volta superata questa emozione è la situazione ad aumentare la loro AUTOSTIMA e la fiducia in sé stessi
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LA RABBIA è una cosa che dobbiamo aiutarli a sbollire, lasciandoli in un primo momento fare da soli, lasciamo loro fare il «CICLO COMPLETO DELLA RABBIA», poi riprendiamo con loro quanto successo: la mamma /il papà ti ha detto di NO… PERCHE’
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Non dobbiamo negare la difficoltà quotidiana nel far rispettare le regole perché i bambini/ragazzi sembrano volerci mettere alla prova come adulti e genitori . Queste prove vengono vissute come sfide, testardaggini, in realtà non sono altro che richieste di rassicurazione e contenimento rispetto alla loro esplosione di emozioni e di autonomia. Un’energia che deve essere contenuta da un abbraccio, da un NO, da una regola stabilita dalla coppia genitoriale e che sia coerente nel tempo. Il rimprovero per una regola non rispettata, se non compreso rimane senza senso e se il genitore insiste apparirà come un dittatore e un persecutore
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I CAPRICCI
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Gestire i capricci e le urla di un bambino è una delle cose più difficili dell’essere genitori. Spesso si perde la pazienza oppure ci si fa prendere dal panico e dall’ansia che il nostro bambino abbia qualcosa che non va. La pediatra e psicologa Gold in questi anni ha lavorato con moltissime famiglie e nel suo libro « I pensieri segreti dei bambini » non detta regole, piuttosto suggerisce un atteggiamento che mamma e papà devono adottare per stare vicino a un bambino
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Uno dei nostri bisogni fondamentali è essere compresi soprattutto da piccoli. Inoltre i bambini, fin da neonati, sono spugne: assorbono parole e atteggiamenti dei genitori. Se questi durante una situazione di crisi del bambino, si fanno sopraffare da rabbia, delusione e nervosismo, trasmetteranno al bambino insicurezza e provocheranno inevitabilmente comportamenti ancora più «problematici». La Gold dice che bisogna tenere il bambino nella mente cioè immedesimarsi e provare empatia da quando è neonato fino all’adolescenza.
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Davanti a un capriccio il genitore non deve mai perdere a calma, deve tenere presente che pianti e capricci fanno parte della normale fase evolutiva del bambino; poi pero deve contenere il piccolo: Se la rabbia è legittima, il comportamento capriccioso è invece sbagliato. È necessario che i genitori siano tranquilli e sereni altrimenti faranno molta fatica a calarsi nella mente del bambino. Una mamma insicura e non aiutata potrebbe avere difficoltà a gestire un neonato; è quindi importante trovare persone di aiuto o supporto che contengano e tranquillizzino il genitore. Una madre che si sente compresa e tranquillizzata riesce ad avere la lucidità necessaria per concentrare la sua attenzione sul figlio
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Per un neonato piangere è un modo per reagire agli stimoli del nuovo ambiente
Spesso i primi mesi di vita di un bambino si rivelano molto difficili. I piccoli piangono in continuazione e le mamme si sentono impotenti, nascono litigi con il partner , aumenta il senso di colpa… Spesso il pianto compare alla sera e di solito lo si attribuisce alle coliche o problemi fisici, ma spesso non è il motivo reale: il neonato piange a causa di un eccesso di stimoli visivi, tattili, uditivi che lo circondano e a cui lui non sa dare significato. La madre deve comprendere, tenere nella mente, e semplicemente contenere disagio del piccolo
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Tra 5 e 9 mesi è il momento di insegnare loro a dormire da soli
Un sano ritmo sonno/veglia di genitori e bambini è fondamentale per lo sviluppo emotivo. Al contrario la privazione del sonno può avere un impatto negativo sui sentimenti di empatia di un genitore verso il figlio. Il periodo in cui insegnare a dormire da soli è tra i 5 e 9 mesi. Se si abitua ad addormentarsi alla presenza di un adulto, poi sarà più difficile a stare da solo. Un bambino tenuto nella mente della mamma sviluppa un attaccamento sicuro che gli permette più facilmente di gestire la separazione e imparare a dormire autonomamente. I primi a dover essere tranquilli sono i genitori e devono capire che il piccolo è pronto a dormire da solo, e che è per il suo bene. Al momento della nanna, il piccolo sentirà che i genitori sono sicuri e risoluti
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Capricci verso l’anno e mezzo
Con i primi passi e le prime parole, il bambino il bambino inizia a essere consapevole che il suo sé è diverso da quello dei genitori, e cerca di manifestarlo in ogni occasione. Ma al tempo stesso si sente ancora piccolo e indifeso. È una fase delicata e per il piccolo è molto importante sentirsi compreso. A quest’età i capricci sono il modo in cui un piccolo cerca di esercitare il controllo della propria vita. Il compito del genitore è quello di disegnare a disciplinare le emozioni negative, non quello di evitargliele
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In età prescolare: è il momento di insegnargli a parlare e non urlare
In età prescolare il bambino ha sviluppato il linguaggio e quindi per insegnarli a tradurre le emozioni negative in parole. Davanti a un capriccio, la mamma con tono calmo ma risoluto può dire «Capisco che sei arrabbiato che voi una ciambella, però tra poco è ora di pranzo e non puoi averla». Se il bambino va avanti a urlare e a strillare la mamma gli sta vicino, lo tiene nella mente, così da non farsi travolgere dal nervosismo, e gli spiega che è normale sentirsi frustrati quando si vuole qualcosa, ma urlare e piangere non servirà a fargliela ottenere.
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Come fare se non vuole andare all’asilo
Davanti a un bambino che piange perchè non vuole andare alla scuola materna il genitore, non deve farsi sopraffare dai sensi di colpa e da altri sentimenti negativi ma deve capire la sua agitazione e nello stesso tempo rendersi conto che è importante per il bene del bambino andare alla materna e che è normale all’inizio piangere, questa separazione tuttavia non arrecherà nessun danno al piccolo. Spiegare con serenità che il suo dolore è comprensibile ma che la separazione dura poche ore e che a scuola troverà molti amici. Mostrarsi tranquilli e affidarsi con fiducia alle maestre
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Età scolare: momento di capire gli altri
Con l’ingresso della scuola primaria possono verificarsi problemi di socializzazione. Una mamma che vede il proprio figlio triste per le continue liti con i compagni non deve farsi prendere dal panico e dall’agitazione, ma deve tenere presente che i conflitti tra bambini sono normali a questa età. La mamma deve entrare in empatia e ascoltare il figlio, riconoscere il disagio, ma ridimensionarlo. È molto importante che la mamma sia tranquilla e allontani i suoi ricordi personali, magari negativi dei tempi della scuola. Deve dare il suo appoggio al figlio ma anche spiegargli il punto di vista degli altri
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