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PubblicatoAntonella Raimonda Sacco Modificato 7 anni fa
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ITALO CALVINO: Se una notte d’inverno un viaggiatore
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Panorama di Sanremo tra le due guerre
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nasce nel 1923 a Cuba Nel 1926 ritorna in Italia, vive a Sanremo in Liguria Ambedue i genitori sono dediti alle attività scientifiche ed alla ricerca, non sono religiosi, agnostici e anticonformisti - elementi fondamentali di formazione culturale di Calvino Durante la Seconda guerra mondiale Italo Calvino partecipa alla Resistenza combattendo sulle Alpi Marittime
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La madre di Calvino, prima donna in Italia a ricoprire una cattedra di botanica; sullo sfondo, Italo. “Il sapere dei miei genitori convergeva sul regno vegetale, le sue meraviglie e le sue virtù. Io attratto da un’altra vegetazione, quella delle frasi scritte, voltai le spalle a quanto essi m’avrebbero potuto insegnare”.(1980)
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Autoritratto a scuola, con dedica
Autoritratto a scuola, con dedica. Le prime prove creative di Calvino sono disegni, di tratto asciutto, inclini all’umorismo, alla caricatura.
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Autoritratto (Meriggio)
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Vignetta databile 1940
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Un autoritratto del 1942
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Mussolini a cavallo, disegno di Calvino
Mussolini a cavallo, disegno di Calvino. "I primi venti anni della mia vita li ho passati con l’immagine di Mussolini sempre davanti agli occhi, perché il suo ritratto era appeso in tutte le aule scolastiche come in tutti gli uffici e nei locali pubblici".
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Calvino partecipa alla Resistenza in una formazione di ispirazione comunista. Questa è la sua tessera partigiana.
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1. FASE – NEOREALISTA Il sentiero dei nidi di ragno del romanzo definito neorealista Si narrano le storie dei partigiani; il narratore è un ragazzo di strada per essere accettato nel mondo degli adulti diventa l’eroe rubando una pistola ad un soldato tedesco mentre egli s’intrattiene con sua sorella che fa la prostituta. Scoprirà ben presto il tradimento di un suo falso amico che, oltre a rubargli la pistola, distruggerà il sentiero dei nidi di ragno che era per lui una sorta di paradiso. Una visione lirico fantastica: "l'incantesimo ritrovato nella realtà da una intelligenza senza timori" che si scontra con la caduta di ogni illusione. In seguito scriverà Calvino di questa sua opera: «È un libro nato anonimamente dal clima generale di un'epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva dopo la fine della seconda guerra mondiale».
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Dopo la liberazione si trasferisce a Torino e aderisce al P. C. I
Dopo la liberazione si trasferisce a Torino e aderisce al P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e ne diviene attivista. Nella foto: Torino nell’immediato dopoguerra. “Torino è una città che invita al rigore, alla linearità. Allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre la via alla follia”.
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Dopo la liberazione si trasferisce a Torino e aderisce al P. C. I
Dopo la liberazione si trasferisce a Torino e aderisce al P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e ne diviene attivista. esprime la sua partecipazione con interventi di carattere politico e sociale, su quotidiani e periodici culturali, oltre che nelle sedi istituzionali del partito. S’iscrive alla Facoltà di lettere di Torino, accedendo direttamente al III anno, grazie alla legislazione postbellica in favore dei partigiani ed ex combattenti. Conosce Cesare Pavese che diverrà guida culturale ed umana, oltre che "primo lettore" delle sue opere. collabora con la casa editrice Einaudi: conosce Elio Vittorini, Natalia Ginzburg Norberto Bobbio e partecipa al dibattito culturale.
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Un libro sui campi di sterminio: recensione di Calvino a “Se questo è un uomo” di Primo Levi, pubblicata sul quotidiano del Partito Comunista Italiano “L’Unità” il 6 maggio 1948.
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Calvino davanti alla sede dell'Einaudi
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Cesare Pavese. “Credo che Pavese sia il più importante, complesso, denso scrittore italiano del nostro tempo. Qualsiasi problema ci si ponga, non si può non rifarsi a lui”.
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Elio Vittorini. “Siamo certamente in molti, nella mia generazione, a poter dire che la prima lettura di “Conversazione in Sicilia ”fu la voce che ci chiamò alla vita, cioè insieme all’espressione e alla responsabilità morale. Vittorini scriveva e lavorava per moltiplicare le possibilità di scrivere (e di vivere) negli altri”.
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Scrive interventi politico-sociali e di saggistica letteraria, su diverse riviste culturali, tra cui Officina, Cultura e realtà, Cinema Nuovo, Botteghe Oscure, Paragone, oltre che su Il Politecnico di Vittorini. Sulle riviste pubblica anche brevi racconti, fra cui La formica argentina e le prime novelle di Marcovaldo. Nel visita l’Unione Sovietica, scrive il romanzo I giovani del Po, Il visconte dimezzato. XX Congresso del PC - Calvino esprime il dissenso per certi aspetti che la politica sovietica va prendendo, soprattutto in ragione della libera espressione e circa l'importanza della forma democratica. Critica anche culturale dei dirigenti del PCI.
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L'idea di un nuovo PCI riformato e rifondato, che ispira Calvino, è dichiaratamente di matrice giolittiana. La disillusione è però incolmabile solo pochi mesi dopo il Congresso, quando l'armata rossa invade l'Ungheria. Nel 1957 abbandona il PC. Nasce in quegli anni il gruppo '63, corrente letteraria neoavanguardista, che Calvino segue con interesse pur senza condividerne l'impostazione di fondo. Sempre nel 1964, lo scrittore torna all’Avana per sposarsi con la sua compagna argentina-parigina Esther Judith Singer (detta "Chichita") In quella occasione egli fu chiamato a fare parte della giuria del Premio Casa Las Americas, e qui conobbe il comandante Ernesto Guevara, al quale poi dedicò due pagine dopo la sua morte in Bolivia Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia. Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini. Non condivide l'ideologia di fondo del sessantotto francese ma è particolarmente attratto ed affascinato dal valore utopico di certe rivendicazioni del movimento studentesco e sociale.
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Ultimo viene il corvo del '49 – ultimi racconti nei quali ritroviamo ancora il tema della guerra e della Resistenza. 50’- Calvino abbandona il richiamo diretto alla storia e inizia a riflettere sui problemi del nostro tempo attraverso lucide favole di "sapore illuministico": nasce la trilogia de Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959) che saranno raccolti poi nel volume I nostri Antenati. Il visconte dimezzato (1952) descrive l'uomo contemporaneo "dimidiato, mutilato, incompleto, nemico a se stesso" rappresentato dal visconte Medardo di Terralba e dagli altri personaggi che fanno da contorno alla narrazione. Le due metà di Medardo creano le due contrapposte immagini di disumanità: la metà così cattiva e infelice con quel senso di pietà e la metà buona così compunta con quel velo di sarcasmo: il vero tema narrativo era «una persona che si pone volontariamente una difficile regola e la segue fino alle ultime conseguenze perché senza di questa non sarebbe se stesso».
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Il barone rampante scritto tra il '56 e il '57 - nasce da un'immagine che gira e rigira per la mente dello scrittore: un ragazzo che sale su un albero e, di albero in albero, viaggia per giorni e giorni e non torna più giù, rifiutandosi di scendere a terra e passando sugli alberi tutta la vita. Un personaggio che rifiuta di camminare per terra come gli altri, continuamente dedito al bene del prossimo e che vuole partecipare ad ogni aspetto della vita attiva. La consapevolezza che per essere con gli altri veramente, la sola via era «d'essere separato dagli altri, imporre a sé e agli altri quella sua incomoda singolarità e solitudine in ogni momento della sua vita così come è vocazione del poeta, dell'esploratore, del rivoluzionario». L' "uomo completo", che ne Il visconte dimezzato non era ancora stato disegnato chiaramente, ora si identificava con l'uomo che realizza una sua pienezza sottomettendosi ad una disciplina volontaria.
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Disegno di Calvino per "Il barone rampante"
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Disegno di Pablo Picasso per la copertina de “Il barone rampante”
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L' "uomo completo", che ne Il visconte dimezzato non era ancora stato disegnato chiaramente, ora si identificava con l'uomo che realizza una sua pienezza sottomettendosi ad una disciplina volontaria. PROBLEMA PRINCIPALE: Il barone poteva essere considerato come un eccentrico che cercava di dare un significato universale alla sua eccentricità ed è per questo che Il barone rampante non esauriva il problema perché «il problema dell'uomo odierno non era più nella perdita d'una parte di se stessi ma della perdita totale, del non esserci per nulla.
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poteva incarnare colui che cerca le prove dell'essere.
59’ – Il cavaliere inesistente - L'uomo che non ha più rapporto con ciò che gli sta intorno, l'uomo inesistente che mano a mano si identificava con l'immagine di un'armatura che cammina e dentro è vuota – nel senso junghiniano – l’uomo senza il suo Essere/Sé, rappresentato solo tramite l’archetipo della “Persona”. Questa volta l'epoca storica è quella dei paladini di Carlo Magno e il cavaliere Agilulfo è il guerriero che non esiste, l'"inesistenza munita di volontà e coscienza", e lo scudiero Gurdulù il suo contrapposto "l'esistenza priva di coscienza" ma era necessaria una figura dove l'essere e il non essere lottassero all'interno della stessa persona ed il giovane paladino Rambaldo poteva incarnare colui che cerca le prove dell'essere. Nella prefazione Calvino scriverà: «Siete padroni d'interpretare come volete queste tre storie... Ho voluto farne una trilogia d'esperienze sul come realizzarsi esseri umani: nel Cavaliere inesistente la conquista dell'essere, nel Visconte dimezzato l'aspirazione ad una completezza al di là delle mutilazioni imposte dalla società, nel Barone rampante una via verso una completezza non individualistica da raggiungere attraverso la fedeltà ad un'autodeterminazione individuale: insomma tre gradi d'approccio alla libertà. Tre storie che dovevano "stare in piedi come storie" con le loro immagini, con il "gioco delle interrogazioni e delle risposte" suscitate nel lettore: una sorta di "albero genealogico degli antenati dell'uomo contemporaneo».
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Disegno di Pablo Picasso per la copertina de ”Il Cavaliere inesistente”
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I tre famosi racconti fanno sicuramente parte di una narrativa fantastico favolistica ma contengono riferimenti storici e significati morali: v'è dentro l'uomo contemporaneo: "diviso e irrecuperabile in un mondo di due verità" nel visconte dimezzato; "costretto a simulare l'evasione nella natura e nell'avventura" nel barone rampante; "ridotto a pura finzione esistenziale" nel cavaliere inesistente. Calvino come raccoglitore e riscrittore di fiabe italiane Per due anni Calvino lavorerà intensamente per raccogliere la tradizione fiabesca sparsa nelle regioni italiane, nel 1956 pubblica la raccolta intitolata Fiabe italiane. »Le fiabe sono una spiegazione generale della vita, nate in tempi remoti e serbate nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna». Dalla radice allegorico-favolosa passerà a racconti allegorico-satirico-realistici con una narrativa d'impegno sociale come in Una nuvola di smog e ne La speculazione edilizia del 1957 con la condanna della brama di denaro nell'uomo odierno e la distruzione della natura tema poi ripreso nel Marcovaldo con forme favolistiche. La giornata di uno scrutatore, 1963
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Nel 1965 si volge alla fantascienza con Le cosmicomiche dove si proietta nella preistoria nel tempo della formazione dell'Universo e inventa un misterioso fumettistico personaggio Qfwfq al quale è affidato il compito di registrare le impressioni su una realtà tanto diversa da quella attuale. Nei racconti di Ti con zero del 1967 si accentua ancora di più il linguaggio matematico scientifico e ritroviamo un mondo di segni nel quale non c'è posto per l'uomo: «...non c'è nessun futuro, non c'è niente che ci aspetta, siamo chiusi tra gli ingranaggi di una memoria che non prevede altro lavoro che ricordare se stesso.. Calvino torna all'uomo con Le città invisibili del 1972 dove Marco Polo riferisce al gran Kan Kublai sulle città dell'impero da lui visitate. Viste da uno straniero le città, che hanno tutte nomi di donne, acquistano agli occhi del gran Kan la parvenza di città inesistenti e scoprirà il motivo di tale sensazione: perché Marco Polo ne parla facendo costante riferimento alla sua Venezia, la città lontana e sempre amata. Quasi a voler tener vivo il suo ricordo immetterà in ogni resoconto un frammento che le ricorda Venezia. Il finale è suggestivo: «noi viviamo già nell'inferno ma anche in esso si possono trovare spazi di vita accettabile».
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L'idea del racconto parte da una immagine con i suoi significati che si affaccia all'orizzonte e appena assume una sua consistenza viene sviluppata in una storia. Nascono poi altre immagini che formano analogie ed allora si deve dare un senso compiuto alla storia. «Dal momento in cui comincio a mettere nero su bianco, è la parola scritta che assume sempre più importanza: prima come ricerca d'un equivalente dell'immagine visiva, poi come sviluppo coerente dell'impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco resta padrona del campo. Il racconto è per me unificazione d'una logica spontanea delle immagini e di un disegno condotto secondo un'intenzione razionale». Fin dagli inizi il suo lavoro di scrittore ha sempre teso ad inseguire il "fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo". Quella sua predisposizione e predilezione per l'avventura e la fiaba non erano altro che una ricerca d'una energia interiore, d'un movimento della mente.
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«La mente del poeta funziona secondo un procedimento d'associazioni d'immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell'impossibile. La fantasia è una specie di macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono ad un fine, o che semplicemente sono le più interessanti, piacevoli, divertenti». In una società bombardata dalle immagini qual è la sorte dell'immaginazione individuale? L'esperienza della formazione di Calvino è già quella d'un figlio di un'epoca intermedia che anticipa l'inflazione della civiltà delle immagini: «Il mio mondo immaginario è stato influenzato dalle figure del Corriere dei Piccoli degli anni Venti, allora il più diffuso settimanale italiano per bambini. Parlo di una parte della mia vita che va dai tre anni ai tredici, prima che la passione per il cinema diventasse per me una possessione assoluta che durò per tutta l'adolescenza. Anzi, credo che il periodo decisivo sia stato tra i tre e i sei anni, prima che io imparassi a leggere». «Passavo le ore percorrendo i cartoons d'ogni serie da un numero all'altro, mi raccontavo mentalmente le storie interpretando le scene in diversi modi, producevo delle varianti, fondevo i singoli episodi in una storia più ampia, scoprivo e isolavo e collegavo delle costanti in ogni serie, contaminavo una serie con l'altra, immaginavo nuove serie in cui i personaggi secondari diventavano protagonisti. L'occupazione favorita era fantasticare dentro le figure e nella loro successione: quest'abitudine è stata senza dubbio una scuola di fabulazione, di stilizzazione».
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La stessa operazione, compiuta molti anni dopo, di ricavare delle storie dalla successione delle misteriose figure dei tarocchi, interpretando la stessa figura ogni volta in maniera diversa, ha le sue radici in quel farneticare infantile sulle pagine piene di figure. Quella sorta di "iconologia fantastica" de Il Castello dei destini incrociati con quell'idea di adoperare i tarocchi come una "macchina narrativa combinatoria" era nata dopo che Calvino s'era posto a guardare i tarocchi con attenzione, con l'occhio di chi non sa cosa siano (come con le figure del Corriere), ed ecco che ne nascevano le identiche suggestioni, associazioni ed interpretazioni secondo appunto un'iconologia immaginaria. Aveva iniziato con i tarocchi di Marsiglia (non molto diversi dai tarocchi ancora in uso in gran parte d'Italia come carte da gioco): cercava di disporli per creare una serie di scene che avessero l'idea di un racconto. Quando le carte affiancate a caso offrivano una storia che poteva avere un senso era il momento di scriverla e tante ne scrisse.
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In Calvino la limpida istanza fantastica si è sempre collegata ad un profondo impegno letterario che si è modificato e focalizzato su varie tematiche: dai primi racconti sulla storia partigiana, alla trilogia fantastico favolistica degli antenati dell'uomo contemporaneo, ai racconti di impegno sociale, alla favola che diventa allegoria o apologo e più tardi si avvicinerà all'esplorazione fantascientifica delle cosmicomiche, al linguaggio matematico scientifico, al "realismo araldico" delle favole didascaliche del Castello dei destini incrociati collegandosi alle avanguardie letterarie. In Calvino "l'arte diviene conoscenza ed informazione", momento della ragione dialettica senza rinunciare alle istanze fantastiche: la fantasia come stimolante della ragione. La sua stessa disposizione naturale alla favola non offre spazi al moralismo ma assume una moralità globale ed universale con quella forza affabulante della vita nella sua molteplicità: "il gioco fantastico si stempera in una più ampia allegoria esistenziale". La peculiarità di Calvino è stata quindi la capacità di utilizzare molteplici tematiche e di usare una varietà di forme anche se tutte fanno riferimento ad una visione fantastica sempre accompagnata da una profonda cultura e da una chiarezza intellettuale.
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Calvino ha esplorato molte vie e compiuto diversi esperimenti letterari ma è stato sempre uno scrittore attento alle trasformazioni del nostro tempo, un intellettuale attivamente presente con scritti di carattere teorico nel fecondo dibattito culturale, un narratore capace di unire il fantastico ed una analisi razionale della realtà. Con il rigore intellettuale che lo contraddistingue cerca sempre di indagare la realtà sia nei suoi aspetti quotidiani e più semplici e sia nelle molteplici implicazioni a carattere universale. La sua opera con quella peculiare molteplicità di temi e di forme è lì a testimoniare il suo costante impegno conoscitivo e la sua costante ricerca di un «ordine mentale abbastanza solido per contenere il disordine». Ci si interroga con frequenza sulla sorte della letteratura e del libro nell'era tecnologica ed è interessante riportare l'opinione offerta dallo scrittore: «La mia fiducia nella letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici».
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MAL DI ROMANZO? J.Luis Borges, - secondo lui ù impossibile scrivere romanzi nel nostro tempo perchè non è piu possibile offrire una totale visione del mondo. Preferisce racconti brevi. Nel 1947 Calvino si autodiagnostica »il mal di romanzo«, vorrebbe »rappresentare dei caratteri pieni e adulti, vorrebbe far muovere delle vere figure di donna, vorrebbe esprimere in forma narrativa la realtà, la vita industriale, gli operai, la natura. Il problema sta tutto in quello vorrebbe, nella volontà ostinata di »scrivere il vero romanzo realistico rispecchiante i problemi della società italiana«. Romanzi neo-realistici di Calvino sono Il sentiero dei nidi di ragno, I giovani del Po, La collana della regina che non riesce a concludere, forse per l’intreccio troppo complesso, forse perche nel In piena guerra fredda non credeva più nel mondo bianco e nero, dove tutti gli operai sono spiritosi e bravamente, e tutti i padroni ridicoli e inflessibili. È Probabile che il dubbio fosse più generale e che riguardasse la possibilità stessa del romanzo: Calvino si stava rendendo conto che la sua vocazione era un’altra.
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Tutta la narrativa di Calvino si potrebbe perfino leggere come una ben organizzata e astuta strategia per sgomberare il campo del romanzo. Ma che cosa c’è che proprio non gli va nella nozione di romanzo? Romanzo si definisce generalmente come opera poetica d’invenzione in cui un autore attraverso le vicende esemplari di più personaggi, »dà intera una propria immagine dell’universo reale (e cioè dell’uomo, nella sua realtà). L’elemento che Calvino rifiuta è l’interezza, la totalità, al contrario cerca la discontinuità, la stilizzazione. La sua non è solo ostilità verso il realismo socialista, che sarebbe scontata, o insofferenza crescente per l’intervento della politica nell’estetica. Calvino è soprattutto convinto che realismo sia una nozione molto più ampia e paradossale di quella codificata, ai suoi occhi, realistico è Kafka, realistica è la fiaba. È convinto che che non si dà effetto di realtà senza trasfigurazione fantastica, senza visionarietà utopica, senza ribaltamento satirico, o grottesco, o tragico. »Il grande scrittore realista è uno che dopo aver accumulato minuziosi particolari e costruito un quadro di perfetta verità, ci batte sopra le nocche e mostra che sotto c’è il vuoto, che tutto quel che succede non significa niente«.
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In Le città invisibili libro Calvino lascia spazio ad ogni direzione, ad ogni possibile scomposizione e ricomposizione di questo catalogo di ipotetiche città che sembrano "emblemi": «Forse più che le parole è stata la suggestione degli emblemi ad attrarmi... ho sempre preferito gli emblemi che mettono insieme figure incongrue ed enigmatiche come rebus». Le città invisibili non è altro che un resoconto dei viaggi attraverso le città dell'impero dove ogni città ha un nome di donna: ecco allora prendere vita Diomira con le sue sessanta cupole d'argento, Dorotea con le quattro torri d'alluminio, Fedora metropoli di pietra grigia, Anastasia con i suoi canali concentrici, Eufemia la città commerciale, Olivia la città dei prodotti d di ogni genere e dei guadagni, Leonia la città dei rifiuti, Despina città di confine tra due deserti, Isaura con i suoi mille pozzi insediata sopra un profondo lago sotterraneo, e poi Zenobia che sorge su alte palafitte con case di bambù e zinco e Zobeide la città bianca con le vie che girano su se stesse come in un gomitolo, per finire con Armilla senza muri, nè soffitti, nè pavimenti ma solo tubature dell'acqua in verticale; infine le città con peculiari e misteriose caratteristiche come Zora che ha la proprietà di restare nella memoria, Zirma una città ridondante che si ripete in continuazione perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente del visitatore, Cloe dove nessuno si conosce nè si saluta e gli sguardi "sfuggono".
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Non v'è dubbio che la predilezione di Calvino è per le forme geometriche, per le simmetrie, per le serie, per la combinatoria, per le proporzioni numeriche. La stessa tensione tra "razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane" è quella dell'ambiente delle città. Nelle città invisibili Calvino ha potuto concentrare su un unico simbolo tutte le sue riflessioni, le sue esperienze, le sue congetture: ha costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni "plurime e ramificate". Nelle Città invisibili questa tendenza geometrizzante calviniana si risolve nella conoscenza del Kublai Kan delle città del suo impero che si riduce quasi alla combinatoria "dei pezzi di scacchi d'una scacchiera" e tutte le sue conquiste non sono altro che un emblema del nulla, la fissità suggestiva d'un catalogo d'emblemi. Ma ad osservare attentamente ogni tassello di legno che riproduce la scacchiera si possono leggere una quantità di cose indescrivibili: da qui lo sforzo delle parole per render conto, con la maggior precisione possibile, dell'aspetto sensibile delle cose perché «siamo sempre alla caccia di qualcosa di nascosto o di solo potenziale o ipotetico, di cui seguiamo le tracce che affiorano sulla superficie del suolo».
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Da un capitolo all'altro le notizie geografiche che un melanconico Kublai Kan riceve da un Marco Polo visionario, assumono un resoconto di viaggi attraverso città invisibili che non trovano posto in nessun atlante, non hanno dimensione storica, non hanno una mappatura cartografica, non si sa a quale passato o presente o futuro appartengano. Questo viaggio mentale si svolge all'interno del rapporto tra i luoghi e i loro abitanti, dentro i desideri e le angosce che ci portano a vivere le città e a "soffrirle". La virtù letteraria nasce da una severa disciplina della mente, temperata dall'ironia e dal fantastico, e da una consapevolezza della parzialità e provvisorietà di ogni metodo d'indagine e di conoscenza. La sua sensibilità estrema nei confronti di ogni sollecitazione della scienza e del mito, la sua predisposizione ad una visione lucida della contraddittoria esperienza umana, la sua idea di arte come conoscenza: ecco le colonne portanti del suo lavoro. Agli occhi di Calvino, tra i valori che nel lento declino della civiltà rischiano di disintegrarsi, v'è quello irrinunciabile che tutti li riassume: «Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d'opporre l'unica difesa che riesco a concepire: un'idea della letteratura».
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Così aveva scritto Calvino nell'ultima delle lezioni americane dedicata alla "Molteplicità" che avrebbe letto all'Università di Harvard se le tenebre non lo avessero avvolto in quell'ultima estate del 1985: «Chi siamo noi ? Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni? Ogni vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un inventario d'oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. Magari fosse possibile un'opera concepita al di fuori del self, un'opera che ci permettesse d'uscire dalla prospettiva limitata da un Io individuale... per far parlare ciò che non ha parola, l'uccello che si posa sulla grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica... Non era forse questo il punto d'arrivo cui tendeva Lucrezio nell'identificarsi con la natura comune a tutte le cose?» L’altro valore è il valore dell'esattezza che per Calvino vuol dire tre cose: un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato; l'evocazione d'immagini visuali nitide, incisive, memorabili un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell'immaginazione. «Preferisco scrivere perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico ad essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno ad eliminare le ragioni d'insoddisfazione di cui posso rendermi conto».
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Le opere metanarrative di I. Calvino
Il romanzo Le città invisibili (1972) è composto da nove capitoli, ognuno all'interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre riflessioni su sé stesso e sul funzionamento della narrativa in generale. L'opera più metanarrativa di Calvino, però, è sicuramente da considerarsi Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). In questo romanzo, più che altrove, Calvino mette a nudo i meccanismi della narrazione, avviando una riflessione sulla pratica della scrittura e sui rapporti tra scrittore e lettore. I dieci inizi di racconti da cui è composto il libro corrispondono ognuno ad un diverso tipo di narrazione. Mediante questo "esercizio di stile" Calvino esemplifica quali sono i modelli e gli stilemi del romanzo moderno (da quello della neoavanguardia a quello neo-realistico da quello esistenziale a quello fantastico surreale). Alla base del racconto c'è dichiaratamente lo schema a incastro delle Mille e una notte, all'interno del quale Calvino colloca i suggerimenti e le sollecitazioni provenienti dal romanzo contemporaneo
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In letteratura con il termine iperromanzo (composto dal prefisso iper - superamento di un limite stabilito, quantità superiore al normale - e da romanzo- testo di narrativa in prosa di ampie dimensioni) si intende riferirsi ad un "romanzo con caratteristiche superiori alla norma, oltre i normali romanzi". Il termine "iper romanzo" è stato utilizzato per la prima volta in italiano da Italo Calvino all'interno del ciclo di conferenze che avrebbe dovuto tenere presso l'Università di Harvard nel 1985 poi pubblicate postume nelle Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Il significato che Calvino dava al termine iperromanzo era di luogo "d'infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili"; dove può valere "un'idea di tempo puntuale, quasi un assoluto presente soggettivo"; dove le sue parti "sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata"; che funziona come "macchina per moltiplicare le narrazioni"; "costruito da molte storie che si intersecano". All'interno delle proprie conferenze , quali esempi di romanzi o racconti che realizzano queste idee, Calvino cita: Il giardino dei sentieri che si biforcano, racconto di J.LBorges i propri Se una notte d'inverno un viaggiatore Il castello dei destini incrociati e La vita,istruzioni per l'uso di Georges Perec.
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LA STRUTTURA Il romanzo ha la struttura di un metaromanzo, dove all'interno della storia principale si inseriscono altre storie, pressoché slegate dal contesto generale. I capitoli dispari portano avanti la trama del romanzo, che funge in realtà da filo conduttore e da "pretesto" per raccontare storie diverse, i cui incipit sono nei capitoli pari. Il romanzo è composto complessivamente da 22 capitoli, 12 numerati e 10 con un titolo, corrispondente ai "romanzi" inseriti nel libro. PERSONAGGI: Il Lettore: è il protagonista del libro, che inizia i dieci romanzi senza riuscire a terminarli. Ludmilla: è la Lettrice, che accompagna il Lettore nell’avventura della lettura. Ermes Marana: è l’antagonista della vicenda; è un traduttore-falsificatore che vuole dimostrare (nella sua vicenda personale, a Ludmilla) dell’inutilità dell’autore e del titolo nei romanzi, creando una fitta rete di falsi attraverso un’organizzazione segreta. Silas Flannery: è un autore di libri in crisi che (si legge nel suo diario) guarda dalla finestra una ragazza (presumibilmente Ludmilla) che legge; Flannery è indirettamente coinvolto nella truffa nata dall’organizzazione di Marana: infatti in Giappone ci sono molti “falsi Flannery”. Lotaria: sorella di Ludmilla, legge i romanzi in modo totalmente differente dalla sorella, infatti usa un elaboratore che calcola il numero di volte che una parola è utilizzata, e lo utilizza “sia pure per leggere un libro di Silas Flannery!”.
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Il romanzo è scritto in seconda persona singolare, ponendo quindi il Lettore (come è chiamato nel libro) al centro della narrazione. Nella prima parte del primo capitolo il Lettore compra il libro di Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore" e si accinge a leggerlo, nella seconda parte è narrato l'inizio del libro di Calvino, qui il narratore diventa il protagonista del romanzo e passa alla prima persona. In questo modo si genera un assurdo: il libro di Calvino, che noi stiamo leggendo, è in realtà molto diverso da libro di Calvino che sta leggendo il Lettore, abbiamo detto però che siamo stati trascinati dall'autore ad immedesimarci nel Lettore. L'assurdo quindi è doppio: sia perché noi sappiamo bene che il libro di Calvino vero, quello che abbiamo in mano, inizia parlando di un Lettore, e non del Viaggiatore del titolo, e poi perché il libro di Calvino falso, nella seconda metà del primo capitolo, non è riportato in modo testuale, con le sue proprie parole, ma è invece raccontato all'interno del libro di Calvino vero. Il primo capitolo termina dopo alcune pagine in cui sono riportate le vicende del Viaggiatore, personaggio che in qualche modo si confonde con quello del Lettore.
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Il secondo capitolo comincia di nuovo in seconda persona narrando di come il Lettore, terminata la lettura delle prime pagine del libro di Calvino, s'accorge che le pagine successive sono una ripetizione delle prime, e così per tutto il libro che ha in mano. Oramai il Lettore si è appassionato alla lettura e desidera continuarla, si reca quindi nella libreria per chiedere la sostituzione del libro fallato. Qui conosce Ludmilla, la Lettrice, che reclama anch'essa la sostituzione del libro di Calvino e che lo accompagnerà per il resto del libro. In libreria inizia la confusione tra i libri, infatti il libraio dice che per un errore in tipografia il contenuto del libro di Calvino è stato sostituito con un altro, quindi ciò che il Lettore ha letto era qualcosa di diverso, fornisce allora una nuova copia corretta del libro che stavano leggendo al Lettore e alla Lettrice. La seconda metà del secondo capitolo racconta il nuovo libro in possesso del Lettore, libro completamente differente da quello del primo capitolo e che si interrompe anch'esso dopo poche pagine.
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I successivi capitoli, fino al decimo, sono costruiti sulla falsariga dei primi due: una prima parte in cui sono narrate le inutili peripezie del Lettore per concludere almeno uno dei libri iniziati, ogni volta ricevendo un nuovo libro che dovrebbe essere la continuazione e il termine del precedente, ma che poi si rivelerà invariabilmente un nuovo libro; e una seconda parte in cui viene narrata la storia contenuta di volta in volta nel libro in possesso del Lettore. L'undicesimo capitolo tratta, sotto forma di interventi di alcuni lettori di una biblioteca dove il lettore è andato a cercare il libri precedentemente letti e interrotti, dei vari modi di leggere e della possibilità che le storie non abbiano né principio né fine. Il dodicesimo capitolo, infine, in modo fintamente rassicurante chiude sul Lettore e la Lettrice, oramai sposati, nel momento in cui il Lettore termina la lettura del romanzo "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Calvino, romanzo in cui hanno vissuto, insieme al lettore del mondo reale, delle avventure non facilmente inseribili nel flusso normale del tempo.
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Attraverso il classico procedimento di mise en abyme (“messa a nudo”, l'artificio attraverso il quale il soggetto dell'opera viene trasferito a livello dei personaggi), la teoria del romanzo si rende visibile e trasparente, proprio nei progetti e nelle idee espresse dai due personaggi complementari: Silas Flannery (alter ego di Calvino) e Ermes Marana (responsabile di tutte le sostituzioni, traduzioni, falsificazioni dei testi, che costituiscono i romanzi «inscatolati» nella cornice). Il principio strutturale è sconfiggere l'autore tradizionale, quel «fantasma dai mille volti e senza volto», che dietro ogni libro «garantisce una verità a quel mondo di fantasmi e d'invenzioni» che fanno la letteratura e la rendono più vera del vero. In questo «romanzo della teoria del romanzo», il Lettore che tradizionalmente ama le storie compiute, e che solitamente occupa la posizione terminale nella catena comunicativa, viene a trovarsi a immediato contatto con un anonimo ed impersonale Narratore, che lo chiama a farsi protagonista di una avventurosa lettura continuamente interrotta.
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l'intertestualità, la potenzialità riposta in ogni singolo testo di entrare in relazione con altri testi, non solo è implicitamente praticata da Calvino, il cui romanzo sembra richiamare molti altri libri, in particolar modo di Borges. Ma è anche, realizzata e concretizzata, nella finzione narrativa, seppur involontariamente, dal Lettore protagonista. Questi, infatti, nella speranza di giungere alla storia completa, ogni volta rimane impigliato in frammenti di storie che continuano a rinviare l'uno all'altro, in una specie di labirinto. Insomma l'odissea del Lettore protagonista appare caratterizzarsi come un avventuroso contatto con la narrativa moderna più all'avanguardia. Tuttavia, l'ironia di Calvino non annienta totalmente il modo tradizionale di raccontare, bensì nella cornice, accorda al lettore reale il piacere, negato al Lettore con la L maiuscola, di una storia narrata fino in fondo. E nel modo più convenzionale lascia che, l'eroe, il Lettore, sposi l'eroina, la Lettrice. In realtà, Calvino non ritorna al racconto romanzesco: la storia che il lettore finisce di leggere nel letto matrimoniale è la sua storia, di lui che legge di come sta leggendo, ovvero: la storia del lettore che è letto.
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