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Coloniale e postcoloniale tra teoria e storia
Introduzione al corso Coloniale e postcoloniale tra teoria e storia
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Paradigmi di lettura 1. Orientalismo 2. Meraviglia e possesso
3. Pelle nera, maschere bianche
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1. Orientalismo (E. Said) Opposizione binaria come costruzione culturale Costruzione stereotipata dell’alterita’ Fondata su gerarchie di potere
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Bluegate Fields
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Dudley St.
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1492
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J. Vanderlyn, Landing of Columbus, 1846-1847
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2. Meraviglia e possesso (S. Greenblatt)
Meraviglia come riduzione dell’alterità a fatto naturale e tabula rasa Presa di possesso come atto trasparente e senza necessità di mediazione
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Ghirlandaio, Ritratto di Cristoforo Colombo, 1520 ca.
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Hernan Cortes, incisione anonima XIX sec.
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Codex Mendoza, 1540
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J. K. D. Van Beecq (illustrazione tratta da Histoire de la conquête du Mexique ou de la Nouvelle Espagne )
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1492 1493 Bolla intercaetera, 1494 trattato di Tordesillas 1498: Vasco da Gama in India 1500: Cabral in Brasile Portoghesi in Oriente : Cortes in Messico (Aztechi) : Pizzarro in Perù (Incas) : Bartolomé de las Casas
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https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_colonialism#/media /File:Colonisation2.gif
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Egemonia iberica Chiesa cattolica
Ma dal Nordeuropa (altre potenze che aspirano al controllo delle colonie: Francia, Inghilterra, Olanda) Pirateria Emigrazione (13 colonie Nordamerica - poi USA 1776) Schiavismo Compagnie commerciali (East India Company, 1600)
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1858: occupazione inglese in India
Imperialismo Africa Asia
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1909
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Guerra d’Algeria Frantz Fanon ( ) Nato in Martinica Studi di medicina in Francia Lavora come psichiatra in Algeria Espulso dalla Francia si rifugia in Tunisia
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3. Pelle nera, maschere bianche (F. Fanon)
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Les Damnés de la Terre, 1961 (pref. Sartre)
Il mondo colonizzato è un mondo scisso in due. Lo spartiacque, il confine è indicato dalle caserme e dai commissariati di polizia. In colonia l'interlocutore valido e istituzionale del colonizzato, il portavoce del colono e del regime di oppressione è il gendarme o il soldato. Nelle società di tipo capitalistico, l'insegnamento, religioso o laico, la formazione di riflessi morali trasmissibili di padre in figlio, l'onestà esemplare di operai decorati dopo cinquant'anni di fedele servizio, l'amore incoraggiato dell'armonia e della saggezza, forme estetiche del rispetto dell'ordine costituito, creano intorno allo sfruttato un'atmosfera di sottomissione e di inibizione che allevia notevolmente il compito delle forze dell'ordine. Nei paesi capitalisti, tra lo sfruttato e il potere si frappone una caterva di professori di morale, di consiglieri, di «disorientatori». Nelle regioni coloniali, invece, il gendarme e il soldato, colla loro presenza immediata, i loro interventi diretti e frequenti, mantengono il contatto col colonizzato e gli consigliano, a colpi di sfollagente o di napalm, di non muoversi. Come si vede, l'intermediario del potere usa un linguaggio di pura violenza. L'intermediario non allevia l'oppressione, non cela il predominio. Li espone, li manifesta con la buona coscienza delle forze dell'ordine. L'intermediario porta la violenza nelle case e nei cervelli del colonizzato.
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La città del colonizzato, o almeno la città indigena, il quartiere negro, la medina, la riserva, è un luogo malfamato, popolato di uomini malfamati. Vi si nasce in qualunque posto, in qualunque modo. Vi si muore in qualunque posto, di qualunque cosa. E' un mondo senza interstizi, gli uomini ci stanno ammonticchiati, le capanne ammonticchiate. La città del colonizzato è una città affamata, affamata di pane, di carne, di scarpe, di carbone, di luce. La città del colonizzato è una città accovacciata, una città in ginocchio, una città a testa in giù. E' una città di sporchi negri, di luridi arabi. Lo sguardo che il colonizzato getta sulla città del colono è uno sguardo di lussuria, uno sguardo di bramosia. Sogni di possesso. Tutte le forme di possesso: sedersi alla tavola del colono, dormire nel letto del colono, possibilmente assieme a sua moglie. Il colonizzato è un invidioso, il colono non lo ignora quando, cogliendone lo sguardo alla deriva, constata amaramente ma sempre all'erta: «Vogliono prendere il nostro posto». E' vero, non c'è colonizzato che non sogni almeno una volta al giorno di impiantarsi al posto del colono .
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3. Pelle nera, maschere bianche (F. Fanon)
Per noi il fenomeno del linguaggio ha un'importanza fondamentale e perciò consideriamo assolutamente necessario questo studio che deve poterci fornire uno degli elementi di comprensione della dimensione per l'altro dell'uomo di colore. Poiché è chiaro che per l'uomo parlare significa esistere, in assoluto, per l'altro. [...] Parlare significa essere in grado di usare una determinata sintassi, possedere la morfologia di questa o quella lingua, ma significa soprattutto assumere una cultura, sopportare il peso di una civiltà.
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II problema che esaminerò in questo capitolo è il seguente: il Nero delle Antille sarà tanto piu bianco, cioè si avvicinerà tanto più al vero uomo, quanto più avrà fatto sua la lingua francese. Non ignoriamo che è appunto questo uno degli atteggiamenti dell'uomo di fronte all'Essere. Un uomo che possiede il linguaggio possiede per immediata conseguenza il mondo espresso e implicato da questo linguaggio. [...]Ora vorrei dimostrare perché il Nero delle Antille, chiunque esso sia, deve sempre porsi di fronte al linguaggio. Di più amplierò il settore della mia descrizione e, attraverso il Nero delle Antille, cercherò di analizzare ogni uomo colonizzato.
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Ogni popolo colonizzato, cioè ogni popolo in cui si sia instaurato un complesso di inferiorità a causa dell'avvenuta distruzione dell'originalità culturale locale, è posto di fronte al linguaggio della nazione civilizzatrice, cioè della cultura metropolitana. Il colonizzato si allontanerà tanto maggiormente dalla «foresta» che gli è propria, quanto più avrà fatto suoi i valori culturali della metropoli. Sarà tanto più bianco quanto più avrà rigettato la sua nerezza, la sua «foresta». Nell'esercito coloniale, e specialmente nei reggimenti dei fucilieri senegalesi, gli ufficiali indigeni sono innanzitutto degli interpreti: trasmettono ai loro confratelli gli ordini del capo e di conseguenza godono anch'essi di una certa onorabilità. [...] In un gruppo di giovani delle Antille, colui che si esprime bene, che possiede la padronanza della lingua, è enormemente temuto; bisogna fare attenzione a costui, è un quasi- Bianco. In Francia si dice: «parlare come un libro stampato». In Martinica:«parlare come un Bianco».
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Lo si può chiedere a tutti i medici d'ambulatorio
Lo si può chiedere a tutti i medici d'ambulatorio. Passano venti ammalati europei: «S'accomodi prego, che cosa si sente? ». È la volta di un negro o di un arabo: «Siediti, amico. Cos'hai? Dove senti male?». Quando non addirittura: «Tu cosa non andare?». Parlare francese storpiato con un negro significa metterlo a disagio, perché egli si sente «quello che parla francese storpiato». Ma, mi si dirà, non c'è intenzione, non c'è volontà di mettere a disagio. Lo ammetto, ma è proprio questo «non voler espressamente», questa noncuranza, questa disinvoltura con cui si guarda, con cui si imprigiona, si primitivizza l'uomo di colore, che è vessatoria in se stessa. Se chi si rivolge in francese storpiato a un uomo di colore o a un arabo non riconosce nel suo atteggiamento un errore, un vizio, è perché non ha mai riflettuto bene. […]
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Parlare una lingua vuol dire assumere un mondo, una cultura
Parlare una lingua vuol dire assumere un mondo, una cultura. L'antillano che vuol essere bianco lo sarà tanto più quanto maggiormente avrà fatto suo quello strumento culturale che è il linguaggio. Ricordo (è poco più di un anno) a Lione, dopo una conferenza in cui avevo tracciato un parallelo fra la poesia nera e la poesia europea, quel compagno metropolitano che mi diceva calorosamente: «In fondo, tu sei un Bianco». Il fatto che io avessi studiato attraverso la lingua del Bianco un problema così interessante, mi dava diritto alla cittadinanza.
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