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L’ARBITRATO E LA CONCILIAZIONE

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Presentazione sul tema: "L’ARBITRATO E LA CONCILIAZIONE"— Transcript della presentazione:

1 L’ARBITRATO E LA CONCILIAZIONE
DAFNE 2017 Prof.Bruno Cirica

2 Cos'è l'arbitrato ? E’ un metodo alternativo di risoluzione delle controversie Attraverso l'arbitrato le parti affidano l'incarico di decidere sulla controversia ad uno o più soggetti, detti arbitri, che decidono secondo le regole stabilite dalle parti e producono una loro decisione, chiamata lodo arbitrale. L'istituto dell'arbitrato è previsto dal codice di procedura civile (libro IV, titolo VIII, artt ) e si attiva per regolamentazione delle parti. Questa può essere effettuata prima che insorga la lite, attraverso l'inserimento nel contratto di una clausola compromissoria, o a lite sorta con la stipula di un compromesso arbitrale. L'arbitratosi distingue in: _ arbitrato rituale: quando gli arbitri seguono le norme del codice di procedura civile emettendo un lodo che, a seguito dell'omologazione da parte del tribunale, diventa titolo esecutivo; _ arbitrato irrituale: quando gli arbitri decidono secondo regole proprie ed il lodo ha valore negoziale tra le parti.

3 L'Arbitro L'Arbitro è un soggetto terzo cui le parti sottopongono una controversia con il potere di trovare una soluzione. La sua decisione, denominata lodo, può produrre gli stessi effetti di una sentenza (arbitrato rituale) oppure gli effetti di un contratto tra le parti (arbitrato irrituale).

4 L'arbitrato è l'istituto, alternativo al giudizio ordinario, con il quale le Parti intendono risolvere la controversia tra di loro insorta deferendo il potere di decisione ad un soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale). Esso è disciplinato dal c.p.c.Titolo VIII- Dell’Arbitrato, Capo I, Della convenzione d'arbitrato, come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 recante "Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80". L'arbitrato trae origine dalla convenzione di arbitrato che è rappresentata dal compromesso (articolo 807 del Codice di procedura civile), con il quale si deferisce la controversia già insorta oppure dalla clausola compromissoria (articolo 808 del Codice di procedura civile), inserita nel contratto o in un atto successivo, con la quale le Parti si impegnano a deferire a terzi le possibili controversie in ordine all'esecuzione o interpretazione del contratto.

5 Arbitrato rituale L'arbitrato rituale si svolge come un vero e proprio giudizio, secondo le norme del Codice di procedura civile, in particolare del  Capo III - Del Procedimento. Esso si conclude con la pronuncia della sentenza (lodo arbitrale), redatto in forma scritta, deliberato a maggioranza di voti con la partecipazione di tutti gli arbitri. Il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria. La parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo insieme con l'atto contenente la convenzione di arbitrato nella cancelleria del Tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Il Tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione o annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto. Il lodo è soggetto all'impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzi 

6 Arbitrato irrituale L'arbitrato irrituale (articolo 808-ter del Codice di procedura civile) nasce dalla volontà delle Parti, espressa con disposizione scritta, di deferire al soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale) la risoluzione della controversia mediante determinazione contrattuale. Con esso le Parti si impegnano ad adottare la determinazione o volontà del soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale), come se fosse un accordo diretto tra esse. Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente.

7 Arbitrato ad hoc L'arbitrato ad hoc nasce quando le Parti provvedono direttamente alla nomina del soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale ed alla definizione di tutte le questioni riguardanti il concreto svolgimento della procedura.

8 Arbitrato amministrato
Quando le Parti non intendono scegliere direttamente il soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale) a cui deferire la risoluzione della controversia tra di loro insorta, esse possono rivolgersi ad una istituzione (in genere Camere Arbitrali presso le Camere di Commercio), la quale amministra il relativo servizio, fornendo di fatto attività di segreteria all'arbitrato. Le Camere Arbitrali sono state costituite presso le Camere di Commercio ai sensi della Legge 29 dicembre 1993, n. 580 recante " Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura".

9 Nell'arbitrato rituale, ai sensi dell'articolo 820 codice procedura civile, gli arbitri devono pronunciare il lodo nel termine di duecentoquaranta giorni dalla accettazione della nomina dell'ultimo arbitro. Gli arbitri hanno la possibilità di prorogare d’ufficio di ulteriori centottanta giorni il termine per la pronuncia del lodo. Esaurita la fase della trattazione della causa si entra in quella decisionale che darà origine al lodo. Il lodo è da considerarsi come l’atto conclusivo e decisorio del procedimento arbitrale. Con la pronuncia del lodo gli arbitri concludono la propria opera in esecuzione del mandato loro conferito dalle parti. Gli arbitri possono pronunciare lodi parziali. Il lodo può essere corretto ai sensi dell’articolo 826 codice procedura civile.

10 La disciplina dell’arbitrato, contenuta negli articoli 806 ss. c. p. c
La disciplina dell’arbitrato, contenuta negli articoli 806 ss. c.p.c., è stata profondamente riformata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, entrato in vigore il 2 marzo 2006, che segue le precedenti modifiche dell’istituto introdotte con L. 9 febbraio 1983, n. 28 e con L. 5 gennaio 1994, n. 25

11 Il codice di procedura civile, nel titolo VIII del libro IV, prevede e disciplina l’arbitrato rituale che rappresenta il vero e proprio giudizio arbitrale dal momento che ha la funzione e la struttura proprie di un giudizio.  Si tratta di un giudizio privato, compiuto da soggetti (gli arbitri) che sono scelti dalle parti e che operano come se fossero giudici. Gli arbitri, rispetto ai giudici, non hanno i poteri autoritativi previsti dalla legge, ma sono provvisti dei poteri ad essi conferiti contrattualmente dalle parti. Tuttavia, sussiste anche la possibilità che le parti prevedano per iscritto che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale (art. 808 ter, relativo all’arbitrato irrituale o libero).

12 Le novità di maggior rilievo, introdotte 
con il D.Lgs. n. 40/2006, riguardano tutti i principali istituti inerenti il giudizio arbitrale, vale a dire: l’accordo per far decidere la controversia da arbitri, gli arbitri e la loro nomina, il procedimento arbitrale, il lodo, le impugnazioni, la disciplina dell’arbitrato internazionale (abrogata) e quella sul c.d. arbitrato amministrato (introdotta ex novo).  

13 L’accordo, raggiunto dagli interessati per far decidere la controversia da arbitri, può essere un compromesso, una clausola compromissoria per liti contrattuali, o una convenzione di arbitrato in materia non contrattuale (artt. 806 – 808 quinquies c.p.c., ricompresi nel capo I del titolo VIII, come ora modificato dal D.Lgs. n. 40/2006). In particolare, l’art. 806 stabilisce quali controversie possono essere deferite al giudizio arbitrale, determinando così i limiti dell’arbitrato.  Le norme di cui agli artt  quinquies, invece, indicano le modalità con cui una lite può può essere deferita ad arbitri. Dall’art. 806 si desume il principio per cui le controversie sono generalmente deferibili agli arbitri, ad eccezione di quelle che abbiano per oggetto diritti indisponibili e salvo espresso divieto di legge. Il nuovo art. 806, così, supera il precedente riferimento alle controversie che possono formare oggetto di transazione e introduce, come unico limite alla possibilità di deferire la controversia ad arbitri, l’indisponibilità del diritto oggetto della stessa.  

14 Per quanto riguarda le cause in materia di lavoro, è possibile un deferimento ad arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro. Viene così introdotta l’utilizzabilità dell’arbitrato rituale per risolvere le controversie di diritto del lavoro, anche se occorre sottolineare che le leggi speciali in materia e i contratti collettivi contemplano, in genere, arbitrati irrituali. Se la competenza per materia appartiene al giudice amministrativo, l’art. 6, 2° co., L. 21 luglio 2000, n. 205 ammette l’arbitrato rituale su diritti soggettivi devoluti al giudice amministrativo. Negli altri casi, si segnala che la giurisprudenza esclude la possibilità di devolvere ad arbitri materie su cui è chiamato a decidere il giudice amministrativo o altro giudice speciale. Anche le cause in materia societaria possono essere decise da arbitri, in base alla nuova regolamentazione contenuta nel D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Non sussistono, invece, limiti relativamente al tipo di azione proponibile e di pronuncia richiesta, che può essere di accertamento, di condanna o costitutiva. Nell’ambito delle modalità con cui una lite può essere deferita ad arbitri, assumono rilevanza il compromesso (art. 807), la clausola compromissoria (art. 808) e la convenzione di arbitrato (art. 808 bis). Il compromesso, che è l’accordo con il quale le parti devolvono al giudizio arbitrale una o più controversie

15 LA CONCILIAZIONE Mediazione e conciliazione sono termini strettamente correlati e in alcuni contesti coincidenti, ma hanno significati leggermente diversi: La mediazione è l’attività di chi si pone tra due contendenti per facilitarne l’accordo. La conciliazione è l’auspicabile accordo frutto della mediazione. Mediazione e conciliazione sono quindi termini che possono essere usati quasi sempre in forma intercambiabile.

16 Il processo di mediazione
La mediazione è una procedura in cui un terzo neutrale assiste le parti nella ricerca di una soluzione al loro conflitto. Il mediatore non è un arbitro, non decide, ma aiuta le parti a comunicare e, grazie alla competenza in materia e all’uso di determinate tecniche, può ampliare la gamma delle soluzioni che le parti, negoziando da sole, non potrebbero prendere in considerazione senza la visione esterna, oggettiva e creativa del mediatore. Con questa procedura le parti sono coinvolte nella soluzione della controversia (che non è calata dall’alto, come una sentenza o un lodo arbitrale). È una procedura che permette di prendere piena coscienza delle eccezioni “dell’altro”, dei suoi interessi e dei suoi bisogni, perché, per arrivare a raggiungere soluzioni creative, è necessario conoscere tutte le motivazioni delle parti e non fermarsi alle prese di posizione iniziali.

17 Conciliazione Due interessanti definizioni, che aiutano a comprendere il significato di conciliazione, sono: “un processo, quasi sempre formale, attraverso il quale una terza persona neutrale tenta, tramite l’organizzazione di scambi tra le parti, di consentire a queste di confrontare i loro punti di vista e di cercare, con il suo aiuto, una soluzione al conflitto che le oppone”  (J.P. Bonafé-Schmitt) “l’intervento nell’ambito di una disputa tra due contendenti di una terza persona imparziale e neutrale, gradita a entrambi, che non riveste autorità decisionale, ma li aiuta affinché essi pervengano ad una soluzione della vertenza che risulti di reciproca soddisfazione soggettiva e di comune vantaggio oggettivo”  (G. Gulotta e G. Santi). Come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 276 del 13 luglio del 2000, “la conciliazione tende a soddisfare un interesse generale, perché costituisce non solo un efficace strumento in grado di contenere il proliferare delle controversie giudiziarie - con evidente vantaggio per l’amministrazione della giustizia e quindi della collettività - ma rappresenta anche un veicolo di diffusione di quella cultura della pacificazione, che ha fondamento nell’art. 2 della Carta Costituzionale in relazione agli istituti che riconoscono e garantiscono la solidarietà”.

18 Mediazione: tipi e modelli
Esistono due tipi di mediazione: facilitativa (in cui il mediatore, soggetto terzo, aiuta le parti a raggiungere un accordo, anche amichevole, in funzione dei rispettivi interessi delle parti) e aggiudicativa (in cui il mediatore, qualora l’accordo amichevole non venga raggiunto, propone comunque una risoluzione della controversia, che le parti restano libere di accettare o meno). Esistono infine tre modelli di mediazione: Obbligatoria. Quando è condizione necessaria per avviare un processo. Facoltativa. Quando è scelta liberamente dalle parti. Demandata dal giudice. Quando quest’ultimo invita le parti a risolvere il loro conflitto davanti a organismi di conciliazione.


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